È un caleidoscopio di umanità quello che emerge da questi personaggi interpretati da Sean Connery, in cui l’intelligence è lo specchio della vita e dell’altra faccia del mondo. L’attore ha fornito un suggestivo vocabolario fatto non tanto di immagini e sentimenti ma paradossalmente di parole. Il commento di Mario Caligiuri
Interpretando James Bond, Sean Connery ha molto contribuito all’affermazione nell’immaginario collettivo della figura dell’agente segreto.
E in questo modo ha fatto conoscere la funzione dell’intelligence all’interno degli apparati dello Stato e la dimensione del potere occulto nella recente storia del mondo.
Ma il contributo dell’attore scozzese non è consistito soltanto nella rappresentazione di 007 bensì di tanti altri personaggi, facendo diventare di grande successo il genere dello spionaggio. Si tratta di film con lo sfondo di storie d’amore, di contrasto al crimine, di avventure colte. Può, quindi, essere utile delineare un pur sommario repertorio che illustra questo suggestivo percorso di Sean Connery.
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In Cuba del 1979, diretto da Richard Lester e ambientato alla fine degli anni Cinquanta, Connery interpreta il maggiore inglese Robert Dapes, invitato nell’isola dal dittatore Fulgenzio Batista per addestrare i militari cubani impegnati a fronteggiare la rivoluzione di Fidel Castro. Dapes si rende conto che il regime, segnato dalla corruzione e dalla violenza, è al collasso, tanto che la pellicola si conclude con la conquista de L’Habana da parte dei ribelli. Le vicende politiche si intrecciano con quelle sentimentali, poiché Dapes incontra di nuovo Alexandra con la quale in Africa aveva avuto una storia d’amore che le incerte vicende della vita destineranno a rimanere incompiuta. Si evidenzia chiaramente quello che Graham Greene definisce “il fattore umano”, ambientato nell’universo “chiuso e doppio” dello spionaggio, dove i sentimenti sono l’inestricabile filo rosso che si intreccia con l’ideologia e il dovere, l’apparenza e gli interessi.
Tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa è un film del 1986 diretto da Jean-Jacques Annaud. L’attore scozzese interpreta l’erudito frate francescano Guglielmo da Baskerville. Dal mio punto di vista più che dal personaggio, a volte incredibile, di James Bond, è proprio in questa pellicola che Connery fa emergere l’essenza della funzione dell’intelligence: introspezione psicologica; capacità di unire i segni; abilità nel connettere passato, presente e futuro. In tutto questo, vengono esaltate le facoltà dell’intelligenza umana come la logica, la razionalità, il pensiero. Attitudini che si basano “sulle sottigliezze della mente anziché sulle ragioni del cuore”, nota nel libro Fra’ Ubertino da Casale. La vicenda, che si svolge sul “finire dell’anno del Signore 1327 […] in un luogo remoto a nord della penisola italiana in un’abbazia di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome”, è incentrata sull’esistenza del secondo libro della poetica di Aristotele, dedicato alla commedia e al riso. Per impedirne la conoscenza si assiste a una scia di misteriosi delitti. Nella fase finale, Guglielmo di Baskerville si rivolge al novizio Adso da Melk con queste parole: “Tu hai vissuto in questi giorni, mio povero ragazzo, una serie di avvenimenti in cui ogni retta regola sembrava essersi sciolta, ma l’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente. E la verità si manifesta a tratti anche negli errori del mondo, cosicché dobbiamo decifrarne i segni anche là dove ci appaiono oscuri e intessuti di una volontà del tutto intesa al male”. Ecco: decifrare i segni, “anche là dove ci appaiono oscuri e intessuti di una volontà del tutto intesa al male”, mi sembra possa essere oggi la missione dell’intelligence, evocata in modo straordinario in questo romanzo. In conclusione, noi “possediamo soltanto nudi nomi”, appunto come quello della rosa, il fiore della conoscenza. Da questo film, emerge dunque la funzione fondamentale delle parole per dare corpo alla realtà, elemento fondamentale per la comprensione del mondo e al quale si tende a prestare poca attenzione, come tutto ciò che abbiamo davanti agli occhi.
Nel 1987 Brian De Palma dirige Gli intoccabili, ambientato nella sulfurea Chicago degli anni Trenta, in cui Connery interpreta l’incorruttibile poliziotto di origini irlandesi Jimmy Malone. Quest’ultimo, insieme all’agente del Tesoro Eliot Ness, si scontra con Al Capone, che, nonostante tutti i suoi crimini, viene incastrato per evasione fiscale. Mentre i poliziotti lo portano via, il boss si rivolge a Ness, dalla cui autobiografia è stato tratto il film, con una frase destinata diventata di culto: “Sei solo chiacchiere e distintivo”. La pellicola riporta una vicenda profetica sulle modalità di contrasto al crimine, che individua l’aspetto finanziario come anello debole. Intuizione poi perseguita da Giovanni Falcone nelle sue indagini, quando indicava la pista: “Segui il denaro”.
Nell’ultima pellicola della trilogia diretta da Steven Spielberg Indiana Jones e l’ultima crociata, Sean Connery interpreta nel 1989 il papà di Indiana Jones. Nell’occasione assume il nome di Henry Jones Sr., anch’egli avventuroso archeologo, misteriosamente scomparso anni prima mentre stava cercando il Santo Graal. Indiana Jones viene incaricato di riprendere la stessa ricerca e rocambolescamente ritrova il padre che credeva morto. Alla fine il Graal non lascerà il tempio dove da secoli è custodito. Le fasi conclusive del film si svolgono nelle grotte, dove un crociato da 700 anni vigila sul sacro calice, e si concludono all’esterno di El Khasneh, a Petra in Giordania. In questa pellicola si potrebbe rinvenire il rapporto tra archeologia e intelligence. Infatti, oltre alle tecniche investigative e psicologiche, basate sulle capacità e le intuizioni umane, figure di archeologi-spie come Gertrude Bell (unica donna a lavorare presso il famoso ‘Arab Bureau’ e prima donna inglese a laurearsi in storia moderna a Oxford) e Thomas Edward Lawrence (meglio noto come Lawrence d’Arabia e padre dell’indipendenza dei popoli arabi) creano un legame indissolubile e contemporaneo, mettendo in luce la componente umana ancora essenziale sia nel lavoro di archeologo che dell’intelligence: quest’ultimo, un sapere diventato oggi una necessità sociale. E non solo per assonanza, ma le riflessioni di Michael Foucault, sull’archeologia del sapere, contengono spunti assolutamente attuali fra conoscenza e comportamenti, vero e falso, visibile e invisibile, potere e strutture istituzionali. Altro legame si rinviene nell’attività di intelligence per difendere e tutelare il patrimonio archeologico mondiale, con la costituzione dei “Caschi blu” della cultura.
Dell’anno dopo la caduta del muro di Berlino e nelle atmosfere della glasnost e della perestrojka, è il film Caccia a Ottobre Rosso, diretto da John McTiernan e tratto dal romanzo La grande fuga dell’Ottobre Rosso di Tom Clancy. Sean Connery interpreta il comandante sovietico Marko Alexandrovich Ramius. La CIA viene a conoscenza che l’unità navale Ottobre Rosso, un sottomarino nucleare di nuova generazione che può decidere gli esiti del conflitto Est-Ovest, è salpata dalla base di Murmansk in Russia e si dirige verso la costa degli Stati Uniti. Il comandante del sottomarino Ramius vive una profonda crisi personale sulle ragioni ideali dell’Unione Sovietica, accentuata dalla morte della moglie. Tutto questo lo porta a essere intenzionato a disertare. Gli Stati Uniti però osservano con sospetto l’arrivo del sommergibile, perché avvicinandosi troppo alle proprie coste potrebbe sferrare un attacco nucleare. Considerando il capitano in preda alla follia, i sovietici ritengono invece che Ottobre rosso possa compiere attentati anche contro di loro e cercano di affondarlo. La vicenda si conclude con l’approdo negli Stati Uniti del sommergibile che viene poi dichiarato scomparso per fare credere ai sovietici che i loro segreti militari non sono stati svelati. Cosa si potrebbe desumere da questo film? Che la finzione cinematografica non tanto anticipi la realtà ma soprattutto ne orienti lo sviluppo. Pertanto, secondo alcuni, la guerra fredda viene vinta dagli States non tanto, com’è noto, sul piano militare e neppure su quello ideologico, bensì nel confronto culturale. In tale contesto, l’industria di Hollywood ha avuto una parte rilevante, come più chiaramente si era potuto constatare nel 1985 con il film Rocky IV, interpretato da Silvester Stallone.
Sempre del 1990 è La Casa Russia, diretto da Frederic Alan Schepisi e tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carrè. Sean Connery è il riluttante editore inglese nonché clarinettista Barley Blair, destinatario di una documentazione prodotta da un intellettuale russo chiamato “Dante”, pseudonimo dietro il quale si cela il geniale fisico Jakov Saveljev. Dall’incartamento inviatogli, si dimostra che l’Unione Sovietica non è in condizione di affrontare una guerra nucleare, per cui la corsa agli armamenti del blocco occidentale, distinta dalla politica delle guerre stellari, diventa inutile. Blair viene contattato dal reparto dei Servizi britannici denominato “Casa Russia”, per convincerlo a diventare una spia recandosi in Unione Sovietica. A Mosca l’editore si innamora di Katia e finisce con il tradire la propria patria, confessando ai russi tutto quello che conosce per salvare la vita della donna amata che alla fine del film lo raggiunge a Lisbona. Come ha finemente notato Oreste del Buono sull’intera opera letteraria di Le Carré, pseudonimo di David John Moore Cornwell: “Si comincia a sospettare che lo stesso spionaggio e lo stesso terrorismo potrebbero essere per John Le Carré solo degli utili ingredienti, dei pretesti plausibili, degli strumenti d’eccezione per trattare con il maggior abbandono il suo interesse principale, fondamentale, irrinunciabile, che è semplicemente, quasi banalmente direi, l’amore”.
Dalla descrizione dei personaggi interpretati da Sean Connery in questi film si evidenzia una visione dell’intelligence ad ampio spettro. Infatti, i Servizi non sono semplicemente una struttura indispensabile dello Stato, dove, come esemplificava James Bond, dal coraggio, dall’intelligenza e dalle capacità di una sola persona si riescono a risolvere le situazioni più complicate. I Servizi sono strutture complesse chiamate ad affrontare pericoli sempre più cangianti. Infatti, i nemici non sono solo Nazioni ma, prendendo a prestito l’immaginario delle pellicole di James Bond, che spesso anticipa la realtà, anche organizzazioni, quali la temibile Spectre, identificata con Emilio Largo o Ernst Stavro Blofeld, e singole persone, quali il multimilionario Auric Goldfinger o il magnate dei media Elliot Carver.
Nelle pellicole si stagliano personaggi dove le consapevolezze individuali fanno comprendere che, al di là delle bandiere esibite, esistono le urgenze di giustizia sociale degli uomini, come constata Robert Dapes; che la profondità delle capacità intellettuali avvicina alla verità, come concepisce Guglielmo da Baskerville; che lo Stato può avere i suoi eroi morali grazie ai quali riesce a prevalere, come conferma Jimmy Malone; che la storia e la cultura, la creatività e l’anticonformismo, i saperi rimossi e i miti aiutano a capire le avventure della realtà, come lumeggia Henry Jones Sr., papà del celebre Indiana; che le crisi di coscienza superano l’ideologia e inducono a cambiare campo, come dimostra Marko Alexandrovich Ramius; che il vero sentimento prevale su tutto, perché è più forte del realismo della politica e delle sempre incerte convinzioni degli uomini, come testimonia Barley Blair.
É un caleidoscopio di umanità quello che emerge da questi personaggi interpretati da Sean Connery, in cui l’intelligence è insieme lo specchio della vita e l’altra faccia del mondo.
Occorre quindi prestare attenzione alla capacità di decifrare gli imprevedibili segnali della realtà per ribadire la potenza della mente umana, così come va considerato l’imprescindibile aspetto finanziario per contrastare il flagello della criminalità nel XXI secolo.
Allora diventa fondamentale inquadrare la vera natura dell’intelligence che è quella culturale, resa evidente dal sapere archeologico che unisce i misteri del passato alle incertezze del presente.
In tutto questo giganteggia il fattore umano, che determina le scelte individuali, ribadendo la funzione dell’intelligence quale sapere umano imprescindibile, in una fase irreversibile della storia del mondo condizionata dall’intelligenza artificiale.
In uno scenario in cui l’emozione assume il sopravvento attraverso gli algoritmi dei social, si ravvisa come l’intelligence possa oggi rappresentare la forma più raffinata del sapere perché aiuta ad andare oltre le apparenze, mantenendo al centro l’intelligenza umana.
Grandi attori hanno interpretato il personaggio della spia. Tra questi, Richard Burton lo ha fatto con Alec Leamas (“La spia che venne dal freddo”), Michael Caine con Harry Palmer (“Funerale a Berlino”), Robert Redford con Joseph Turner (“I tre giorni del Condor”), Gary Oldman con George Smiley (“La talpa”).
Peró, per le ragioni esposte, Sean Connery si è distinto su tutti, facendo cogliere infinite sfumature di un mestiere difficile.
In questo modo ha fornito un suggestivo vocabolario per l’intelligence composto non tanto di immagini e sentimenti ma appunto, e paradossalmente, di parole.
Dunque dalle parole bisogna ripartire per orientarci nella complessità di una realtà sempre più frantumata e imprevedibile. E la frase finale di questo articolo non può che essere quella che Umberto Eco pone al termine de “Il nome della Rosa”: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”, e cioè: “La rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”.