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La spintarella del nudging non funziona nella pandemia. Parola di Zecchini

Senza dubbio norme confuse e ricorso al nudging si sono dimostrati inadeguati a raggiungere l’immunizzazione di massa. Meglio avere norme chiare, semplici e facilmente praticabili, rafforzate da efficaci mezzi di dissuasione delle violazioni. L’analisi di Salvatore Zecchini

Nonostante gli sforzi per uscire dalla crisi sanitaria, il Paese continua a essere nella morsa del Covid, con la sua terribile variante Delta e l’andamento dei contagi che va avanti a ritmi giornalieri di diverse migliaia, tornando ai livelli del maggio scorso dopo aver toccato il minimo di poche centinaia a giugno, alla fine dell’ultima tornata di restrizioni. Tra i contagiati oltre nove su dieci sono privi di vaccinazione e probabilmente non hanno osservato le prescrizioni igieniche e di distanziamento a fini di prevenzione. Il perché di un ritorno ai livelli elevati della prima ondata varia tra soggetti, spaziando tra diffidenza verso i vaccini specifici, ignoranza del pericolo, false credenze e forse anche ignavia. Non comprende, invece, la carenza dei vaccini, che ormai sono disponibili in quantità adeguate. Preoccupa, in particolare, l’1,8 milione di anziani sopra i 60 anni che risultano ancora non vaccinati, a cui va aggiunto l’1,9 milione nella fascia tra 50 e 59 anni, entrambi gruppi nella categoria ad alta vulnerabilità.

La precarietà della situazione del Paese, che è ancora in bilico tra il tanto agognato ritorno alla normalità e il rischio di dover introdurre nuove restrizioni, non può essere ricondotta soltanto alla libera scelta degli italiani di sottrarsi alla vaccinazione, ma chiama in causa i fondamenti istituzionali della nostra convivenza, il modo di operare dei centri del potere e la cultura prevalente. I diritti di libertà incastonati nella nostra carta costituzionale dovrebbero trovare un confine invalicabile di fronte alla necessità di adottare temporanee limitazioni per gestire emergenze gravi che costituiscono un pericolo per il benessere collettivo. Sono misure prese da tutte le democrazie occidentali in tempi di guerra, di cataclismi naturali, di gravi minacce terroristiche o da parte di pericolose organizzazioni criminali, e anche di gravi pericoli per la salute pubblica. In queste situazioni estreme la tutela della collettività e delle sue conquiste democratiche non può lasciarsi alla mercé delle libere scelte degli individui limitando l’azione pubblica a inviti, raccomandazioni di attenersi a determinati comportamenti o ad astenersi da altri ritenuti dannosi, né ricorrendo ad avvertenze, esempi o campagne d’informazione sui pericoli da contrastare. Un simile approccio tende naturalmente a prolungare l’emergenza ed aumentarne gli oneri e i rischi per l’intera collettività.

Nelle scienze sociali questo metodo viene catalogato col termine di “nudging”, come lo hanno definito 13 anni fa i professori C. Sunstein e R. Thaler che per la prima volta lo teorizzarono e propugnarono, una pratica la cui larga diffusione venne poi consacrata dal premio Nobel assegnato agli autori. Degli stessi è uscito da poco un aggiornamento della loro tesi dal titolo “Nudge: the final edition”. Cosa dice questa teoria? Per rispettare o mantenere la libertà di scelta in capo all’individuo, si ricorre a interventi, piccoli o grandi che siano, per spingerlo (nudging) a orientarsi volontariamente verso determinati comportamenti che sono nel suo stesso interesse e di riflesso nell’interesse dell’intera collettività di appartenenza. Una sovvenzione o un incentivo non sono “spintarelle”, ma un avvertimento o una raccomandazione lo sono. Esistono anche spinte da considerare negativamente, come quando nelle polizze assicurative si mettono in evidenza chiaramente i vantaggi e si confinano le limitazioni di responsabilità in un piccolo e fitto scritto in calce alle pagine.

Durante questa pandemia nei paesi dell’Ocse gli enti preposti alla tutela della salute hanno fatto ampio uso di “spintarelle” per indurre i cittadini a vaccinarsi, a sottoporsi al tampone, a portare sempre la mascherina e a distanziarsi nelle riunioni di più persone. In alcune fasi, invece, hanno dovuto ricorrere a ordinanze, come quelle per restringere le libertà di movimento, chiudere negozi e frontiere, imporre quarantene ai contagiati, con l’accompagnamento di controlli e sanzioni. In tanti Paesi, come gli Usa, quando si è passati dalle ordinanze di restrizione al nudging delle raccomandazioni di vaccinarsi e di seguire le misure di prevenzione, il risultato è stato una nuova ondata di contagi e il prolungarsi della pandemia.

L’Italia non fa eccezione a questo andamento, per giunta aggravato dalla diversità di atteggiamento che si è riscontrata tra le diverse potestà, con alcune Regioni più rigoriste ed altre più permissive. Lo stesso dettato della Costituzione italiana non ha facilitato il compito dello Stato, ma lo ha complicato per via del modo in cui tutela i principi fondamentali di libertà e la salute pubblica. Sancisce, infatti, l’inviolabilità dei diritti della persona (artt. 2 e 13), tra cui quello alla libertà di circolazione e di riunione, e vieta ogni restrizione, se non nei casi previsti dalla legge. Solo all’art 16 dà dignità costituzionale alla possibilità di limitazioni alla circolazione per motivi di sanità e all’art. 17 ammette la possibilità di divieto di riunione per motivi d’incolumità pubblica, lasciando aperto il dubbio se la pandemia è uno di questi motivi. Ma all’art.117 introduce un fattore di complicazione ammettendo le Regioni alla potestà legislativa concorrente con quella statale in materia di tutela della salute.

Ne è seguito che in più occasioni il governo centrale si è trovato in affanno nel ricondurre le autorità recalcitranti a conformarsi a limitazioni disposte nell’interesse dell’intero Paese. Il metodo del dialogo e convincimento preventivo in varie sedi, come ad esempio la conferenza Stato-Regioni, quella con i Comuni e il negoziare con le associazioni sindacali, ha portato inevitabilmente a compromessi che lasciano libertà di scelta sulla vaccinazione e complicano la gestione delle emergenze con maggiori costi per la collettività.

Lo si vede attualmente nella mancata decisione di condizionare alla vaccinazione preventiva o al green pass l’accesso al posto di lavoro e alle mense aziendali e nel non prevedere un obbligo di vaccinazione per tutti i dipendenti pubblici, nonostante il governo sappia bene che questo è lo strumento migliore di prevenzione. Anche quando sono state disposte restrizioni, le sanzioni che le accompagnano sono risultate troppo tenui per scoraggiare molti, specialmente i giovani, dal partecipare a raduni, assembramenti ed eventi, in violazione delle prescrizioni di distanziamento e di adozione di altre misure preventive. In contrasto, la prescrizione del green pass per il personale scolastico, quello universitario e gli studenti per accedere nelle scuole e nelle università, con il corollario dell’eliminazione della DAD, ha funzionato, malgrado la sua efficacia sia indebolita dall’alternativa di sottoporsi a tampone e dalla sanzione della sospensione dal servizio solo dopo cinque giorni d’inosservanza. Il buon esito della disposizione è testimoniato in realtà dai massicci arrivi ai centri vaccinali in piena estate.

Un altro difetto delle azioni anti-contagio del governo sta nella tendenza a effettuare troppe sottili distinzioni tra soggetti e tra categorie nell’applicazione delle sue prescrizioni, col risultato di generare nel pubblico grande incertezza e confusione su quale norma sia quella applicabile in una determinata attività. Nel caso ci si chieda se nei mesi in corso un lavoratore abbia l’obbligo di essere immunizzato per svolgere la sua attività e se l’imprenditore possa impedirgli di entrare nell’azienda e sospenderlo qualora sia privo di immunizzazione, non è affatto facile rispondere. Bisogna leggere e interpretare lunghe ed intricate norme, che lasciano margine a interpretazioni contrastanti e che sono soggetti a frequenti cambiamenti.

Nelle vertenze insorte in questi casi, alcuni tribunali chiamati in causa hanno dato un responso positivo a favore della sospensione sulla base di una norma del codice civile (art.2087), ma altri organi giudicanti potrebbero deliberare in senso contrario richiamandosi a qualche altra norma o principio di libertà. Per il bene collettivo non sarebbe stato meglio emettere norme semplici, chiare e di facile applicazione per la massa dei cittadini? Certo, così facendo, non si potrebbe accontentare tutti, ma la costante tendenza a farlo per mezzo delle tante distinzioni ed eccezioni non allontana la minaccia del contagio, né riduce oneri e vertenze nella società e nell’economia. Finisce semmai con l’alimentare sterili polemiche e vertenze, distogliendo l’attenzione e le risorse dal problema di individuare i renitenti alla vaccinazione e disporre interventi mirati e più adeguati perché non fungano da veicolo di nuovi contagi.

In questa prospettiva, la digitalizzazione e i suoi media, se da un lato possono diffondere false notizie su virus e vaccini, ed assecondare il rifiuto dell’immunizzazione, dall’altro lato offrono alle autorità uno strumento potente per un’azione capillare di monitoraggio e di analisi continua dei soggetti a rischio di ammalarsi e propagare il virus, e degli effetti sul territorio. Per un simile approccio, invero, occorre anche superare gli impedimenti posti dalle norme sulla privacy. Analogamente a quanto fanno i gestori delle grandi piattaforme digitali nel profilare i loro clienti, l’analisi di big data con le tecniche dell’intelligenza artificiale può dare un’immagine più calzante di quanti si sono finora sottratti alla vaccinazione e rappresentano un rischio potenziale. Su questa base, si possono disporre norme più focalizzate e cogenti per contrastare questi fattori in maniera circoscritta.

Forse il soggetto pubblico è ancora impreparato e restio a questi impieghi delle nuove tecnologie, ma senza dubbio norme confuse e ricorso al nudging si sono dimostrati inadeguati a raggiungere l’immunizzazione di massa. Meglio avere norme chiare, semplici e facilmente praticabili, rafforzate da efficaci mezzi di dissuasione delle violazioni.



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