Il Comitato per il patrimonio mondiale dell’Unesco ha stabilito che “oltre 8 mila ettari di foreste italiane sono diventati patrimonio mondiale dell’umanità”. È tempo di proteggerle in modo adeguato, proprio ora che incendi dolosi e cambiamento climatico ne mettono a rischio la sopravvivenza
In questa estate rovente, gli incendi che stanno devastando la nostra penisola, troppo spesso provocati dalla mano dell’uomo (a quando pene più severe?), stanno distruggendo un bene prezioso per la sopravvivenza stessa della nostra specie su questo pianeta, gli alberi. Oltre ad animali, case e coltivazioni. Secondo un’anticipazione del rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente, tra incendi dolosi, colposi e generici lo scorso anno sono andati in fiamme oltre 62 mila 600 ettari di superficie boscata e non boscata (+18% rispetto al 2019): oltre 4 mila 200 i reati accertati, 552 le persone denunciate per incendio doloso e colposo (+25%), 18 quelle arrestate, 79 i sequestri effettuati. Ben l’82% della superficie bruciata e più del 54% dei reati si concentrano tra Campania, Sicilia, Calabria e Puglia.
Riferendo alla Camera ad inizio agosto lo stesso ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha stigmatizzato la drammatica situazione: “Negli incendi che stanno devastando l’Italia ci sono situazioni molto simili e sono senza alcun dubbio colpa dei cambiamenti climatici e di fenomeni antropici. Oltre il 57% sono di origine dolosa e sono oltre il 70% responsabilità dell’uomo. Fondamentale restano la prevenzione e il controllo, così come la manutenzione del territorio. Grazie al PNRR è previsto l’uso di satelliti europei, droni e osservazioni a terra. Gli investimenti per la digitalizzazione dei parchi possono essere uno strumento molto forte anche per la prevenzione degli incendi boschivi”.
Secondo il “Rapporto nazionale sullo stato delle foreste in Italia” gli incendi costituiscono il principale fattore di rischio per il nostro patrimonio forestale: “Negli ultimi quattro decenni si è difatti registrata una media di 107 mila ettari di foreste all’anno percorsi da incendi e si prevede un aumento dell’area bruciata del 20-40% nel solo bacino mediterraneo entro il 2050. Allo stesso tempo la tempesta Vaia (quella che nel 2018 provocò sulle Dolomiti la distruzione di migliaia di ettari di foreste alpine di conifere, n.d.r.) ci ha mostrato quanto il riscaldamento dell’aria e del mare possano influire sulla violenza delle perturbazioni e danneggiare estese aree boscate, interrompendo la loro capacità di assorbire carbonio”.
Di fronte ad un problema che puntualmente ogni anno si presenta con sempre maggiore drammaticità, soprattutto nelle regioni del Centro-Sud, è necessario, annota il rapporto, “trovare soluzioni in grado di governare questi eventi estremi in un contesto di cambiamento climatico”. Innanzitutto attraverso una completa e effettiva attuazione della legge 353 del 2000 sugli incendi boschivi che prevede, insieme al delitto di incendio boschivo doloso (art. 423 bis del Codice penale: chiunque provoca un incendio su boschi o foreste è punito con la reclusione da quattro a dieci anni; le pene vengono aumentate se dall’incendio deriva pericolo per edifici o danno alle aree protette), vincoli molto stringenti per l’utilizzo delle aree attraversate dal fuoco.
Lo stesso rapporto Ecomafia 2021 individua alcuni punti fondamentali sui quali intervenire, investendo tutta la filiera della prevenzione, in cui devono essere tenuti insieme il governo del territorio e la gestione del patrimonio verde. Occorre, innanzitutto il “governo integrato degli incendi”, basato su un coordinamento nazionale e locale di previsione, prevenzione, informazione, addestramento, lotta e ricostruzione. Servono, poi, “piani forestali di indirizzo territoriali” per definire le aree più esposte ad incendi e individuare quelle cui dedicare misure per l’attività pastorale e agricola e per la tutela della biodiversità. Integrare “la politica forestale con quella agricola” con campi coltivati, orti, vigneti e aree pascolate. Regolamentare. Inoltre, in tutte le Regioni, “l’uso del fuoco per fini agro-silvo-pastorali” spesso all’origine degli incendi. Il ricorso al “pascolo prescritto” è un ulteriore strumento di prevenzione degli incendi, specie in Sardegna. Altro punto fondamentale “la responsabilizzazione e il coinvolgimento dei cittadini” nella lotta e nella prevenzione degli incendi, non solo attraverso i volontari ma anche i proprietari dei fondi. Servono, infine, “una pianificazione e una progettazione del ripristino ecologico e funzionale”, dato che la ricostruzione post-incendio è una fase delicata del governo del fenomeno.
Sempre in fase di programmazione e prospettive future, occorre ricordare che la stessa Commissione dell’Unione europea ha presentato lo scorso 16 luglio la comunicazione sulla “Strategia Forestale per il 2030”, con la quale intende proteggere e garantire la multifunzionalità delle foreste, tenendo conto degli aspetti sociali, economici e ambientali. Vengono proposte azioni concrete per aumentare la quantità e la qualità delle foreste nell’Unione, rafforzandone la protezione, il ripristino e la resilienza. Le stesse azioni intendono “aumentare il sequestro del carbonio”, contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici. L’impegno è quello di proteggere le “foreste primarie”, ripristinare quelle degradate garantendo la loro gestione sostenibile, “per preservare i servizi eco sistemici forniti dalle foreste e da cui dipende la società”. La Strategia è accompagnata da una tabella di marcia per piantare tre miliardi di alberi aggiuntivi in tutta Europa entro il 2030.
E sempre a fine luglio, una buona notizia per il nostro Paese arriva dalla Cina, dove il Comitato per il patrimonio mondiale dell’Unesco ha stabilito che “oltre 8 mila ettari di foreste italiane sono diventati patrimonio mondiale dell’umanità, a dimostrazione della ricchezza e dell’unicità degli ecosistemi naturali del nostro Paese e dell’efficacia delle azioni di conservazione delle aree nazionali protette, nei parchi nazionali di Aspromonte, Gargano e Pollino”. Si tratta dell’inclusione di queste aree nelle rete delle “Faggete vetuste d’Europa” dove, spiega il ministro Cingolani, “si conservano inalterati i cicli naturali della vita degli alberi che rendono la foresta vetusta più resiliente ai cambiamenti globali, compresi quelli climatici”.