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Ora Draghi prenda i boh vax per le corna. Parla Razzante

Indirizzi, telefoni, nomi e cognomi: adesso le chat no-vax danno l’assalto alle istituzioni. Per il prof. Ruben Razzante (Cattolica di Milano) è un salto quantico, ma Draghi può fermare l’onda. Come? Si parte da una nuova comunicazione: cifre alla mano, senza bollettini anonimi (e inutili)

A ognuno il suo. Nel circolo vizioso di media e politica sul Covid che continua ad alimentare il popolo no-vax ce n’è per tutti. Giornalisti, istituzioni, virologi ed esperti, veri o presunti hanno foraggiato più o meno inconsapevolmente le truppe negazioniste, dice Ruben Razzante, professore di diritto dell’informazione alla Cattolica di Milano, alla Lumsa e alla Pontificia Università della Santa Croce, in libreria con “La Rete che vorrei” (FrancoAngeli editore) e membro della task force del governo per monitorare le fake news. Quando nel mirino della rabbia di piazza finiscono telefoni e indirizzi di casa di parlamentari e ministri, avvisa, lo Stato deve rispondere e anche in fretta, “non può arrendersi”.

Nomi, cognomi, telefoni e indirizzi. Siamo entrati in una nuova fase?

È un salto quantico, la situazione sta sfuggendo di mano. Concordo con il Garante della Privacy: parliamo di trattamento illecito di dati. Inserire nelle chat numeri di telefono o l’indirizzo di residenza di personaggi pubblici è violazione della privacy e istigazione all’odio, e come tale deve essere perseguita.

C’è una regia?

Non è da escludere una regia più ampia che mira a destabilizzare il quadro politico-istituzionale nazionale. Altre forme di protesta sono più spontanee.

Dalle chat si passa ai fatti?

Il potenziale di mobilitazione di queste chat è enorme. Lo abbiamo visto in passato con l’assalto dei supermercati durante la pandemia. Ma anche in casi di mobilitazione virtuosa: il primo raduno di massa delle Sardine a Bologna due anni fa è partito da un tam-tam su chat whatsapp. Abbiamo imparato come questi social network possano diventare incubatori della protesta di piazza.

Ad esempio?

Telegram è diventato un ricettacolo di no-vax, un rifugio sicuro anche per il volto più violento della mobilitazione.

Come si può reagire?

La legge italiana ha già gli strumenti repressivi adeguati, basta usarli in modo inflessibile. Giusta dunque la decisione del Viminale di dispiegare forze di polizia nelle stazioni per evitare i disagi causati dai sabotatori no-vax. Lo Stato non può mostrarsi debole. Qui però mi permetta un’aggiunta.

Prego.

L’onestà intellettuale impone di indagare le ragioni di questa escalation. Una parte della responsabilità è dovuta agli errori commessi dal mondo istituzionale, soprattutto sotto il profilo della comunicazione, così come dalla dubbia deontologia di una certa stampa.

Non sarà solo colpa dei giornalisti…

Per carità, dipende dai casi. Nella prima fase della pandemia la stampa italiana ha raccontato il contagio e l’andamento del virus con grande coraggio e professionalità. Poi c’è stato un progressivo appiattimento sul popolo dei virologi. Assecondati spesso in modo acritico, a reti unificate, impedendo di comprendere a fondo le ragioni dell’emergenza sanitaria e creando confusione nell’opinione pubblica.

La politica avrà le sue responsabilità, o no?

Certo. Ripeto, bisogna ripensare la comunicazione istituzionale, e farlo in fretta. Prendiamo il bollettino quotidiano dei contagi: è privo di utilità. Un insieme di dati che fotografano una situazione parziale, senza differenziare a seconda dei casi. Panico e confusione sono pane per i denti dei no-vax. Se non spezziamo il circolo vizioso non se ne esce.

Ora c’è una nuova, possibile sfida da comunicare: il vaccino obbligatorio. Come?

Il presidente Draghi finora è stato molto prudente. Adesso serve una comunicazione diretta, schietta per convincere il popolo dei “boh-vax”. Un appello alla nazione, dati alla mano, in cui spiega che negli Stati che hanno vaccinato l’80% delle persone si è già tornati alla vita normale.

Gli appelli erano la passione dell’ex premier…

È vero, la comunicazione di Conte ha avuto dei limiti. Ha puntato molto sulla paura e si è fatta forte di un certo paternalismo. Ma almeno era comunicazione, c’era il tentativo di persuadere il cittadino. Ora è rimasto solo un bollettino algido, e vediamo i risultati.

Non ci staremo dimenticando le Big Tech? Si stanno girando dall’altra parte?

Come membri della task force del governo abbiamo lavorato di sponda con le piattaforme e posso dire che hanno mostrato grande sensibilità, marginalizzando notizie dubbie e valorizzando quelle attendibili, insomma gestendo i flussi informativi. Ora però hanno abbassato la guardia, sono meno solerti nell’identificazione dei responsabili. Ma è comprensibile, hanno altri problemi: devono definire il quadro giuridico delle loro responsabilità sui contenuti, e la grande incertezza che regna in Ue non aiuta.

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