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L’Italia può spingere una politica estera Ue sul Golfo. Intervista a Borea (Royal Uni. Bahrein)

Emirati e Italia, e soprattutto Italia e Golfo. La situazione nella regione che nel prossimo biennio sarà centro di dinamiche globali, il ruolo di Roma anche come leva per portare l’Ue a una politica estera compatta e decisa nell’area. Conversazione con Pasquale Borea, dean del College of Law alla Royal University del Barhein

“Quello che è successo tra Emirati Arabi Uniti e l’Italia ci ricorda che non si può avere un approccio ondivago o a corrente alternata con il mondo arabo: occorre avere cautela, non si può pensare ad avere una certa strategia di politica estera e di difesa differenziata tra i vari Paesi di quella regione”, spiega a Formiche.net Pasquale Borea, Professore di diritto internazionale pubblico e relazioni internazionali, dean del College of Law alla Royal University del Barhein.

La vicenda a cui si riferisce è stata ampiamente coperta dai media nelle ultime settimane: Abu Dhabi ha chiuso la possibilità di utilizzo della base internazionale di al-Minhad dopo che Roma (a gennaio, col governo Conte-2) aveva disposto il blocco dell’export di forniture militari agli Emirati, disposizioni legate all’impegno emiratino in Yemen, dove quelle armi erano state usate senza eccessiva discriminazione dei bersagli, e prese dall’Italia in modo simile a Germania e Stati Uniti.

“Occorre tenere a mente che l’Italia ha comunque rapporti commerciali che includono forniture militari con Paesi dell’ area mediorentale, pensiamo all’Egitto per esempio. E che ha aperto l’export di armamenti verso il Qatar, che è un competitor degli Emirati nel Golfo”, ricorda Borea. “Certo, la questione della tutela dei diritti umani è fuori di discussione dal punto di vista di un approccio universale, così come il rispetto di norme di legge interna sui divieti alle vendita di armamenti, ma o si adotta a tutti oppure si rischia di passare per incoerenti e subirne le conseguenze”.

Il Golfo di oggi – gli Emirati stessi, l’Arabia Saudita, il Qatar, il Bahrein – negli ultimi anni ha registrato una consistente evoluzione sociale e normativa  sul tema dei diritti. Stanno provando a strutturare quadri normativi più aperti: “È un processo complesso, non immediato, ma è innescato e la situazione è molto più fluida; e poi ci sono stati gli Accodi di Abramo, c’è stata la riconciliazione di al Oula per esempio”. Ossia la normalizzazione delle relazioni tra Qatar da un lato e dall’altro tutti gli altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc): la fine del blocco totale imposto su Doha nel giugno 2017.

“Certo è – aggiunge il docente salernitano – che le differenze all’interno del Gcc non sono state completamente appianate, sembra quasi che il Golfo sia in una fase in cui occorre fare delle scelte di campo. Inoltre non possiamo dimenticare l’effetto Biden e l’elezione a Teheran di un nuovo presidente nella Repubblica islamica, altri elementi che marcano una fase di fluidità e cambiamenti in corso”.

Secondo il dean dell’università baherinita, l’Italia così come l’Unione europea “dovrebbero consolidare l’approccio a relazioni bi-regionali, comprendere i percorsi fatti da questi Paesi anche sul tema dei diritti umani e percepire i cambiamenti nell’area consentendo un approccio multilevel”. Per Borea, infatti, c’è una serie di recenti sviluppi su diversi livelli che occorre tenere in considerazione: a livello  locale, il GCC persegue la riconciliazione delle frizioni interne (sebbene, come detto, non del tutto risolte ma avviate a soluzione dalla dichiarazione di Al Oula); poi c’è quello regionale, ancora aperto perché rimangono confronti in atto per esempio tra blocco sunnita e l’Iran; poi quello globale/internazionale.

“Non dimentichiamoci infatti che l’Arabia Saudita è stata alla guida del G20 fino a pochi mesi fa (testimone per altro lasciato all’Italia, ndr) e che nel prossimo biennio con l’Expo di Dubai e i Mondiali di calcio nel Qatar il Golfo diventerà un centro per gli interessi globali. Questa centralità è inoltre confermata dal ruolo che i paesi dell’area stanno prendendo in questioni come la lotta alla pandemia (gli Emirati per esempio sono uno dei centri di produzione dei vaccini russi e cinesi che vengono usati anche per i paesi meno ricchi e hanno un ruolo nella dimensione geopolitica della pandemia, ndr) o nello sviluppo del grande tema della cybersecurity, su cui molti paesi della regione sono piuttosto sensibilizzati e tecnologizzati”.

In tutto questo quadro, che ruolo, che spazi, e che limiti e sfide ha l’Italia? “È una domanda molto importante che dobbiamo porci, ma innanzitutto dobbiamo ragionare su che ruolo vuole occupare l’Ue. La politica estera europea è andata a singhiozzo su vari scenari di crisi negli ultimi due decenni, spesso in ordine sparso, e lo ha fatto anche nel Golfo e nel Medio Oriente: invece – suggerisce Borea – l’Unione dovrebbe recuperare una visione di politica estera europea nei confronti del Golfo unita e compatta, perché è questa la sua funzione centrale: essere un moltiplicatore di opportunità per i vari attori statuali membri, oltre che per le imprese private”.

Tuttavia, al di là della questione con gli Emirati e dell’indecisione europea, la presenza italiana, a livello di rapporti bilaterali, è molto aumentata nel Golfo: non è così? “È vero, per esempio l’ Italia è stata quest’anno il primo partner commerciale del Bahrein tra i Paesi europei. Non è poco, direi: però torno a ripetere che in ottica regionale, ossia più ampia, più comprensiva dei semplici bilaterali sugli interscambi, Roma dovrebbe giocare la partita in Europa. Il governo Draghi può avere tutta la forza per sollevare la questione della centralità della politica estera Ue verso il Golfo. E questo indipendentemente delle relazioni bilaterali che comunque continuano a rappresentare un impegno di politica estera nazionale”, conclude il docente italiano.



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