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Banco Bpm fa asse con Unicredit e si sfila dalla partita per Mps

In un incontro con gli analisti di cui Formiche.net è in grado di dare conto, il ceo di Banco Bpm, Castagna, respinge l’idea di un’acquisizione in blocco di Siena valutando, eventualmente, solo l’ipotesi spezzatino. Si tratta del secondo colpo in pochi giorni ai piani del Mef per uscire da Mps

Non è facile trovare un partner per la più antica banca d’Italia. Il tanto sospirato riassetto bancario italiano, i cui protagonisti, come raccontato a più riprese da Formiche.net sono la stessa Rocca Salimbeni, Unicredit, Carige, Banco-Bpm, vive una situazione di stallo che rischia di trasformarsi in una occasione mancata. Tra sei mesi esatti, infatti, scadranno i crediti fiscali messi in campo dal governo di Mario Draghi per sollecitare gli istituti a sciogliere le riserve e dare una spallata a possibili operazioni di M&A. Incentivi, le cosiddette Dta, che per la sola acquisizione di Mps da parte di Unicredit valgono circa 2,2 miliardi, a patto che l’aggregazione venga deliberata dal board (basta solo il via libera del consiglio) entro il 31 dicembre.

Ma per ora, la linea delle grandi banche sembra essere piuttosto chiara: le nozze con Siena con conseguente disimpegno dell’azionista Tesoro (64%), che nel 2020 ha chiuso con una perdita di 1,6 miliardi, non sono attraenti. A meno che non vengano ceduti singoli asset, dando vita al famoso spezzatino. Lo pensa Andrea Orcel, ceo di Unicredit che, come riportato dal Messaggero, in un incontro con i vertici del Mef, in particolare il dg Alessandro Rivera, ha nei fatti chiuso la porta a un’acquisizione di tutta Mps.

E ne è convinto, come è in grado di rivelare questa testata, anche il numero uno di Banco Bpm, Giuseppe Castagna. Nei giorni scorsi il manager avrebbe tenuto una conference call con gli analisti di Mediobanca della quale Formiche.net è a conoscenza, manifestando la volontà di respingere la fusione con Siena. Banco Bpm, questa la sostanza del passaggio dedicato a Siena, qualora fosse interessata alla banca toscana lo sarebbe dunque solo ed esclusivamente per alcune sue parti e non certo per l’intero istituto, né tanto meno per l’intera quota di controllo in pancia al Mef.

Anche perché, ha tenuto a precisare Castagna, in questo momento Banco Bpm non potrebbe sostenere un simile sforzo, con tutte le conseguenze che esso comporterebbe. Il manager napoletano è stato, se possibile, ancora più chiaro quando rispondendo a un’altra domanda ha chiarito di non aspettarsi per la banca alcun merger entro questa estate, anche perché prima di ogni mossa occorre valutare attentamente costi e benefici.

Tutto questo complica non poco la partita per il Monte dei Paschi. Lo Stato italiano, i cui piani prevedono proprio la cessione dell’intera quota del 64%, è un venditore obbligato dal momento che ha pattuito con l’Europa l’uscita dal capitale e la rimessa sul mercato dell’istituto entro la prima metà del 2022. Sono accordi antitrust Ue presi nel 2017 quando Siena venne salvata con un assegno pubblico da 5,4 miliardi di euro.

La banca tuttavia non è un boccone facile, dal momento che nonostante sia stata ripulita dai crediti deteriorati del passato necessita di un aumento di capitale attorno a 2,5 miliardi e proprio per questo il governo ha varato un credito fiscale che – in caso di fusione con la banca milanese – vale 2,2 miliardi.  A questo punto, l’operazione spezzatino potrebbe davvero prendere corpo, con una divisione di Mps in due o tre parti, da assegnare a Unicredit, alla banca pubblica Mcc (che ha assorbito Popolare di Bari) per farla crescere al Sud. E, forse, a Banco Bpm. Si vedrà.


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