Tra poche settimane il Congresso americano dovrà votare i pacchetti pandemici messi in piedi dalla Casa Bianca. Per scongiurare il ko al Senato il partito dell’Asinello punta a presentare un unico blocco di misure per evitare possibili defezioni tra i più moderati e centristi. Uno stratagemma che può funzionare anche con l’aumento delle tasse?
Portare a casa i tre punti, costi quel che costi. Il partito democratico americano prova a stringere i bulloni dei maxi-piani pandemici messi in piedi dall’amministrazione di Joe Biden per rilanciare l’economia, che nei numeri è già uscita dalla pandemia e dalla crisi ad essa connessa. Un mese fa al Congresso è stato raggiunto un delicato compromesso politico (non ancora votato dal parlamento) sul primo pacchetto di misure, l’American Jobs Plan, un immenso cantiere a cielo aperto (strade, scuole, energia) dal peso specifico non indifferente, 1.200 miliardi di dollari.
Ora però rimane il resto del lavoro, che non è poco. Ci sono altre misure da far passare indenni al Congresso, tra cui il piano di sussidi, il Rescue Plan. Ma proprio qui viene il difficile. Non sarà possibile finanziare i nuovi piani senza un aumento delle tasse sui grandi patrimoni, discorso che però per i repubblicani non si deve nemmeno aprire, come messo in chiaro fin da subito dal partito dell’Elefantino. Il jolly potrebbe essere l’aumento del tetto al debito federale, chiesto a gran voce nelle settimane scorse dal segretario al Tesoro, Janet Yellen, pena il possibile default.
La strada comunque rimane stretta e forse anche per questo i democratici studiano la mossa che può mettere in sicurezza le promesse elettorali di Biden, bypassando il muro repubblicano e sperando in un innalzamento del tetto al debito. L’idea sembrerebbe quella di legare il voto sul Jobs Plan a quello degli altri piani, inseriti sotto il cappello di una legge di bilancio che vale 3.500 miliardi di dollari, cui vanno sommati i 1.200 del pacchetto infrastrutture. Insomma, portare sugli scranni del Congresso un unico blocco da votare in modo da creare uno spazio di dialogo e confronto unico e comune, non sfilacciato e multiforme. Ma come aggirare lo scoglio repubblicano?
Qui entra in gioco la sottile diplomazia del palazzo, con i democratici pronti a stringere accordi al Senato, nell’ambito del maxi-pacchetto, con l’ala del partito progressista e centrista. Si tratta, per esempio, sulle riduzioni dei prezzi dei farmaci, sui sussidi per l’energia verde, sull’assistenza all’infanzia. L’obiettivo è quello di serrare i ranghi per assicurarsi fino all’ultimo voto democratico, così da presentarsi il più compatti possibile al Congresso e far passare l’intero pacchetto per un pugno di voti.
Fin qui la partita politica. Poi c’è quella fiscale, ovvero aumentare le aliquote sulle grandi imprese e patrimoni. Quella temuta mazzata che si tradurrebbe in aliquote fiscali al 28%, dall’attuale 21%. Lo stesso Biden ha proposto di aumentare l’imposta sulle plusvalenze al 39,6% dal 20% mentre i senatori dem Elizabeth Warren e Angus King hanno chiesto un’imposta sulle società del 7% sugli utili superiori a 100 milioni. Quella tassa, dicono, potrebbe raccogliere 700 miliardi di dollari in 10 anni. I repubblicani non accetteranno mai, ma se i democratici saranno compatti, potrebbero spuntarla. La macchina si è messa in moto.