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Blinken chiama l’Europa (ma squilla a vuoto). Il corsivo di Stefanini

Politica

La presidenza italiana del G20 e la visita del segretario di Stato Usa Antony Blinken partono sotto ottimi auspici. Ma la verità è che senza Francia e Germania l’Italia non può farcela. Dalla lotta a Daesh al contenimento della Russia, perché bisogna riallacciare con Merkel e Macron. Il corsivo di Stefano Stefanini, senior advisor Ispi, già rappresentante permanente dell’Italia a Bruxelles

Lunedì a Roma in bilaterale, martedì a Matera per il G20, l’arrivo del Segretario di Stato Tony Blinken risveglia la politica estera italiana. Volenti o nolenti, ci costringe a mettere a fuoco l’agenda internazionale. Fatta eccezione per la variante delta di Covid, la prima “tranche” del Recovery Fund o Uefo Euro 2020, ci abbiamo prestato poca attenzione in questo ultimi tempi. Tutti interessi sacrosanti ma ora tocca a Roma scendere in campo.

Le due carte da giocare sono l’impostazione dei rapporti con l’amministrazione Biden e la presidenza del G20 dove sono presenti tutti quelli che contano, in particolare paesi G7, Cina e Russia. La seconda non va sopravvalutata – quando i “grandi” si vogliono parlare direttamente lo fanno da soli.

Ci mette però a capotavola del formato riservato all’agenda positiva anche fra grandi potenze concorrenti e rivali. Pandemia, cambiamenti climatici, tassazione globale sono tipologie di scuola. Non sono affrontabili senza il foro chiave del G20.

Il riflesso condizionato della politica estera italiana è sempre stato la doppia ortodossia: europea e atlantica. Il governo Draghi non fa certo eccezione. Le ha non solo riaffermate entrambe, le ha puntualmente seguite senza smagliature nei recenti vertici G7 e Nato e nell’ultimo Consiglio europeo. Più ancora che alcuni predecessori, il Presidente del Consiglio ne ha anche rafforzato la componente valoriale che fosse indirizzata a Recep Tayyip Erdogan o a Viktor Orban. In questa schiettezza trova sintonia con Joe Biden. Altro elemento estremamente importante che li avvicina è il sostegno a politiche economiche espansive per la ripresa post-Covid.

Più complesso è il nodo del Mediterraneo, Libia inclusa. C’è intesa di massima i reciproci “desiderata”. L’Italia vuole essere l’alleato di riferimento nel quadrante occidentale e il mantenimento dell’impegno Usa e Nato nel “Sud”. Washington è pronta a riconoscere il primo ma concepisce il secondo come una suddivisione di responsabilità.

Qui diventa difficile definire chi fa cosa e come. Valga l’esempio della coalizione anti-Isis cui l’Italia ha partecipato facendo sorveglianza e non bombardamenti. Dato che lo Stato Islamico è stato sloggiato a suon di missili, non c’è da stupirsi se gli americani fanno poi affidamento su Parigi o Londra. Quanto alla Nato, l’Italia si è spesa con successo per bilanciare la deterrenza a Est (Russia) con l’attenzione a Sud (Mediterraneo, Nord Africa) ma non è mai stata capace di dire cosa esattamente vorrebbe dall’Alleanza in questo scacchiere.

Ciò nonostante, il rapporto bilaterale fra i due leader parte indubbiamente sotto ottimi auspici. La presidenza italiana del G20 può ulteriormente consolidarlo. Biden ha con successo restituito l’immagine di unità dell’Occidente, ma è anche un globalista multilaterale: ci sono questioni, valga per tutte il clima, che sono più grandi dell’Occidente o della sfera dei regimi democratici. Il Presidente americano lo sa e lo ha detto. Sul versante atlantico e americano il governo Draghi ha pertanto fondamenta ben solide.

La dimensione europea si scontra invece con una seria difficoltà. Non perché a questo governo faccia difetto. Tutt’altro. Ma perché non esiste una politica estera europea di riferimento se non al livello del minimo, ma veramente minimo, comun denominatore. E a questo non basta a un Paese come l’Italia, terzo Stato dell’Unione, che voglia avere un ruolo internazionale corrispondente alle proprie capacità e interessi.

In Consiglio europeo, la settimana scorsa Angela Merkel e Emmanuel Macron hanno subito un’umiliante sconfitta vedendo rigettata la loro proposta di riaprire un dialogo con Vladimir Putin. Possono aver scontato un errore di arroganza. Avrebbero dovuto prepararla meglio.

Sarebbe stata opportuna una consultazione preliminare con gli americani. Ma nella sostanza, se Biden parla con Putin, perché non può farlo l’Ue? Est-europei e baltici continuano nella miopia del rifiuto di dialogo con Mosca. I loro timori dell’espansionismo russo, specie dei baltici, sono comprensibili, ma ad affrontarli servirebbe proprio una discussione sulla “stabilità strategica” in Europa. Così è il tema, vitale per la sicurezza europea, è affidato esclusivamente al canale bilaterale Usa-Russia.

Quali che siano i meriti della proposta franco-tedesca l’Ue non l’ha fatta propria e si è arroccata sulle sanzioni. Pienamente giustificate, ma che lasciano come in altri campi – in Libia, per esempio – un vuoto di politica estera europea. L’europeismo del governo Draghi deve mettere in conto che l’ancoraggio a Bruxelles può venire a mancare su questioni o crisi di fondamentale interesse nazionale. Non per inseguire velleitarismi solitari, ma per trovare soluzioni alternative che siano in quadro Nato, in collaborazione bilaterale con Washington e/o con le principali capitali europee o mediterranee, Londra compresa.



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