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Quel che Landini non dice sul Green Pass. Firmato Cazzola

In un vero e proprio valzer sulle pagine di Repubblica, l'”Ayatollah” dei sindacalisti italiani, il leader della Cgil Maurizio Landini, provoca il governo sul green pass invitandolo a rendere obbligatorio il vaccino. Ma va fuori tema, e non ha capito il senso (sociale) del certificato verde. L’affondo di Giuliano Cazzola

Ho trascorso 28 anni (probabilmente i migliori) della mia vita nella Cgil. Ho ricoperto incarichi importanti e svolto funzioni e assunto responsabilità che mi hanno consentito di affrontare le tante sfide di una vita fortunatamente ricca di esperienza in vari campi.

Ovviamente sono consapevole che, nel tempo, le grandi organizzazioni, al pari delle persone, mutano. La Cgil attuale ha ben poco da spartire con la mia, per tanti motivi soggettivi ed oggettivi, a partire dalla statura e dalla qualità dei gruppi dirigenti. Quelli che ho conosciuto io erano dei giganti a confronto con quelli attuali.

Ma non è il caso di sparare sulla Croce Rossa dei sindacati: se al ministero degli Esteri c’è Luigi Di Maio (peraltro sta imparando) non ci si può meravigliare  di nulla. Però – direbbe Pier Luigi Bersani – la ditta (per il diritto commerciale è il nome dell’impresa) è rimasta quella anche se il patrimonio di famiglia è stato pignorato e vengono messi in vendita i resti del  magazzino.

Ecco perché i miei sentimenti nei confronti della linea della Cgil (e dei sindacati satelliti di Cisl e Uil) sulla questione generale delle vaccinazioni in riferimento all’introduzione del green pass oscillano tra l’indignazione e il rammarico, tra la critica e lo stupore; perché anche i soggetti collettivi commettono errori (i sindacati ne hanno fatti tanti, come i partiti, i governi, le imprese e quant’altro) ma quasi mai sono riusciti – come la Cgil in questo caso – a mescolare l’irresponsabilità e il ridicolo.

È difficile persino trovare uno straccio di motivo, un appiglio sostenibile, a meno di non pensare che ci siano due fattori di carattere personale che incidano sulla lucidità di Maurizio Landini: l’eccessiva calura e l’irascibilità provocata da una dieta ipocalorica praticata visibilmente con successo.

Senza accanirci a seguire la pista del pensiero del leader della Cgil in occasioni delle ripetute esternazioni, soffermiamoci sulla lettera inviata a Repubblica, in cui Landini ha cercato di rigettare le critiche rivoltegli da più parti e di attuare un cambio di linea, senza riuscirci perché – come diceva mia nonna – non è possibile nello stesso tempo, andare a messa e stare a casa.

Cerchiamo di seguire il pensiero del Grande Ayatollah del sindacalismo confederale andandone alla ricerca nel labirinto degli specchi in cui si è smarrito: 1) dopo aver ricordato i meriti acquisiti (e riconosciuti) dalla Cgil durante la crisi sanitaria,  il segretario ribadisce che il suo sindacato è schierato  e conduce una campagna tra i lavoratori a favore della vaccinazione e  (nota bene) ‘’non ha mai posto questioni  di principio sullo strumento del green pass’’.

Anzi  Landini sfida il governo – nel caso in cui ritenga indispensabile l’obbligo della vaccinazione – a presentare un disegno di legge in tal senso, perché questa materia non può essere semplicemente delegata alle parti sociali.

Un vero è proprio rovesciamento di fronte perché nell’aprile dello scorso anno, furono le parti sociali a presentare al governo, nei Protocolli per la sicurezza, le misure che avrebbero consentito la riapertura delle aziende e la ripresa dell’attività produttiva in importanti settori. Ovviamente  si gioca sull’equivoco, perché con il green pass non si introduce alcun obbligo, ma viene stabilito un requisito occorrente per svolgere alcune attività in sicurezza propria e degli altri. Nei giorni scorsi la tv ha intervistato un no vax che aveva rifiutato di vaccinarsi fino a quando non era stato costretto a farlo per andare in ferie.

Possiamo riassumere la teoria di Landini in questo modo: ‘’green pass’’ sì, ma non così’’, perché si determinerebbe una divisione tra i lavoratori e soprattutto perché i ‘’renitenti’’ non possono essere discriminati o sanzionati. Bene.

Ma se ci fosse un obbligo di legge non sarebbero previste anche delle sanzioni per chi vi si sottrae (per Monica Cirinnà dovrebbero essere esonerati i trans, dal momento che, esibendo il green pass, rivelerebbero l’odiato e vilipeso sesso anagrafico) senza giustificato motivo?

Se le regole che si profilano non piacciono a Landini, indichi come dovrebbe essere trattato il lavoratore ‘’renitente ad oltranza e quali misure tra le seguenti gli sembrano politicamente corrette: a) Il ‘’renitente’’ continua a recarsi  al suo posto di lavoro e l’azienda magari  sanziona che si preoccupa di averlo vicino perché così lo discrimina; b) Il datore allestisce un ‘’reparto confino’’ per soli non vaccinati (possiamo chiamarlo apartheid?); c) Il lavoratore viene condannato agli arresti domiciliari tramite smart working forzato per un tempo indefinito; d) Il lavoratore è sospeso ma con retribuzione a tempo indeterminato; e) In ogni caso non è consentito procedere ad un cambiamento di mansioni neppure nelle forme e con le causalità  previste dalla legge (‘’l’infame jobs act’’) che appunto prevede un demansionamento nel caso che concorra ‘’l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della propria professionalità e delle condizioni  economiche e di vita della sua famiglia’’.

Intanto è scoppiato il conflitto nella scuola contro il decreto del governo nel quale viene definito, oltre alle condizioni di accesso nei plessi scolastici, il trattamento riservato al personale assente ingiustificato per il rifiuto di presentare il green pass o il tampone negativo effettuato entro le 48 ore precedenti. Bei sei organizzazioni sindacali della scuola, confederali e autonome, hanno varato un documento (‘’La scuola non si riapre per decreto’’) dove si dichiarano benemerite nella lotta al virus, favorevoli alla vaccinazione; poi però comincia la caccia di farfalle quando si affronta la questione del 10% di personale che non intende vaccinarsi.

Ammesso e non concesso che corrisponda a verità il fatto che il 90% abbia aderito all’invito: su questo punto il commissario Figliolo ha chiesto precise informazioni dalle Regioni prima della fine di agosto. Poi si diffonde nella nota uno sfoggio di benaltrismo indicando tutte le misure che servirebbero al posto del sarchiapone green pass.

“Non si decongestionano le classi sovraffollate (che, con poco riguardo per gli studenti, si definiscono ‘’classi pollaio’’, ndr) adottando provvedimenti strutturali, si preferisce ricorrere a fragili misure una tantum per il recupero (peraltro solo fino a fine anno solare), non si tutela il personale scolastico scaricandogli ogni genere di incombenza (dal controllo degli accessi, alla sanificazione degli ambienti) senza introdurre alcun presidio sanitario per coordinare interventi e iniziative. Con un provvedimento sostanzialmente inefficace rispetto alla presenza a scuola di 8 milioni di studenti, si scaricano sui lavoratori tutte le conseguenze di scelte non fatte’’.

Alla fine dove si va a sbattere? A nuove assunzioni ope legis (perché chiunque poggia i suoi ‘’magnanimi lombi’’ dietro un cattedra prima poi rivendica il  diritto di restarci fino alla pensione, possibilmente a due passi da casa, altrimenti si considera un deportato);  e ad un simulacro di DaD volontaria, riducendo il più possibile l’insegnamento in presenza. L’Invalsi ha certificato tracce diffuse di analfabetismo tra i giovani, soprattutto dopo ben due anni di scuole chiuse? “Non ce ne può fregar di meno” è il messaggio che viene dai sindacati del settore.


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