Dal momento che sul tema siamo al punto di non ritorno, è essenziale non fare passi falsi. Uno di tali passi però è stato fatto, secondo Giuseppe Pennisi, dalla Commissione Europea il 14 luglio – ossia una settimana prima del G20 – con la pubblicazione del programma Fit for 55. Non si tratta di un errore di contenuti ma di metodo. Ecco perché
Come ha sottolineato da Corrado Clini su questa testata, la catastrofe in Germania d altri Paesi del Nord Europa è la dimostrazione che in materia di cambiamenti climatici siano al punto del non ritorno. Si attendono proposte dal G20 che, presieduto dall’Italia, si tiene a Palazzo Reale dal 20 al 23 luglio. È, in questo contesto, particolarmente importante che venga definita la posizione dei Paesi in via di sviluppo (specialmente di Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico) e della Federazione Russa, i quali sono ritenuti i “grandi inquinatori” a livello internazionale e che in passato sono stati restii ad applicare misure restrittive alle loro emissioni, argomentando che, ove lo avessero fatto, sarebbero rimasti al traino dell’economia mondiale.
Dato che siamo al punto di non ritorno, è essenziale non fare passi falsi. Uno di tali passi è stato fatto a mio avviso, dalla Commissione Europea il 14 luglio – ossia una settimana prima del G20 – con la pubblicazione del programma Fit for 55. Non si tratta di un errore di contenuti ma di metodo.
Per quanto attiene ai contenuti, è indubbio che in Europa le politiche ambientali attraversano i confini e, quindi, non possono essere competenza esclusiva degli Stati nazionali. Fit for 55 è – come tutte le sigle della Commissione europea (che deve avere al suo servizio influencer di livello) – accattivante (pensate alla pubblicità di una palestra specializzata nella tenuta in forma dei cinquantacinquenni). Sono anche ineccepibili, e molto ambiziose, le 13 proposte normative per ridurre le emissioni entro il 2030 a livelli non superiori al 55% di quelli registrati nel 1990.
Tuttavia la presentazione del programma prima che sia stato concordato con i 27 Stati membri ed alla vigilia del G20 può essere percepita come una “voglia di protagonismo” della Commissione europea tale da porsi di traverso alla delicata azione diplomatica per portare su un terreno più conciliante Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico e Federazione Russa. La Commissione europea è rappresentata a pieno titolo dalla sua presidente alla riunione del G20 (nel caso specifico del G20 di Napoli sarà presente il Commissario con delega all’ambiente, il lituano Virginijus Sinkevičius), ma è pur sempre un “socio aggregato” di un club in cui i “soci effettivi” sono gli Stati membri. Attendere qualche settimana, avere il pieno sostegno dei 27 Stati membri o emendamenti concordati con loro, sarebbe stato più efficace.
Soprattutto, alti funzionari della Commissione avrebbero dovuto evitare tante apparizioni televisive per applaudire Fit for 55, un documento da loro redatto e da loro approvato. Ciò ha suscitato una certa irritazione da parte dei “soci effettivi” del G20, rendendo più difficile il compito di coloro che debbono ammorbidire le posizioni dei “recalcitranti”.
Fit for 55, inoltre, dà un’arma agli Stati membri dell’Unione europea per reagire a riforme difficili e che pesano nelle tasche dei cittadini dicendo “questo ce lo impone la Commissione europea”. Uno dei maggiori politologi italiani, Giovanni Orsina della Luiss ha documentato nel saggio “La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica”, (Marsilio Editori, 2018) che in questo modo cresce non solo l’antipolitica ma anche “l’anti Ue” o quanto meno il supporto a movimenti e forze politiche che intendono ridimensionare il ruolo della Commissione. Quindi, Fit for 55 potrebbe essere giudicato dai futuri storici dell’Ue come un formidabile autogol per i tempi ed i modi in cui è stato presentato.
C’è un altro passo falso. Fit for 55 non è stato coordinato (come spesso accade i lavori della Commissione sono tenuti in stretto segreto) con i lavori del comitato presieduto dalla direttrice generale dell’Organizzazione Mondale del Commercio Ngozi Okonjo-Iweala (e di cui faceva parte l’economista italiana Lucrezia Reichlin) che a latere del G20 finanziario di Venezia del 10-12 luglio ha trattato del ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale, Banche regionali di sviluppo) in materia ambientale. Poco male se le proposte di Fit for 55 convergessero con quelle del comitato del G20 finanziario.
Un punto centrale del documento è la “messa in atto di meccanismi di correzione alle frontiere delle emissioni”, misura di dubbia compatibilità con i trattati e le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Per buona educazione, Ngozi Okonjo-Iweala non ha detto nulla. Non così, la direttrice del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva la quale, pur insistendo sulla necessità di creare un prezzo minimo delle emissioni carbonio, ha affermato che la proposta Ue “sarebbe meno efficiente e più divisiva”, in effetti bocciandola.