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Evergrande, la lezione di Draghi del 2009 e il G20 italiano

Da Londra 2009 a Roma 2021. L’auspicio che Draghi riesca a consolidare un assetto unitario della governance finanziaria globale per garantire stabilità ed evitare una crisi scatenata dalla Cina

Sotto lo sguardo vigile della polizia, per più di due mesi centinaia e centinaia di cittadini cinesi (fornitori, clienti e piccoli azionisti) hanno protestato vivacemente nel Zhouyue Houai Center di Shenzhen, dove la direzione generale di Evergrande (la seconda società immobiliare cinese) occupa venti piani di un grattacielo.

Tra i manifestanti c’è chi pretende il pagamento delle fatture non pagate da anni, ci sono persone che rivendicano la propria casa pagata alla società immobiliare e mai costruita, c’è una miriade di piccoli azionisti (tra cui numerosi dipendenti) che vedono sparire nel nulla i loro risparmi e vogliono essere rimborsati.

La crisi del colosso Evergande ha messo in evidenze alcune antiche e recenti fragilità del sistema finanziario ed economico cinese. Nei giorni scorsi alcuni giornalisti finanziari, memori della celebre vicenda di Lehman Brothers, si sono chiesti: il mondo è nuovamente sull’orlo di una crisi finanziaria globale per i guai dell’economia cinese?

Federico Rampini, noto per i suoi commenti audaci e intelligenti, talvolta rischiando di esagerare, è arrivato al punto di dare per scontato nel prossimo futuro “una nuova crisi del ’29” innescata dalla Cina. Per la cronaca sul versante opposto si collocano alcuni centri studi, tra cui spiccano per il grande ottimismo gli analisti di Credit Suisse.

La verità è che nessuno è in grado di rispondere con certezza alla domanda iniziale; ma almeno per ora la possibilità di una crisi finanziaria globale appare relativamente remota per due ragioni. La prima è essenzialmente reputazionale. Il governo di Pechino – in questa fase di aspra rivalità con gli Stati Uniti – non può permettersi una perdita di credibilità nei mercati internazionali e farà di tutto per evitare il contagio. La seconda è che rispetto al 2007-2008 i meccanismi di prevenzione, early warning, monitoraggio e controllo delle istituzioni finanziarie internazionali sono notevolmente più incisivi.

Una crisi finanziaria internazionale collegata alle difficoltà cinesi costituisce, tuttavia, un’ipotesi che sarebbe irresponsabile escludere a priori. Mi riferisco al collasso del settore immobiliare, alla sovrapproduzione di veicoli elettrici, al deficit energetico e agroalimentare, all’insolvenza di alcune banche locali e, infine, all’inaspettata crescita del volume complessivo dei debiti accumulati dalla Cina, e in particolare a quelli contratti delle amministrazioni municipali.

È quindi bene evitare il panico, ma al tempo stesso è necessario adottare misure preventive adeguate. Dopo il biennio nero 2007-2008 (innescato dalla bolla immobiliare negli Stati Uniti) una nuova crisi finanziaria globale è da evitare a ogni costo. Oggi una nuova crisi finanziaria – abbinata alla perdurante pandemia globale e all’accelerazione dei cambiamenti climatici – produrrebbe effetti devastanti sul futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti.

Per quanto riguarda la Cina le reazioni positive alla prima iniezione di 90 miliardi di yuan della Banca centrale nel circuito finanziario cinese conferma quanto affermato dalla maggioranza degli analisti. La capacità di fermare il contagio dipenderà innanzitutto dall’efficacia delle decisioni e dalle riforme che saranno assunte dalle autorità monetarie, dal governo e dal Partito comunista cinese.

Tuttavia, è un errore considerare la crisi innescata da Evergrande un esclusivo affare interno al Dragone. Qualora necessario (nell’interesse stesso dell’Occidente) le istituzioni finanziarie internazionali dovranno sostenere la Cina e contribuire alla prevenzione di gravi sviluppi negativi.

Speriamo che non ce ne sia bisogno, ma la disponibilità nei confronti di Pechino – in nome della stabilità finanziaria mondiale – dovrebbe essere chiaramente espresse (nelle forme opportune) in occasione del G20 che si terrà sotto la presidenza italiana il 30 e 31 ottobre prossimo a Roma.

I lettori di Formiche.net sanno bene che da più di dieci anni (e prima di molti altri) ho segnalato i gravi pericoli derivanti dal neo-totalitarismo digitale dalla leadership cinese in politica interna e dall’aggressività della sua wolf diplomacy in politica estera.

A più di 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino stiamo tornando a una netta divisione del mondo in due blocchi contrapposti: il mondo libero e il mondo dei regimi illiberali o peggio totalitari.

Tuttavia la stabilità finanziaria globale, il diritto universale alla salute e la tutela dell’ambiente sono grandi sfide che richiedono un approccio comune.

Per quanto riguarda l’economia internazionale in passato purtroppo non è stato così. Dopo il 1989 si erano accese grandi speranze. Mi limito a un solo esempio. I massicci aiuti del Fondo monetario internazionale e del Tesoro americano al Messico per far fronte alla drammatica “Tequila crisis” del 1994 suscitarono legittime aspettative in numerosi altri Paesi del mondo. Ricordo bene (perché per ragioni lavoro ero spesso a Mosca e Hong Kong) come si aspettavano aiuti e misure assimilabili a quelle assunte per la crisi messicana.

Purtroppo le aspettative furono deluse. Poco o niente fu fatto per mitigare le grande crisi del Sud-Est asiatico (1996-1997) e della Russia (1997-1998). Le aspettative andarono deluse e l’inerzia dell’Occidente in quelle circostanze è stata un errore di portata strategica che a 20 anni di distanza stiamo ancora pagando, ma la storia non si fa con i se.

Tornando all’attualità, le interconnessioni globali (e in alcuni segmenti economici la vera e propria interdipendenza) tra istituzioni finanziarie sono oggi rilevanti nonostante le promesse di decoupling di Donald Trump e il cosiddetto “doppio circuito” lanciato da Xi Jinping. Ed è ancora aperta tutta la questione della Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP).

A Wall Street per delisting di alcune imprese cinesi si parla del 2024, e a Pechino le misure adottate per un ulteriore irrigidimento dei controlli degli investimenti stranieri sono ancora allo stato iniziale. La verità è che c’è ancora molta interdipendenza nell’assetto bipolare che si prospetta nel futuro assetto delle relazioni internazionali. E l’interdipendenza è materia da trattare con molta prudenza.

Un grande studioso delle relazioni Internazionali, Kenneth Waltz, ha messo in luce più di 40 anni fa quanto un’eccessiva interdipendenza tra le nazioni possa diventare un pericoloso driver di tensioni politiche, conflitti e guerre.

Sotto questo profilo lo scontro politico tra Cina e Stati Uniti sembra entrato in una fase di vera e propria escalation. Da tempo Giappone, Corea del Sud, Australia, India, Vietnam, Filippine, Taiwan sono preoccupati e premono perché gli Stati Uniti adottino una politica di contenimento più incisiva verso la Cina.

La fornitura di sommergibili a propulsione nucleare all’Australia, il Quad, l’Aukus, la vicinanza a Taiwan, le manovre navali nel Mar Cinese meridionale indicano che gli Stati Uniti non sono insensibili ai timori dei loro alleati asiatici.

In questo difficile contesto e a un mese dal G20 a presidenza Italiana la domanda da porsi chiave è la seguente: è possibile conciliare il clima politico (con toni da guerra fredda) con alcune convergenti che puntino ad assicurare: a) stabilità economica e finanziaria; b)accordi in materia di cambiamenti climatici; c) politiche efficaci in materia di Global Health con particolare riferimento alla distribuzione dei vaccini contro la pandemia e alla creazione nei paesi più poveri di sistemi sanitari nazionali?

Dopo il G20 di Londra del 2009 Mario Draghi, nella veste di presidente del Financial Stability Board, ebbe il coraggio di introdurre un concetto innovativo nella dottrina economica e nella politica finanziaria. Per contrastare le aspettative derivanti dal “too big to fail” ed evitare il ripetersi del contagio globale seguito al fallimento di Lehman Brothers, Draghi ha introdotto la nozione di “istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica”. In sostanza ha proposto e ottenuto un trattamento speciale per le banche di grandissima dimensione che (in caso di grave crisi e/o fallimento) sono purtroppo in grado di produrre conseguenze gravissime sull’intero sistema finanziario globale. La crisi del 2007-2008 ha, infatti, confermato che per evitare questo rischio non bastano né le normali regole di mercato né la vigilanza ordinaria delle banche centrali.

Dal G20 di Londra gli istituti finanziari dotati di un potere cosi rilevante sono soggetti a un particolare regime. Negli studi di economia il fattore potere non viene più considerato solo market power come possibile ostacolo alla concorrenza da rimuovere con politiche antitrust. Dopo il 2009 lo studio del potere in economia – in analogia con la scienza politica – diventa un fattore centrale per l’analisi e nella prevenzione delle crisi sistemiche.

La conseguenza pratica è che la sicurezza (oggi sarebbe di moda usare il termine resilienza) è diventato un imperativo per le banche più grandi e potenti del mondo. Le banche di rilevanza sistemica globale devono, infatti, raggiungere standard e superare stress test particolarmente severi. E a Basilea esse sono costantemente sotto i riflettori del Financial Stability Board e della Bank for International Settlements.

Nel 2020 il Fsb ha identificato 30 istituzioni di rilevanza sistemica globale di cui quattro sono cinesi: Bank of China, Industrial and Commercial Bank of China, China Construction Bank, Agricultural Bank of China. Per inciso nel 2020 l’unica banca italiana di rilevanza sistemica globale è Unicredit. Le quattro banche cinesi, come peraltro quelle americane, europee e di tutto il mondo, seguono le regole nate in seguito del G20 di Londra e accettano la supervisione del Fsb.

Il primo auspicio che intendo formulare è che (nonostante le tensioni sino-americane) Draghi riesca a consolidare un assetto unitario della governance finanziaria globale per garantire stabilità. Il secondo è che il presidente del Consiglio convinca i leader del mondo che strumenti e procedure istituzionali analoghe devono essere essere realizzati per tutela dell’ambiente e Global Health.

Di fronte a quasi 5 milioni di morti – per fare l’esempio più eclatante – non è tollerabile che l’Organizzazione mondiale della sanità abbia impiegato quattro mesi a dichiarare la pandemia, così come essa non disponga di alcun autonomo potere ispettivo.

Negli anni del bipolarismo Stati Uniti-Unione sovietica fu possibile promuovere il dialogo tra le grandi potenze e la realizzazione della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza europea. Oggi lo scontro politico che oppone le visioni politiche della Cina e della Russia ai valori di libertà propri delle società aperte (democrazie europee, asiatiche e Stati Uniti) non deve impedire al G20 di Roma di varare nell’interesse di tutto il mondo misure convergenti su stabilità finanziaria globale, tutela dell’ambiente e diritto universale alla salute.

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