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Perché manca il riconoscimento della dignità del lavoro

Sia nel modello liberista che in quello socialista l’uomo viene ridotto ad una serie di relazioni economiche e la persona scompare come soggetto autonomo di decisioni morali. Per farla riemergere dalle nebbie che ci circondano dobbiamo attingere perciò alla luce della Dottrina sociale cattolica. La riflessione di Riccardo Pedrizzi

Uno degli ultimi caduti sul lavoro è Baljit Singh, 36 anni, indiano, lavorava per la Dem Coperture di Brembate di Sopra. In Italia da 15 anni, aveva moglie e due figli di 9 e 4 anni. È caduto dal tetto dell’azienda metalmeccanica Toora di San Paolo d’Argon, che nel periodo della chiusura per ferie stava effettuando un adeguamento antisismico con rimozione dell’amianto.

La caduta non è stata impedita dall’apposita rete. L’uomo ha fatto un volo di otto metri che non gli ha lasciato scampo.

A pochi chilometri di distanza, un camionista di 49 anni di Jorago con Orago (Varese), che doveva consegnare un carico di caprolattame è stato investito dalla merce, che gli ha provocato ustioni sul 30% del corpo. Il giorno dopo un operaio edile è morto, cadendo da una finestra ad Empoli, in Toscana. Si tratta di un albanese di 34 anni, stava eseguendo lavori di ristrutturazione al secondo piano di una palazzina, periferia di Empoli, ha perso l’equilibrio ed è caduto. Non aveva alcuna protezione personale. Contemporaneamente a Castelmonte, nel Torinese, all’interno di una ditta di lavorazione di marmi è rimasto ferito il titolare dell’impresa, Giuseppe Tomaino, 67 anni ex assessore e consigliere comunale. L’uomo è stato travolto da una colonna di granito. Si salverà per miracolo. Nel modenese, un dipendente di una ditta di impianti elettrici nello stesso giorno è stato raggiunto da una scarica mentre lavorava in un’azienda ceramica. Le sue condizioni sono molto gravi.

Solo pochi giorni prima, è morta incastrata nel macchinario a cui era addetta Laila El Harim, italiana di origine marocchina, da circa due mesi lavorava alla Bombonette, i cui proprietari, la famiglia Setti, l’avevano fortemente voluta sapendo quanto fosse brava sulla fustellatrice, una macchina per sagomare, tagliandoli con estrema precisione, vari metalli, tra cui carta, legno, plastica. I rulli con le lame dovrebbero fermarsi in caso di guasti. Questa volta non si è fermata ed ha ucciso la giovane che aveva nel passato segnalato che quella macchina non funzionava bene. Come lei morì anche Luana D’Orazio di soli 22 anni con un figlio, rimase incastrata nel macchinario orditoio a Prato esattamente tre mesi prima, il 3 maggio scorso.

E poi solo per citarne qualcuno: Marino Terrezza, della Polizia Stradale, 36 anni, il 28 luglio era in servizio sulla Statale 131 nel nuorese, si ferma per segnalare il pericolo, un’altra auto che sopraggiunge lo travolge. Vincenzo Ribaudo, il 12 luglio, era su un’impalcatura quando precipita da 4 metri. Cinque operai edili muoiono il 3 giugno in autostrada vicino Fiorenzuola d’Arda, avevano tra i 40 e i 67 anni. Il Fiat Doblò sul quale viaggiavano si è schiantato contro un tir che li precedeva. Carmelo Visconte, 58 anni, di Belvedere Marittimo, Cosenza, era un capomastro, il 19 luglio è precipitato da un immobile in ristrutturazione. Circa un mese prima all’interno dell’ex Green Line di Cisterna di Latina, durante alcuni lavori di manutenzione, muore schiacciato nel cantiere Massimo Pietrosanti, 53 anni. Non ce l’ha fatta nemmeno Gaetano De Meo di 41 anni per le gravi ferite e le fratture riportate durante un sinistro stradale avvenuto nella frazione di Maranola, a Formia, mentre stava svolgendo il proprio servizio. Due mesi prima due operai sono rimasti uccisi dal gas velenoso nel Pavese, soffocati in pochi secondi da una bolla di idrogeno solforato. I due operai di 50 e 51 anni, Alessandro Brigo e Andrea Lusini, sono morti nell’ala della Di.Gi.Ma., che si occupa della raccolta e dello smaltimento di scarti della macellazione. Ancora qualche settimana prima un operaio di 52 anni è morto in provincia di Varese. Era l’undicesimo decesso sul lavoro in soli 7 giorni. La serie era iniziata con l’incidente già citato che a Firenze aveva ucciso Luana D’Orazio.

Non si tratta di casi eccezionali questi, ma in linea con i numeri di questi anni. Nel 2020 l’Inail ne ha registrato 1.270, nel 2019, prima della pandemia, erano 1.089. Nei soli primi tre mesi del 2021 ne sono stati segnalati 185.

Si muore nelle campagne, nell’edilizia, nell’industria. Da inizio anno sono diverse centinaia i morti per infortuni sul lavoro. Tre vittime al giorno nei primi 6 mesi dell’anno per Inail, 4 per l’Osservatorio indipendente di Bologna. L’Inail dal 1° gennaio al 30 giugno ha registrato 538 denunce di infortunio con esito mortale, mentre l’Osservatorio indipendente di Bologna, ne ha contato 864 morti complessivi: 438 sui luoghi di lavoro, i rimanenti sulle strade e in itinere. La classifica per settori vede al primo posto l’agricoltura con oltre il 30% dei morti sul lavoro, seguita da edilizia, autotrasporto e industria. È evidente che gli ispettori del lavoro da soli non bastano, occorrono più poteri ai dipendenti, secondo Giovanni Luciano, il presidente del Civ (Consiglio di indirizzo e di vigilanza) dell’Inail.

Naturalmente le cause che vengono continuamente individuate sono sempre le stesse: mancati controlli degli Ispettorati del lavoro che scarseggiano di personale; non rispetto delle regole da parte di imprenditori disonesti; persino il mancato varo della Commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro e, poi, lo sfruttamento del lavoro nero e la mancanza di sicurezza.

La verità, però, è un’altra e la causa principale viene da lontano: il mancato riconoscimento della dignità del lavoro.

Questo avviene perché, come anche l’Ocse ha documentato, la distribuzione del reddito tra capitale e lavoro è peggiorato radicalmente; i redditi da lavoro, anzi le condizioni del lavoro, regrediscono ed accentuano le disuguaglianze di reddito, ricchezza, potere economico, mediatico, culturale e politico. Le ragioni sono molteplici: l’integrazione globale dei mercati, in particolare lo smantellamento di ogni controllo dei movimenti di capitale, senza standard democratici minimi sia sul versante sociale che ambientale. Il capitale fa shopping globale delle condizioni di lavoro, condizionando la politica e le organizzazioni del lavoro; entrano, così, sulla scena globale, masse enormi di lavoratori di riserva, un miliardo di uomini e donne affamati dalla Cina, dall’India, dal Sud-east asiatico, dal Brasile; si verifica la drammatica asimmetria nei rapporti di forza tra capitale e lavoro come mai prima nel corso del “secolo breve”. Da un lato, il capitale, a caccia di lavoro low cost nelle sterminate praterie dell’economia globale. Dall’altro, il lavoro, regolato nella dimensione locale della politica e del sindacato, sempre più svalutato. (cfr. Cap. XXVI “Industria 4.0 e lavoro” del libro “Il Salvadanaio. Manuale di sopravvivenza economica” di Riccardo Pedrizzi. Editrice Guida – Napoli – 408 pagg. – 18.00 euro).

Si tratta dunque di una “nuova questione sociale”, che va affrontata andando “oltre” il paradigma liberista ed assumendo una concezione radicalmente alternativa dell’uomo, inteso non più come individuo, atomo isolato, ma come persona e, in particolare, persona inserita in una storia, in corpi sociali intermedi, e che anche quando lavora è definita nella sua identità attraverso le relazioni con gli altri e radicato sul territorio.

Del resto anche per la tradizione socialista, socialdemocratica, laburista e comunista italiana del movimento operaio, la persona veniva del tutto annullata essendo la “classe operaia”, l’“operaio massa”, l’aggregato sociale il suo principale riferimento.

Mentre per il pensiero sociale della Chiesa: quel che conta è “il primato dell’uomo sul lavoro e il primato del lavoro sul capitale”.

Insomma sia nel modello liberista che in quello socialista l’uomo viene ridotto ad una serie di relazioni economiche e la persona scompare come soggetto autonomo di decisioni morali.

Per farla riemergere dalle nebbie che ci circondano dobbiamo attingere perciò alla luce della Dottrina sociale cattolica.

Dalla “Rerum Novarum”, nel 1891, con la quale Leone XIII, affrontava proprio la questione sociale, denunciava la sfruttamento dei lavoratori, il lavoro minorile, i tempi del lavoro, il clima invivibile delle fabbriche, il liberalismo ed il socialismo, affermando con forza che il lavoro non è una merce, alla “Quadragesimo Anno”, con la quale Pio XI affrontava, con una intuizione profetica, i nuovi problemi della finanziarizzazione dell’economia, dopo la grande crisi del 1929; indicava la strada della collaborazione tra capitale e lavoro e denunciava un capitalismo senza volto e senza bandiera con la nascita delle società anonime.

Dalla “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II che, dopo aver dato uno sguardo al secolo trascorso, faceva una panoramica sugli scenari contemporanei alla luce del crollo del socialismo reale ed indicava la strada per il futuro che non poteva essere rappresentato dal capitalismo occidentale cosi come si andava prospettando, alla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI che oltre ad essere una summa teologica è, come definì qualcuno l’enciclica, il più bel trattato di economia degli ultimi anni che della più grande crisi del dopoguerra individuava la genesi ed indicava le soluzioni e le direttrici di marcia per una nuova antropologia ed una nuova ecologia umana.

Dalla “Evangelium Gaudium” in cui papa Francesco, riprendendo la enciclica “Laborem Exercens” di Giovanni Paolo II, afferma che il lavoro è quella attività in cui  “l’essere umano esprime ed accresce la dignità della propria vita e che il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune, fino ad arrivare al discorso che il Santo Padre ha fatto ai cantieri dell’ILVA, a Genova, affrontando in particolare il grave problema italiano della disoccupazione: “Chi perde il lavoro e non riesce a trovare un altro buon lavoro, sente che perde la dignità, come perde la dignità chi è costretto per necessità ad accettare lavori cattivi e sbagliati”….


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