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E se Biden avesse vinto? Parla Charles Kupchan

Intervista a Charles Kupchan, politologo americano e senior fellow del Council on Foreign Relations (Cfr). Per Biden l’Afghanistan una sconfitta di breve periodo, nel lungo hanno molto più da perdere Xi e Putin. L’Europa deve stare attenta al G20, con la Cina da sola non ce la fa

Charles Kupchan è senior fellow del Council on Foreign Relations (Cfr) e tra i massimi esperti americani di Cina. A dispetto delle apparenze, nel lungo periodo la presa talebana di Kabul sarà più un problema per Vladimir Putin e Xi Jinping di quanto non lo sia per Joe Biden, dice il politologo americano a Formiche.net, “l’Europa dovrebbe tenerne conto”.

Putin e Xi si sono sentiti al telefono per discutere di Afghanistan. Siamo già al momento della spartizione?

Nel breve termine Cina e Russia trarranno beneficio dalla decisione americana, dalle scene di caos che arrivano da Kabul in queste ore. Entrambe le descriveranno come un fallimento delle politiche occidentali, cercheranno di sfruttare l’intera vicenda per rafforzare la cooperazione bilaterale.

C’è anche un vantaggio economico?

Per la Cina sì: l’Afghanistan ha un grande appeal perché si presta bene alle infrastrutture e alle rotte commerciali della nuova Via della Seta. La Russia ha interesse a una maggiore presenza di intelligence sul campo e a garantire la sicurezza dei suoi uomini nella regione.

Nel lungo periodo Mosca e Pechino escono vincitrici?

Non esattamente. Putin e Xi assistono entusiasti alla disfatta americana in Medio Oriente, non c’è dubbio. Ma sanno anche che in questi vent’anni l’Afghanistan è stato un albatros politico per gli Stati Uniti e ha molto diviso l’opinione pubblica. A lungo andare la conquista talebana sarà più un problema per russi e cinesi di quanto non lo sia per Biden, che potrà tornare a concentrarsi sulle priorità politiche tradizionali.

Ad esempio?

Da una parte l’America sposterà risorse e uomini dal Medio Oriente all’Eurasia e all’Asia pacifica. Dall’altra si focalizzerà sulle sfide di politica interna. Gli Stati Uniti hanno speso sei trilioni di dollari nelle “guerre eterne”. Biden ora ha le mani libere per spendere quei soldi nelle infrastrutture, nel welfare e per aumentare gli standard di vita degli americani.

Insomma, il ritiro da Kabul è una quasi vittoria sul piano interno?

Dobbiamo essere chiari: la fuga dall’Afghanistan rappresenta comunque un duro colpo per questa amministrazione. Le immagini che ci arrivano da Kabul sono terribili, tragiche, insostenibili. Ma è pur sempre un colpo temporaneo, e la ferita guarirà nel tempo.

Il G7 si è mostrato diviso sul da farsi. Sui tempi del ritiro si rischiano attriti fra Stati Uniti e alleati europei?

Aspettiamo prima di commentare. È vero, Biden ha detto che gli americani non resteranno oltre il 31 agosto. Ed è perfettamente comprensibile la sua prova di forza nel G7. Ma in Afghanistan ci sono ancora migliaia di persone che cercano di uscire, fra cui cittadini statunitensi: dubito che la Casa Bianca faccia le valigie lasciandoli lì.

Al G20 l’Europa cercherà un compromesso con Cina e Russia. La mediazione può incrinare i rapporti con Washington?

Non penso che gli europei possano permettersi il lusso di uscire dal perimetro dell’alleanza atlantica quando trattano con Cina e Russia. Credo piuttosto che abbiano un altro compito, più urgente.

Quale?

Separare la Russia dalla Cina, mettere altri chilometri fra Mosca e Pechino. Spingendo al contempo gli Stati Uniti verso una politica cinese che sia equamente suddivisa fra contenimento ed engagement.

Come?

L’amministrazione Biden ha avuto un approccio troppo in bianco e nero. Il questo momento storico il richiamo del presidente allo scontro fra democrazie e autocrazie è stato controproducente. Dopotutto la Cina è già presente in tutti i distretti del globo, l’idea di un decoupling o di un ritorno alle logiche da Guerra fredda fra blocchi non è realistica.


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