La riflessione lanciata dall’Environment Defense Fund (in collaborazione con Amici della Terra) ha riguardato la responsabilità transnazionale degli emettitori di gas serra. Per poter contenere il riscaldamento si intervenga subito sulla filiera del metano, scrutinando i Paesi produttori quanto quelli che lo importano secondo i dettami della responsabilità comune
Si è appena conclusa presso la Biblioteca della Camera dei Deputati la conferenza “Per una responsabilità etico-climatica transnazionale”, un evento organizzato dall’Environment Defense Fund (Edf) con Amici della Terra e selezionato per far parte del ciclo di iniziative a latere della Pre-Cop26 di Milano, a sua volta propedeutica alla conferenza del clima di Glasgow (co-organizzata da Italia e Regno Unito) che si terrà a novembre.
Il forum ha preso la forma di una riflessione sulla responsabilità transnazionale degli Stati e dell’industria energetica in merito al clima. L’allarme degli scienziati internazionali lanciato d’estate con il rapporto Ipcc (che sarà alla base della Cop26) ha correlato “inequivocabilmente” il riscaldamento del pianeta con le emissioni climalteranti prodotte dall’essere umano.
Come ha ricordato Ilaria Restifo, rappresentante dell’Edf per l’Italia, nel discorso di apertura dei lavori, il rapporto Ipcc sottolinea che “in assenza di riduzioni [delle emissioni] immediate, l’obiettivo di contenere la temperatura entro i 2°C è fuori da ogni portata”. Occorre dunque intervenire subito nel settore energetico, “quello in cui la mitigazione risulta più rapida ed efficace per contenere il riscaldamento”, poichè da esso provengono la stragrande maggioranza delle emissioni.
Restifo ha indirizzato la discussione su binari ben precisi: il metano, gas quattro volte più climalterante della CO2 ma anche risorsa cruciale per la transizione ecologica in quanto principale componente del gas naturale. Qui il nodo: l’Europa è fortemente dipendente dai Paesi terzi per l’importazione di metano, primo tra tutti la Russia (che copre il 40% del fabbisogno del Vecchio continente), caratterizzati da standard ambientali molto meno rigorosi.
A patirne le conseguenze è il clima, perché i Paesi fornitori si trovano nella posizione di poter produrre impunemente quelle emissioni nocive – anche attraverso la produzione di gas – che il ricorso europeo al gas naturale dovrebbe limitare. E per quanto ogni Paese abbia la piena sovranità nel decidere come impiegare le proprie risorse naturali, le sue pratiche si ripercuotono direttamente sulla performance climatica dei Paesi a cui esportano energia.
“C’è da pensare che il principio di responsabilità comune ma differenziata sia stato sinora applicato in maniera non pienamente bilanciata, lasciando che la dimensione della responsabilità differenziata prevalesse su quella della responsabilità comune”, ha rimarcato Restifo, prima di sottolineare la necessità di una responsabilità condivisa che rifletta l’obbligo comune di cooperare nella gestione del clima.
Questa responsabilità, ha detto Restifo, ricade sui Paesi esportatori come anche su quelli che importano, non solo limitatamente ai beni che acquistano, ma anche nella forma della responsabilità sociale delle aziende che realizzano le infrastrutture nei Paesi esportatori nel trasferire know-how decarbonizzante.
“Resta però ancora aperto il tema di come tradurre questo esito in politiche condivise a livello internazionale”, ha concluso l’esperta, lasciando la parola a una schiera di climatologi, economisti, sociologi e filosofi. Le parole di chiusura del sottosegretario agli affari esteri Benedetto Della Vedova hanno posto l’accento sulla necessità di “continuare con impegni da assumere collettivamente in un’ottica di multilateralismo, integrando la protezione ambientale con lo sviluppo economico sostenibile e rafforzando i nostri impegni di supporto tecnico e finanziario nei confronti dei Paesi in via di sviluppo”.