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Così l’Italia ha perso credibilità. Sgarzi (Rwm) legge l’export militare

Il dibattito sull’export della Difesa verso Emirati e Arabia Saudita si è spesso concentrato sulla RWM Italia, che in Sardegna realizza bombe e missili. Ieri, l’ad Fabio Sgarzi è intervenuto a Montecitorio spiegando la “perdita di credibilità di tutto il sistema-Paese” e lo “stato di confusione” dei due Paesi che si sono visti stoppare contratti già in esecuzione. La revoca dell’end user rafforzato? “Serve molto di più”

Un appello al realismo per l’export della Difesa. Lo ha pronunciato ieri in Commissione Difesa alla Camera Fabio Sgarzi, amministratore delegato della RWM Italia, l’azienda di proprietà del gruppo tedesco Rheinmetall spesso al centro del dibattito degli ultimi anni sulle vendite militari. Con due stabilimenti in Sardegna (Domusnovas e Ghedi) realizza corpi bomba, missili e altri sistemi che vende in tutto il mondo. Dal 2019 è stata colpita dallo stop all’export deciso dall’Italia verso Emirati Arabi e Arabia Saudita per il loro coinvolgimento nella guerra in Yemen. L’azienda ha perso fatturato e dipendenti, attualmente 340. L’Italia ha incassato la complicazione dei rapporti con due Paesi, evidente nel caso dello sfratto dalla base emiratina di Al Minhad.

LA CRESCITA

“Nei quasi undici anni di vita, grazie al costante impegno finanziario del gruppo e al successo nel mercato internazionale, l’azienda ha visto crescere il proprio fatturato da 21 milioni di euro nel 2011 fino a oltre 140 nel 2020”, ha spiegato Sgarzi. “La strategia del gruppo è stata di sostenere la crescita in Italia reinvestendo gli utili in nuove tecnologie e impianti: gli investimenti a oggi accumulano oltre 70 milioni di euro in meno di dieci anni”. Il risultato è sui velivoli da combattimento in dotazione alle Forze armate occidentali, dagli Eurofighter ai Gripe, dai Rafale ai Mirage, fino ai velivoli americani: F-15, F-16 e F-35.

IL FATTURATO

D’altra parte è proprio sull’export che si basa il business del gruppo, “come per la maggior parte delle aziende della Difesa”, ha notato Sgarzi. “Nel 2020, il fatturato verso il ministero della Difesa italiano è stato inferiore al milione di euro, solo lo 0,7% del totale; il totale degli ordini diretti e indiretti, anche tramite società connesse, come per esempio Leonardo, con l’amministrazione della Difesa, oggi ammonta a circa tre milioni che rappresenta l’1% del totale del portafoglio ordini in casa, se si escludono i 325 milioni associati ai contratti le cui licenze sono state revocate”. Ma il settore, oltre a essere strategico per le Difese nazionali, appare anche estremamente competitivo: “per rimanere al vertice sono necessari progetti finanziati di ricerca e sviluppo”, ha notato il manager. Serve dunque “continuità”, che può essere “assicurata solo dallo Stato, con programmi nazionali o con il supporto all’export”.

A CHI VENDE RWM ITALIA?

Nel mercato delle bombe d’aereo “i nostri clienti ricorrenti sono quelli end user, dove la qualità e la sicurezza del prodotto prevale rispetto al prezzo; i nostri utilizzatori normali sono la Francia, il Regno Unito, la Germania, la Polonia, la Svezia, l’Australia, la Thailandia, il Brasile; spaziamo dall’Europa al resto del mondo, oltre che ovviamente i Paesi arabi”. Di più: “Ci scontriamo regolarmente in questo mondo agguerrito contro ditte statunitensi, brasiliane, spagnole, francesi, israeliane”. Va detto, ha rimarcato Sgarzi, “che in tale contesto la revoca delle licenze di gennaio 2021 verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi ha pesantemente danneggiato la credibilità dell’azienda soprattutto in questi mercati, che sono quelli più interessanti, mediorientali”.

L’ANOMALIA ITALIANA

Tutto nasce da un’anomalia. “Tipicamente”, ha spiegato il manager, chi compra nuovi velivoli militari acquisisce anche un pacchetto di corpi bomba e se ne assicura le future forniture. Ciò non avviene sempre l’export italiano. “Per favorire le vendite di piattaforme – ha spiegato Sgarzi – vengono presentare come oggetti neutri”, così da evitare che “il dibattito politico, sempre legittimo”, possa complicare l’esportazione. È però un limite: “nessuno compra un’arma senza sapere da chi e come comprare le munizioni”. È per questo che lo stop a bombe d’aereo e missili deciso dall’Italia verso Arabia Saudita ed Emirati nel 2019 ha avuto un impatto non solo su RWM, ma anche “credibilità del sistema-Paese”.

IL RISPETTO DEL PERIMETRO

“La sospensione nel 2019, e le successive revoche a gennaio 2021 delle licenze di esportazione per bombe d’aereo verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi hanno interrotto l’esecuzione di contratti pluriennali; proprio lo Stato dunque ha fatto venir meno la continuità come elemento necessario per tutte le aziende del settore della Difesa”, ha spiegato Sgarzi. “C’è chi ha voluto ridurre il problema al rischio d’impresa, quasi che i contratti acquisiti fossero il frutto di scelte azzardate, quando invece la RWM Italia si è ovviamente mossa in un perimetro vincolato, così come definito e autorizzato dalla Stato, e a un certo punto, dopo quasi cinque anni di evoluzione del contratto”. L’azienda è riuscita ad “attutire il colpo” grazie a “riorganizzazione interna e contratti di intermediazione intergruppo”, ma si tratta di “soluzioni a tempo”. Difatti, “abbiamo accelerato il processo di diversificazione nell’ambito delle nostre competenze, abbiamo moltiplicato gli sforzi commerciali, ma vi assicuro che la perdita di credibilità sul mercato internazionale causata dalla revoca delle licenze ci indebolisce molto”, ha detto Sgarzi ai deputati della Commissione Difesa. In tale contesto, ha aggiunto “ritengo che lo Stato possa, anzi debba fare di più”.

L’END USER BASTA?

A inizio luglio è arrivato il primo segnale. L’Uama (l’ufficio della Farnesina responsabile per l’export militare) ha revocato la clausola di “end user rafforzato” per le esportazioni verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, la richiesta cioè ai compratori di garantire che i prodotti e servizi italiani non vengano impiegati nella guerra in Yemen. Ma “l’end user rafforzato non era un impedimento all’export”, ha detto Sgarzi. La sua revoca tra l’altro non toglie lo stop a bombe d’aereo e missili. “Ciò ha generato confusione per Emirati e Arabia Saudita, perché le loro aspettative era che potesse essere un primo passo per portare rapidamente alla normalizzazione della situazione”, ha notato Sgarzi. “Nessuno dei due Paesi si capacità del perché si possa esportare tutto tranne alcuni prodotti, dato che, secondo il loro punto di vista, la situazione sia diversa”.

LA SITUAZIONE

L’impressione è che la mossa dell’Uama sia un segnale troppo timido per risolvere la crisi di rapporti con gli Emirati (e per evitare che accada altrettanto con l’Arabia Saudita). “La Difesa guarda con attenzione alle azioni diplomatiche in corso per la ripresa del dialogo e la ricomposizione di positive relazioni positive con quello che rimane un partner importante per il nostro Paese”, ha spiegato di recente ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, nel question time al Senato. Alla Camera per la delibera missioni, il collega Luigi Di Maio aveva precedentemente spiegato: “Abbiamo una risoluzione parlamentare che impegna per legge i nostri funzionari a eseguire questo blocco; finché il Parlamento non deciderà con analogo atto il contrario, noi non potremo modificare questo regime”. Difficile che tale spiegazione basti ad Abu Dhabi e Riad.

IL REALISMO CHE MANCA

C’è infine la lettura realistica del tema. Se lo stop alle vendite è solo italiano, gli effetti prodotti sono tre: la perdita di credibilità del nostro Paese, il danno commerciale alle aziende nazionali e l’inasprimento dei rapporti con gli Stati destinatari (evidente nel caso emiratino). Nessuna possibilità di orientare le scelte di quei Paesi, che agevolmente possono dirigere la richiesta di armamenti verso altre fonti (magari nostri competitor) o scegliere i produrseli da soli, privandosi in entrambi i casi del rapporto di dipendenza dall’Italia. Intanto l’effetto è evidente su RWM Italia e sui dipendenti del sito di Domusnovas. Nel 2019 vi lavoravano 330 persone. Se non ci fosse stato lo stop, oggi avrebbero dovuto essere quasi il doppio. Invece sono “circa 200”, almeno per i prossimi cinque o sei mesi. “Oltre – ha concluso – al momento non abbiamo visibilità”.

L’audizione di Sgarzi è arrivata nel giorno dell’emanazione, da parte di Guerini, della prima direttiva per la politica industriale della Difesa. Contiene numerosi riferimenti all’export militare e a come migliorare il sostegno pubblico. “La dimensione internazionale della politica industriale della Difesa”, si legge nel documento, è “fattore dell’economia nazionale e della politica estera, di cooperazione e di sicurezza del Paese e strumento per perseguire e tutelare gli interessi nazionali”.

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