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Pechino salva Evergrande oppure no? Lo stallo cinese che costa miliardi

Gli esperti di Carnegie si aspettano un intervento del governo a stretto giro per fermare un contagio che ormai ha valicato le frontiere cinesi. Ma sarà solo nuovo debito per sanare quello vecchio. Standard&Poor’s ci crede poco e si aspetta lo stallo a oltranza. Chi rimane al palo, intanto, sono i creditori…

Fate presto. A qualcuno verrà in mente il celebre titolo del Sole 24 Ore nel pieno della crisi del novembre 2011, con lo spread Btp/Bund a oltre 500 punti base. Ma forse il tutto si può aggiornare al 2021, anno della grande e spaventosa crisi immobiliare cinese, il cui simbolo è il collasso di Evergrande, gigante che in portafoglio ha 1.300 complessi immobiliari in 280 città ma insolvente per 305 miliardi di dollari e con le azioni ridotte ormai a carta straccia causa perdita del 90% del valore. Il contagio, come dimostra l’andamento dei titoli dei principali operatori immobiliari, è ormai in atto e difficilmente di potrà arrestare.

A meno che Pechino non decida di prendere sul serio la situazione in mano, hanno scritto gli esperti del Carnegie in un paper dedicato proprio alla drammatica crisi del mattone cinese, che trova in Evergrande la sua massima espressione. Un male che viene da lontano ma che il governo di Xi Jinping non può continuare ad ignorare. Prima agirà, meglio sarà.

DEBITO CHIAMA DEBITO

“Con obiettivi politicamente contrastanti”, scrivono gli economisti di Carnegie, “è molto difficile prevedere come reagirà Pechino. È chiaro, tuttavia, che i regolatori devono agire rapidamente per contenere la diffusione dei costi delle difficoltà finanziarie. A questo punto l’ipotesi migliore è che nei prossimi giorni o al massimo settimane il governo adotterà misure concrete. Ma, attenzione, qualunque decisione venga presa verrà fatta ricorrendo a nuovo debito, il che potrebbe non risolvere molto”. Pechino, insomma, potrebbe alla fine davvero intervenire con un salvataggio di Stato. Ma l’operazione costa e per sanare il debito, mostruoso, di Evergrande potrebbe essere necessario aprire nuove falle.

PECHINO AGISCE O NO?

Al Carnegie, ma non solo lì, sono più che convinti che la prima cosa da fare sia fermare il contagio riconducibile a Evergrande. “Il primo e più evidente rischio è quello del contagio del mercato del credito. In questo momento i regolatori cinesi sono ancora in attesa, ma prima o poi dovranno agire. Non bisogna dimenticare che poiché il sistema finanziario cinese è in gran parte chiuso, con la presenza di creditori stranieri e indipendenti molto limitata, le autorità hanno un profondo grip e possono intervenire rapidamente per evitare che il contagio di Evergrande causi un effetto valanga”.

IL REBUS DEI CREDITORI

Un altro passaggio dell’analisi di Carnegie è dedicato al futuro dei creditori, che prima o poi andranno risarciti. “La maggior parte degli analisti si aspetta, giustamente, una gerarchia nei rimborsi. Innanzitutto si procederà con i risparmiatori privati, quelli che hanno sottoscritto i bond Evergrande, poi con ogni probabilità sarà il turno delle banche locali che hanno finanziato i progetti urbani e immobiliari. Infine tutti gli altri creditori, inclusi quelli esteri”. Uno schema che potrebbe creare qualche problema. “Ci si può aspettare un’impennata delle cause legali poiché questi creditori stranieri rivendicano una discriminazione ingiusta”.

I DUBBI DI STANDARD&POOR’S

Ma sulla scelta di Pechino di intervenire o meno, mentre il dramma aumenta di proporzioni, c’è chi ha dei dubbi. Standard&Poor’s non ritiene che il governo cinese interverrà per salvare Evergrande. “Noi non ci aspettiamo che il governo dia alcun sostegno diretto a Evergrande. Noi crediamo che Pechino sia solo impegnata a intervenire se dovesse esserci un contagio di più ampia portata che cause fallimenti multipli di grandi sviluppatori e ponga un rischio sistemico all’economia”.

Peccato che nel mentre, la stessa agenzia di rating abbia declassato Sinic Holdings Group a CCC+, con outlook negativo, citando l’incapacità del costruttore cinese basato a Shanghai di “comunicare un chiaro piano di rimborso” di un bond in scadenza.  Sinic ha avuto un crollo dell’87% alla Borsa di Hong Kong, fino a 0,50 dollari, con la conseguente sospensione dei titoli dalle contrattazioni: è il contagio, l’ennesimo.



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