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Per non mandare l’Italia in malora

Non possiamo e non dobbiamo accettare che la nostra democrazia vada in malora per una resistenza impermeabile al cambiamento; al cambiamento della politica, di noi stessi e del modo in cui conviviamo civilmente in un’unica nazione e in un’unica Europa. Lo scandalo che ha condotto alle dimissioni di Bossi e che sta travolgendo la Lega Nord indigna ma non sorprende più di tanto. Certo, per parafrasare le parole usate ieri dal direttore Tarquinio, da fondo alla nostra residua capacità di speranza in un’alterità che è stata solo propagandata, più o meno abilmente, ma poi contraddetta da scelte pubbliche e comportamenti privati.
 
Non si tratta di liquidare sbrigativamente l’esperienza del Carroccio o delle altre forze politiche ugualmente colpite dalle inchieste giudiziarie che ne hanno svelato i malcostumi. Certo, dobbiamo comunque rilevare che le fattispecie di reato sono distantissime da quelle che hanno decretato la fine dei partiti della Prima Repubblica. I vizi saranno pure gli stessi, ma sono molto peggiorati ed aggravati, e non hanno neppure la scusa del contesto internazionale. Fra Belsito, tesoriere della Lega, e Citaristi, tesoriere della Dc, c’è un abisso. Segnalarlo e ricordarlo ha senso non per riproporre sentimenti di nostalgia o di retorica del tipo “si stava meglio quando si stava peggio”. No, il tema è quello tracciato ieri da queste colonne, con l’editoriale del direttore Marco Tarquinio.
 
Cosa sarebbe accaduto al nostro Paese se, sotto la spinta del Generale Spread, non fosse intervenuto il presidente della Repubblica ed un nuovo governo guidato da Mario Monti? L’interrogativo inquieta. L’inadeguatezza della classe dirigente che ha non-governato negli ultimi due decenni è tale che il livello di disaffezione alla politica rischia di travalicare in sentimenti qualunquistici e anti-sistema del tutto preoccupanti. Non spaventa solo l’idea che possa essere spazzata via una generazione ma che possano essere lesionate le basi della nostra democrazia, che si diffonda cioè l’opinione che la politica è un male, un costo insostenibile, un affare indegno in se. E’ per questo che l’appello di Tarquinio di “ridare le chiavi della politica ai cittadini” aprendo le porte e le finestre dei partiti, può e deve essere accolto.
 
L’esperienza del governo Monti è una toppa relativamente piccola ad una falla assolutamente enorme. Il Generale Spread non è battuto, la frontiera della crescita è ancora lontana e l’emergenza sociale e del lavoro (quello che si perde, non quello retorico dell’art. 18) si fa sempre più pressante. Tecnici preparati ed europei sono una condizione necessaria ma, purtroppo, non sufficiente. Se la società non è coinvolta e rappresentata attivamente, il rischio è che l’impalcatura faticosamente costruita da Monti in questi mesi non regga. E comunque, il tema – se si riesce a superarlo nei prossimi mesi – si riproporrà dopo le elezioni.
 
Nel 1992-1993 il terremoto che affondò la prima repubblica ebbe il suo epicentro a Milano. Quel che sta avvenendo oggi non è paragonabile a quel che avvenne allora. Ma non è un caso che il capoluogo della Lombardia sia il crocevia dei cambiamenti possibili e non realizzati. L’irrisolta questione settentrionale è una delle due facce dell’irrisolta questione nazionale. Bossi e la Lega avevano colto un malessere profondo e facendo proprie – strumentalizzandole – le analisi di Gianfranco Miglio hanno proposto un federalismo egoista che, combinato con un bipolarismo rissoso, ha prodotto lo sfascio istituzionale che oggi denunciamo e, invano (almeno per ora), cerchiamo di superare.
 
Ha ragione da vendere Ernesto Galli della Loggia nell’invitare le forze politiche ad archiviare questa chimera federalista che tanta sfortuna ha portato all’Italia. Riscopriamo invece le radici dello stare insieme, in un sano patriottismo che sia fondato sulla consapevolezza dell’interesse nazionale ed europeo e di quel bene comune che è il faro naturale di chi ha dignità di servire il Paese attraverso l’impegno politico. Così, solo così, il prezzo potrà tornare ad essere giusto.
 
Avvenire, 07/04/2012

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