È qui il cuore di quel rapporto tra Francesco e la modernità che ha determinato quel clima nuovo tra il papa e settori secolarizzati o più semplicemente “laici” che la polemica di queste ore ha turbato
Mercoledì mattina: udienza generale in piazza San Pietro. Francesco parla di San Paolo e della sua lettera ai Galati. La posizione di San Paolo fu contestata da alcuni giudeo-cristiani che ribadirono ai Galati la necessità di circoncidersi. Dovevano rinunciare alla loro identità e assoggettarsi a norme non loro, osserva Francesco.
“Non mancano nemmeno oggi, infatti, predicatori che, soprattutto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, possono turbare le comunità. Si presentano non anzitutto per annunciare il Vangelo di Dio che ama l’uomo in Gesù Crocifisso e Risorto, ma per ribadire con insistenza, da veri e propri “custodi della verità” – così si chiamano loro -, quale sia il modo migliore per essere cristiani. E con forza affermano che il cristianesimo vero è quello a cui sono legati loro, spesso identificato con certe forme del passato, e che la soluzione alle crisi odierne è ritornare indietro per non perdere la genuinità della fede. Anche oggi, come allora, c’è insomma la tentazione di rinchiudersi in alcune certezze acquisite in tradizioni passate. Ma come possiamo riconoscere questa gente? Per esempio, una delle tracce del modo di procedere è la rigidità”.
Queste parole sono passate abbastanza inosservate in offre caotiche, segnate dalla polemiche sul decreto Zan e la nota verbale vaticana. Ma sono parole importanti, perché è qui il cuore di quel rapporto tra Francesco e la modernità che ha determinato quel clima nuovo tra il papa e settori secolarizzati o più semplicemente “laici” che la polemica di queste ore ha turbato.
Il papa che ha detto “chi sono io per giudicare”? – cosa che in cuor nostro non abbiamo il coraggio di dire neanche noi- é improvvisamente diventato un oscurantista. Tutto è parso svanire nel volgere di poche ore. L’incontro negli Stati Uniti, in Nunziatura, con un amico omosessuale, l’udienza accordata in Vaticano a transessuali, lo stesso aiuto economico ad alcune sex workers trans in tempo di pandemia per pagarsi le bollette; tutto è parso svanire nella memoria. Qualcuno ha parlato anche di un nuovo Pio IX.
Poi è intervenuto il premier, Mario Draghi, che ha risposto, con grande efficacia, alla nota vaticana, ricordando che lo Stato deve essere laico. “Bene”! Il coro di consensi per il nostro premier da ambienti laici ha ricordato un altro loro entusiasmo, sebbene più limitato perché per fatto meno noto. Erano i giorni del 2016, quando Francesco disse al giornale cattolico francese La Croix: “Lo Stato deve essere laico. Gli Stati confessionali finiscono male”. Ma per essere laico lo Stato deve rispettare tutti. Infatti in quell’intervista fece l’esempio della legge che proibisce di indossare i simboli religiosi: kippah, crocifisso, velo. E già… Fanno paura a qualcuno? O forse fa paura la laicità dello Stato? Magari anche a qualcuno che crede di difenderla…
Non credo sia giusto gettare alle ortiche otto anni indimenticabili per il dialogo tra figli dei Lumi e cattolicesimo. Per questo è importante tornare su un punto del discorso di mercoledì: la rigidità.
La rigidità con cui il cattolicesimo ha voluto imporre la sua antropologia fino ad arrivare a forme di discriminazione degli omosessuali è un fatto non solo antico e che andrebbe riconosciuto. È parte di una rigidità più ampia e che non sopporta Francesco, il papa che non accetta di mettere il sigillo pontificio a un vento anti cinese che lascerebbe i cristiani di lì a ogni persecuzione nel nome di una Chiesa non globale ma Occidentale, o di metterlo al vento che vuole negare ai politici cattolici la loro libertà di coscienza, ben formata ovviamente. Questo contesto ci riguarda. Riconoscendolo si potrebbe convenire che non c’è da promuovere un’altra antropologia, ma da difendere persone in carne ed ossa alle quali è negato il diritto di essere quello che sono e di vivere come vogliono la loro vita e i loro affetti.
Su questo tutti dovrebbero convenire, visto che l’articolo della Carta Costituzionale dice che “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Dunque le aggravanti del codice penale devono riguardare tutte le discriminazioni di sesso, razza, lingua, religione ed origine etnica o sociale. Omosessuali, transessuali, bisessuali e altri devono essere protetti perché anche la loro alterità è una ricchezza di tutti e per tutti. Questo andrebbe anteposto, tutto il resto dovrebbe essere disponibile all’incontro di sensibilità diverse. La laicità non può prescindere dal pluralismo e non ama le rigidità.