Salvo rinvii dovuti alle tensioni per la vicenda Aukus, la prossima settimana iniziano i lavori del Consiglio per il commercio e la tecnologia fra Ue e Usa (Tcc). Graham Brookie, direttore del Digital forensic research Lab (Atlantic Council): siamo a un punto di svolta, per fermare l’autoritarismo digitale cinese. 5G, chip e big tech, ecco la road map
Il terremoto Aukus rischia di mietere una vittima illustre nei prossimi giorni. Nonostante le rassicurazioni telefoniche fra Joe Biden ed Emmanuel Macron rimane alta la marea tra Europa e Stati Uniti all’indomani del patto militare fra americani, australiani e inglesi nell’Indo-Pacifico che ha mandato in fumo una commessa francese da 56 miliardi di euro.
Mercoledì prossimo, il 29 settembre, è fissata in agenda la prima riunione del Consiglio per il commercio e la tecnologia fra Ue e Usa, l’organo consultivo che detterà le regole del gioco del mondo tech, dalla regolamentazione della Silicon Valley ai parametri di sicurezza per le tecnologie emergenti. Il primo, vero banco di prova dell’alleanza fra i due blocchi sul fronte più sensibile della competizione con la Cina.
I lavori dovrebbero partire fra una settimana, a Bruxelles. Il condizionale è d’obbligo: dopo lo strappo su Aukus l’appuntamento potrebbe slittare a data da definirsi. È quanto hanno fatto trapelare i vertici della Commissione europea, compreso il Commissario al Mercato interno Thierry Breton, è uno scenario che considerano in queste ore i funzionari del Dipartimento di Stato che lavorano al dossier.
“Cancellare l’incontro sarebbe un grave errore”, dice a Formiche.net Graham Brookie, direttore del DfrLab (Digital forensic research Lab), il centro specializzato nella ricerca tech dell’Atlantic Council. “Poco importa se viene rimandato di una o due settimane, è fondamentale che le due parti si incontrino. Questo Consiglio nasce per mettere intorno a un tavolo Ue e Usa e permettere loro di coordinarsi su questioni estremamente sensibili e in rapida evoluzione”.
Intelligenza artificiale, 5G, microchip, la posta in gioco è alta. Le premesse non ottimali. A Bruxelles c’è una certa reticenza sui preparativi, e il dubbio che gli americani vogliano fare del consiglio una scure contro gli investimenti cinesi. “Un dubbio ingiustificato – dice Brookie – parliamo di una nuova frontiera del policymaking vitale per le democrazie”.
Da parte americana il dubbio è un altro: che i francesi, piccati per la vicenda Aukus, vogliano fare dell’ostruzionismo al Consiglio una leva negoziale. “Sarebbe miope e contro lo spirito con cui è nato. Il Ttc ha l’obiettivo di stendere un piano comune sulle tecnologie emergenti e su come usarle in modo democratico”. Ma anche per mettere i paletti alle mire (non solo) di mercato dei Paesi autoritari. “Dobbiamo coordinarci sull’uso autoritario di queste tecnologie, penso all’Intelligenza artificiale, da parte di Paesi come la Cina. È un ventaglio vastissimo e in ballo c’è la sicurezza e la difesa dei nostri interessi nazionali”.
L’agenda è fittissima. Si partirà dall’emergenza numero uno: la crisi mondiale dei semiconduttori, i chip microscopici che fanno funzionare interi comparti industriali, dall’automotive alle telecomunicazioni. Nessuno è sfuggito alla tempesta: lo shock della pandemia sulle supply chain ha dato il via a una caccia internazionale ai siti di produzione, ai materiali per fabbricarli, i “metalli rari” come il silicio, e soprattutto al know-how necessario.
“Se non rendiamo resiliente ogni anello, salta l’intera catena”, spiega l’esperto dell’Atlantic Council. “L’autonomia strategica passa da qui. Il Ttc è il luogo ideale per individuare standard di trasparenza e responsabilità condivisi fra Europa e Stati Uniti, creare uno spazio scomodo per i regimi autoritari”.
I nodi da sciogliere non mancano, anche fra alleati. Su tutti, le limitazioni all’export imposte a suon di sanzioni dagli Stati Uniti, ad esempio all’Olanda, per evitare che i più ambiti stabilimenti di chip europei finiscano nelle mani dei cinesi. Alla sfida dei microchip si somma la partita, ormai in corso, della rete 5G. Anni di pressing di Washington, prima con Donald Trump, ora con Joe Biden, hanno avuto alterne fortune in Europa. Si contano su una mano i Paesi che, come il Regno Unito, hanno imposto un bando formale di aziende cinesi come Huawei, accusate dagli 007 americani di spionaggio per il Partito comunista cinese.
“I risultati ci sono – dice il direttore del DfrLab – diversi alleati hanno iniziato a mettere in dubbio gli standard di sicurezza della tecnologia cinese. Ovviamente anche gli Stati Uniti devono fare la loro parte. Ci sono esigenze di mercato che non possiamo ignorare, Paesi che si trovano costretti a compare la tecnologia più economica”.
Sarebbe un errore, però, pensare che quella cinese sia l’unica spina fra alleati sul fronte tech. Nella mission del Tcc c’è infatti anche il tentativo di trovare un compromesso sulla regolamentazione delle big tech, un vero pomo della discordia fra Washington e Bruxelles. Un punto di incontro a metà, chiude Brookie, è necessario. “Il Digital Services Act (Isa) e il Digital Market Act (Dma) introdotti dall’Ue hanno fatto da apripista. Si sono spinti molto oltre, ma ci sono alcune pratiche del regolatore europeo che dovremmo replicare nel mercato americano”.