Finisce male il vertice tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti. Scambi di accuse, passato che non si riesce a metabolizzare e voglia di rivalsa fanno sorridere i nemici dell’allargamento Ue, con sullo sfondo la vax diplomacy
Polveriera balcanica: va male il vertice tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti. Scambi di accuse, passato che non si riesce a metabolizzare e voglia di rivalsa fanno sorridere i nemici dell’allargamento Ue (tanto a Mosca quanto a Pechino). Anche perché è evidente che il futuro europeo, sia della Serbia che del Kosovo, dipende in larghissima misura dalla normalizzazione delle loro relazioni che al momento restano freddissime, passaggio su cui premono Washington e Bruxelles. Sullo sfondo la vax diplomacy, con le falle del siero cinese.
POLVERIERA
Non uno scontro aperto ma se possibile anche peggio. Il secondo vertice a Bruxelles in un mese ha mostrato tutti i limiti delle due delegazioni, impegnate nei negoziati decennali volti a risolvere le controversie in atto dalla Guerra del Kosovo ad oggi. Lo ha certificato anche l’inviato dell’Ue Miroslav Lajcak: “Abbiamo ottenuto pochissimi progressi oggi. L’incontro è stato difficile e ha dimostrato approcci molto diversi delle due parti alla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”.
Ma se l’indipendenza del Kosovo è stata riconosciuta da più di 100 Paesi, inclusi gli Stati Uniti e tutti (tranne cinque) i 27 membri dell’Unione europea, di contro la Serbia considera ancora il territorio come la sua provincia meridionale, con il supporto alle spalle di Russia e Cina che premono da un punto di vista geopolitico, energetico e infrastrutturale.
SCHERMAGLIE
Secondo Kurti il motivo per cui non c’è una posizione comune è perché la parte serba ha rifiutato l’espressione “affrontare il passato”, anche se è stata accettata dalla parte europea. Vucic personalmente “ha un problema nel trattare con il passato”, ha aggiunto. La replica del leader serbo è che il Kosovo non ha accolto nessuna richiesta: “Non stiamo parlando di un principio razionale, ma parliamo a persone che chiedono solo la responsabilità della Serbia per un geocodice nel continuum. Questo è tutto ciò a cui sono interessati”. Uno stallo a cui fanno da contraltare gli scenari in atto nel costone balcanico, con i super player esterni pronti a riverberare in loco i propri mancati equilibri.
Un altro fronte riguarda il ministro degli Esteri bosniaco, che ha invitato il presidente serbo a prendere le distanze dai commenti controversi recentemente formulati dal ministro degli interni serbo Aleksandar Vulin, secondo cui “il compito di questa generazione di politici è formare un mondo serbo, cioè unire i serbi ovunque vivano”. Molti analisti in queste parole rivedono le policies della “Grande Serbia” di Slobodan Milosevic.
DOSSIER VACCINI
L’intreccio con le dinamiche sanitarie è obbligato a queste latitudini, in considerazione del fatto che l’influenza cinese in loco con la BRI e la cosiddetta vax diplomacy sono due elementi primari (nonostante le fiale non funzionino al meglio, si veda i casi di Cile e Seychelles). Sarà una coincidenza, ma da pochi giorni la Serbia ha firmato un memorandum con la Cina e gli Emirati Arabi Uniti per costruire una fabbrica per la produzione interna del vaccino Sinopharm, dopo aver già iniziato a produrre a livello nazionale lo Sputnik lo scorso 4 giugno presso l’Istituto statale Torlak a Belgrado.
La firma secondo il primo ministro serbo Ana Brnabic è un passaggio importante per la Serbia, “ma anche per l’intera regione, perché avremo il vaccino qui più vicino, sarà più accessibile e saremo in grado di combattere ulteriormente la pandemia di coronavirus”. L’obiettivo, aggiunge, è costruire una fabbrica per la produzione di vaccini entro la fine dell’anno, lavorare al riempimento in parallelo e avere dieci milioni di dosi. L’operazione registra il lavorìo sotterraneo dell’ambasciatore cinese a Belgrado, Chen Bo, secondo cui la firma del memorandum è stato un “importante passo avanti nella cooperazione sulla produzione congiunta di vaccini cinesi contro il Covid-19”.
FLOP?
Certo, la Cina sta cercando di mantenere la promessa del presidente Xi Jinping che il vaccino sia un prodotto pubblico visto che finora ne sono state fornite 500 milioni di dosi per più di 100 paesi in tutto il mondo. Ma i casi dei flop fatti registrare in Cile e alle Seychelles sono indicativi.
Secondo uno studio condotto a Hong Kong su più di mille pazienti, il vaccino cinese produrrebbe dieci volte meno anticorpi rispetto al Pfizer. Lo studio è stato realizzato dai ricercatori dell’Università di Hong Kong confrontando due dosi del vaccino per 1.442 operatori sanitari ed è stato pubblicato sulla rivista medica Microbiology of lancets.
Inoltre, nonostante gli alti tassi di vaccinazione con la fiala cinese, molti paesi hanno sperimentato livelli significativi di contaminazione: ovvero Cile, Emirati Arabi Uniti, Seychelles, Mongolia e Uruguay.
@FDepalo