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Ascoltiamo l’allarme di Cingolani e Giorgetti sulla transizione energetica

Lottare e impegnarsi per rendere il pianeta meno inquinato e più sostenibile è un obiettivo che non può essere messo in discussione. Tuttavia sarebbe opportuno che venissero poste in chiaro, in modo che i cittadini possano conoscerle e valutarle, tutte le opzioni sul tappeto, con relativo calcolo dei costi e benefici. Il mosaico di Carlo Fusi

L’allarme lanciato nei giorni scorsi in tandem dai ministri Giancarlo Giorgetti, leghista, e Roberto Cingolani, tecnico indicato dal M5S, è passato quasi sotto silenzio. Eppure già il fatto che arrivi da due esponenti politici così diversi dovrebbe far riflettere. Se poi ci si concentra sul contenuto, il livello di attenzione e inquietudine cresce a dismisura. In sostanza i due ministri hanno detto che bisogna frenare e non accelerare sulla transizione ecologica, che bisogna valutare attentamente gli interventi ai fini delle ricadute industriali e in particolare occupazionali, e che se la transizione è inevitabile e giusta, diverse sono le strade per arrivarci e diversissimi gli impatti che si possono determinare a seconda di quali scelte vengono compiute.

Il monito di Giorgetti e Cingolani fa riferimento al piano contro le emissioni inquinanti presentato nei giorni scorsi dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Lyen. Il piano è denominato “Fit for 55” ma nei corridoi di palazzo Berlaymont lo chiamano Mammut non solo per l’ingente sforzo finanziario che prevede (circa 3500 miliardi di investimenti trasversali nei vari settori) ma anche e soprattutto per le complessive conseguenze sulle economie nazionali dei singoli Paesi e continentali che prevede. Una delle proposte più clamorose riguarda l’eliminazione delle automobili a benzina e diesel a partire dal 2035: cosa ciò prospetti come conseguenze sul comparto industriale è facile immaginare. Il Fit for 55 è fortemente sospettato di essere stato scritto avendo come stella polare gli interessi della Germania a discapito di quelli di altri Paesi. Non a caso gli Stati dell’Est sono insorti e fortissime critiche sono arrivare dalla Francia e, seppur per ora solo sussurrate, pare anche dall’Italia.

È evidente che norme così impattanti provochino reazioni forti. Come pure risulta velleitario immaginare un’Europa che da sola abbatte le emissioni e si rivolge alla Cina per scambi di materie fondamentali ben sapendo che Pechino è forse lo Stato che più inquina al mondo e che gli Usa di intese con l’ex Celeste impero ora comunista, non vogliono neppur sentir parlare. Insomma il piano di Bruxelles minaccia di produrre isolamento e comunque comporta rivolgimenti geopolitici complicati da realizzare in solitaria.

Ma forse il punto vero è un altro, e magari l’allarme del duo Giorgetti-Cingolani a quello fa riferimento. Al fatto cioè che la transizione energetica è un dato obbligato ma che qualunque sia il percorso da intraprendere non sarà a costo zero, anzi sarà fatto di lacrime e sangue. Il principio non sembra essere chiaro all’opinione pubblica e in qualche misura viene sottaciuto dalla forze politiche che più sono interessate. A partire dai Cinquestelle che affrontano la questioni con un taglio fortemente ideologico tralasciando i riflessi sulla vita dei cittadini. Nella mente di una buona fetta di italiani, infatti, la transizione ecologica significa vedersi ad un certo punto circondati da verdissimi prati e alberi in fiore. Suona come una (ri)conquistata dimensione bucolica dove la Natura diventa amica per intima convinzione e l’aria si purifica per legge. È un pensiero magico che tuttavia viene alimentato da un sottofondo ideologico mosso da chi considera la transizione ecologica un tappeto lastricato di fiori che migliorerà la vita di tutti: basta volerlo.

Naturalmente non è così. Lottare e impegnarsi per rendere il pianeta meno inquinato e più sostenibile è un obiettivo che non può essere messo in discussione. Tuttavia sarebbe opportuno che venissero poste in chiaro in modo che i cittadini possano conoscerle e valutarle tutte le opzioni sul tappeto, con relativo calcolo dei costi e benefici. Soprattutto, ripetiamo, sotto il profilo occupazionale. Vale la pena di insistere su questo fronte così fortemente impattante per gli aspetti simbolici che contiene. La transizione richiederà mano d’opera formata e specializzata nonché, assai verosimilmente, ridotta nei numeri. Scatenerà una concorrenza tra Paesi sotto il profilo della formazione. Se guardiamo ai recenti dati Invalsi, il nostro è un Paese dove metà dei maturandi conosce poco l’italiano e pochissimo la matematica. Dunque sarebbe necessario uno sforzo fondamentale sotto il profilo educativo, rendendo il nostro sistema scolastico meno precario di com’è. Al momento la discussione è sulle mascherine e la Dad.

Dobbiamo essere pronti alle nuove sfide altrimenti saremo travolti. Ma per farlo occorre prudenza, saggezza e capacità d’analisi. Svolazzare sul piano dell’ideologia ci porta fuori strada. E sarebbero guai grossi per tutti.


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