Bruxelles assicura che le nuove definizioni di idrogeno blu e verde, utili per direzionare investimenti e progresso dell’industria, sono in arrivo entro l’anno. Si tratta di bilanciare la costruzione di infrastrutture e la diffusione di H2 con la necessità di decarbonizzare una risorsa ancora troppo inquinante. Dal blending al Cbam, passando per la nascita di un nuovo mercato, ecco come l’Ue può avvalersi dell’idrogeno per la transizione ecologica
L’Europa sta puntando sull’idrogeno. A luglio 2020 la Commissione aveva presentato la sua strategia per incrementare la produzione di H2 (stimolando il mercato in tal senso) e impiegarlo in settori-chiave, difficili da decarbonizzare e/o elettrificare in breve tempo, come autotrasporti, aerei, treni e produzione di acciaio. Se tutto va secondo i piani, diceva Bruxelles, entro il 2050 l’idrogeno risponderà al 13-14 per cento della domanda energetica europea.
La materia prima – l’elemento più abbondante nell’universo, estraibile dall’acqua – non manca. Come gli ostacoli: la mancanza di infrastrutture di distribuzione e produzione, il costo troppo elevato del prodotto (il mercato è ancora nella sua infanzia) e il fatto che la produzione di idrogeno verde (via elettrolisi, con elettricità “pulita”) richieda grandi quantità di energia elettrica, che a sua volta è ancora prodotta in gran parte da processi inquinanti.
“Avremo bisogno di un’enorme quantità di energia verde molto presto”, ha detto l’europarlamentare tedesco Jens Geier, relatore della strategia europea sull’idrogeno, parlando durante una conferenza organizzata da Politico Europe. “Il modo in cui elaboreremo la nuova direttiva sulle energie rinnovabili sarà un fattore critico di successo per la strategia”.
Per di più una recentissima ricerca delle università americane Stanford e Cornell ha evidenziato che il cosiddetto idrogeno blu, prodotto bruciando combustibili fossili e catturandone le emissioni, rischia di essere una soluzione troppo inquinante anche in fase di transizione. Insomma, la direzione ideale non è chiarissima per gli investitori e i governi che devono prendere decisioni con un corso di decenni.
La scommessa sull’idrogeno è a lungo termine, va di pari passo con il potenziamento delle energie rinnovabili e lo stoccaggio dell’energia elettrica o tecnologie alternative (su queste colonne il fondatore di Nomisma Davide Tabarelli spiega perché il nucleare è una componente fondamentale tra le fonti a zero emissioni di CO2). Tuttavia, a poco più di un anno di distanza dalla presentazione della strategia, i segnali per l’industria europea dell’idrogeno sono incoraggianti.
La fase uno della strategia (2020-2024) prevede la decarbonizzazione dell’attuale produzione europea di H2, la produzione di almeno 1 milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile e l’installazione di elettrolizzatori per 4 gigawatt. “Dobbiamo creare un mercato dell’idrogeno” ha detto Kadri Simson, commissario europeo per l’energia, aggiungendo che le industrie europee aderenti alla European Clean Hydrogen Alliance “sono pronte a ottemperare su larga scala e in tempo”.
Parlando alla conferenza, Simson ha puntualizzato che il numero di impianti di elettrolisi proposti è già superiore agli obiettivi prefissati per il 2030. 14 Stati Ue hanno inserito un piano per l’infrastruttura dell’idrogeno nelle rispettive versioni del Pnrr, e Bruxelles – tramite meccanismi come il Cbam – vuole incentivare anche Paesi extraeuropei a produrre idrogeno verde in futuro. Anche perché, ha detto il commissario, “dopo il 2030 consumeremo più H2 di quanta ne potremo produrre”.
Cruciale la fase due della strategia (2025-2030, almeno 10 milioni di tonnellate e 40 GW dagli elettrolizzatori) in cui, ricorda Confindustria, “l’idrogeno potrebbe già avere mercato sufficiente per sviluppare domanda industriale, ampliarne l’uso nei trasporti pesanti e bilanciare i sistemi elettrici basati sulle rinnovabili”. Sperando che le tecnologie saranno “mature a sufficienza per uno sviluppo autonomo su larga scala” in tempo per la fase tre (2030-2050) e il raggiungimento della neutralità carbonica a livello europeo.
Oggi però c’è un problema di vaghezza. Mancano ancora le definizioni precise – e legali – di cosa qualifichi come idrogeno verde, decisione che spetta a Bruxelles (e al Parlamento) e che impatterà pesantemente il corso di tutta l’industria H2 europea. Simson ha assicurato che l’atto “in arrivo” sarà pensato per dare il via al mercato, bilanciando la disponibilità tecnologica odierna con la necessità di decarbonizzare progressivamente; l’Ue riterrà l’idrogeno “verde” quando “la riduzione di emissioni, comparata alla produzione odierna, sarà significativa”.
Per quanto riguarda gli additionality requirements (riassumendo, il grado entro il quale cui l’elettricità utilizzata nel processo sia da considerare verde essa stessa), essi sono già applicati al settore del trasporto. “Introdurremo anche dei sotto-obiettivi per l’utilizzo di idrogeno verde in applicazioni industriali”, ha assicurato Simson, aggiungendo che si prevedono ulteriori espansioni ad altri settori. L’atto, ha concluso, arriverà entro fine anno.
Alla conferenza, il ceo di Hydrogen Europe Jorgo Chatzimarkakis ha detto che la discussione sui limiti dovrebbe essere molto più pragmatica: conviene usare l’idrogeno blu finché non è disponibile quello verde, punto. “Il blu è una transizione […] è assolutamente chiaro che la priorità sia il verde”. Intanto si sviluppa l’infrastruttura di distribuzione e, a fronte dell’offerta, sale la domanda e si diffonde l’adozione della tecnologia. Lasciando il tempo alle fonti (di elettricità e idrogeno) di rinverdire la filiera.
Parallelamente, occorre pensare anche al gas naturale come tecnologia ponte. Per ottimi motivi, come ha sottolineato il ministro portoghese per l’ambiente e la transizione ecologica João Pedro Matos Fernandes: “Il gas naturale è importante per la transizione ma non so per quanti anni potremo utilizzarlo”, motivo per cui il blending, cioè miscelare gas naturale e idrogeno, “è un’ottima ipotesi”.
Da segnalare che l’industria italiana è all’avanguardia in fatto di blending; Snam, realtà leader in Europa, riporta che il 70% dei nuovi gasdotti che costruisce sono hydrogen-ready. Tra gli addetti ai lavori cresce la consapevolezza che quando l’idrogeno sarà copioso si potranno riadattare – a prezzi complessivamente irrisori – i gasdotti per trasportarlo. Un’eventualità che i Paesi terzi, come ha detto il commissario Simson, “sono ansiosi di discutere”.