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Generazione “old-young”

Pensare agli anziani solo come ad una categoria sociale emarginata, a rischio povertà e abbandonata a se stessa rappresenta oggi, in parte, uno stereotipo. Anche la definizione del termine “terza età” inizia ad avere confini incerti a causa dei fattori intervenuti ad aumentare la speranza di vita e ai cambiamenti demografici in atto. Il terzo millennio ci offre un’immagine sociale di quest’età della vita di tutt’altra natura.
L’aumento della longevità, dovuto alle migliori condizioni di vita e al diffuso benessere economico, ha portato ad un cambiamento radicale della vita quotidiana, modificando le abitudini e gli stili di vita degli anziani.
Nel 2025 gli over 65 saranno uno su sei, al tempo stesso, la popolazione di età compresa tra i 20 e i 39 anni diminuirà di circa 6 milioni di unità, mentre aumenterà quella tra i 55 e i 64 anni, passando dai 6,8 milioni del 2000 ai 9 milioni nel 2025. In altri termini, per quella data circa un terzo della popolazione in età lavorativa avrà un’età compresa tra i 55 e i 64 anni.
A conferma di questo andamento, i dati dell’Istat, al 1° gennaio 2010, parlano di più 12,2 milioni di persone nel nostro Paese con più di 65 anni e di quasi 7 milioni e 400mila di età compresa tra 55 e 64 anni.
 
Il mondo del lavoro, dunque, dovrà forzatamente affrontare una fase di “ristrutturazione” in considerazione del costante allungamento della vita media, della diminuzione del tasso di natalità e dell’annunciato affacciarsi della generazione del “baby-boom”.
Basti pensare, infatti, che in mancanza di necessarie modifiche agli attuali schemi pensionistici, nel 2050 il rapporto tra forza lavoro a riposo e forza lavoro attiva potrebbe superare nella Ue il 70% rispetto al 38% registrato nel 2000 (nomura su dati relativi ai Paesi Ocse) e in Italia tale dato potrebbe addirittura essere superiore al 110%. Ovviamente, un rapporto di tal genere non potrà che avere forti conseguenze sul sistema pensionistico: il rapporto tra pensionati e lavoratori graverà significativamente sull’entità delle pensioni stesse, nonché sui sistemi sanitari pubblici.
Le aziende, dal canto loro, sembrerebbero ancora fortemente impreparate ad affrontare il fenomeno: pochi sono ad oggi gli esempi imprenditoriali che puntano a sfruttare al meglio le competenze acquisite negli anni dai cosiddetti “senior”. Abilità che sarebbe, al contrario, strategico trasferire ai lavoratori “junior”.
In questo ambito, tra gli obiettivi fissati dall’Unione europea vi era, da un lato, il raggiungimento entro il 2010 di un tasso di occupazione tra gli over 55 pari al 55% del totale delle forze di lavoro per quella fascia di età e, dall’altro lato, sempre entro il 2010, l’aumento di circa 5 anni dell’età media di uscita dal lavoro.
Assistiamo ad una vera e propria rivoluzione: la crescita dell’aspettativa di vita, la promozione del life-learning (ovvero dei processi di apprendimento lungo tutto il corso della vita dell’individuo), il forte mutamento nel campo delle scelte familiari e l’introduzione delle nuove forme di convivenza, e, infine, la flessibilizzazione occupazionale che spingono ad una reinterpretazione del concetto di vecchiaia.
Del resto, la generazione dei “nuovi vecchi” italiani si è trovata, a cavallo tra la fine della Seconda guerra mondiale, lo sforzo dell’interno Paese per riprendersi nel periodo post bellico e il successivo boom economico degli anni Sessanta. Si tratta di una intera generazione che ha partecipato alle grandi innovazioni della scuola di massa e dell’informazione, dell’emancipazione della donna, dei cambiamenti dei modelli familiari, dell’apertura al mondo, del dilagare dei nuovi stili di vita semi-edonistici, della secolarizzazione accelerata. Non solo, questa generazione ha visto il diffondersi dei primi strumenti della comunicazione di massa, ma anche l’affermarsi delle nuove tecnologie e, nel contempo, ha visto muovere i primi passi dei processi di globalizzazione.
 
D’altra parte, le ricerche sociali segnalano la rilevanza di alcuni fenomeni di lungo periodo. I “nuovi vecchi”, diversamente dagli anziani che li hanno preceduti, sono dotati di una struttura fisica ben costruita e spesso più sani per la migliore e più varia alimentazione e per i benefici derivati dalla rivoluzione igienico-sanitaria, oltre a godere degli effetti di un maggiore tenore di vita e di una accresciuta scolarizzazione.
Così, il fenomeno vero non sembrerebbe riguardare tanto l’invecchiamento della popolazione quanto piuttosto quello del “ringiovanimento” degli anziani, il loro essere, cioè, “sempre meno vecchi da vecchi”. Il futuro appartiene anche a questa “nuova età”, che si sottrae decisamente alle definizioni tradizionali.
Non a caso il marketing e i prodotti offerti dal mercato sono da diversi anni orientati a soddisfare i bisogni di questa categoria.
L’anziano italiano infatti è più attivo che mai: anche se usufruisce di pensioni minime, si sente un po’ più acciaccato rispetto al passato e fa maggior ricorso ai farmaci, comunque non demorde. Lavora di più e si diverte di più. Gli anziani si dedicano volentieri allo sport, tanto è vero che negli ultimi vent’anni è più che raddoppiato il numero di coloro che lo praticano con continuità mentre in quasi tutte le altre fasce d’età si riscontra una forte diminuzione; si piegano volentieri ad imparare ad usare le nuove tecnologie, per cui in numero sempre crescente gli appartenenti alla terza età usano il computer ed Internet; non rinunciano ad andare a musei, teatri, concerti, spettacoli sportivi.
Lo stesso si può dire per quanto riguarda la partecipazione alle attività di volontariato e alla passione per i viaggi.
Non manca certo la voglia di curarsi e prendersi cura di sé, né di dedicarsi ai piaceri della vita, come segnala l’aumento esponenziale, anche tra gli ultra-settantenni, del ricorso ad interventi di medicina estetica.
 
Gli “old-young” sposano sempre più modelli comportamentali ben lontani da quelli dei coetanei di un tempo, sempre meno disponibili ad accettare con rassegnazione l’avanzare degli anni o rinunciare alla sessualità.
Senza contare che “i nonni” offrono ormai a figli e nipoti un sostegno economico e di cura che spesso le istituzioni preposte non sono in grado di sostenere. In questo senso si innesca anche il problema di una nuova forma di diseguaglianza sociale, quella generazionale. Infatti le opportunità per i giovani si sono contratte rispetto al passato. Alcune delle cause sono legate alla difficoltà di accesso al mercato del lavoro e alla debole mobilità sociale, ma anche all’abbassamento della possibilità di poter disporre delle ricchezze accumulate dai propri genitori proprio in virtù dell’allungamento della vita. Si eredita sempre più tardi. Le eredità dei padri in passato hanno infatti permesso alle generazioni precedenti di investire e di usufruire di certezze economiche ulteriori su cui costruire il proprio futuro.


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