Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma, legge un piccolo libro di Leonard Boff, Abitare la terra. Quale via per la fraternità universale? (Castelvecchi, con una puntuale e ricca prefazione di Pierluigi Mele)
Non esiste solo il bla-bla bla sulla questione ecologica; esiste anche un moltiplicarsi di pensiero e impegno: da Greta Thunberg a papa Francesco, dai movimenti civici ai politici seri e fattivi. Un piccolo libro di Leonard Boff, Abitare la terra. Quale via per la fraternità universale? (Castelvecchi, con una puntuale e ricca prefazione di Pierluigi Mele) si inserisce in questa scia di pensiero e azione.
L’autore tenta, prima di tutto, tracciare una linea comune tra la Carta della Terra (2003), nata da un’ampia consultazione e approvata dall’Unesco e le encicliche di papa Francesco Laudato sì. Enciclica sulla cura della Casa Comune (2015) e Fratelli tutti (2020). La casa è comune, quindi anche l’impegno per la salvaguardarla è comune: chiede a uomini e donne di ogni cultura, religione e territorio di creare sinergie continue perché questo mondo perisca tra disastri ambientali e uso scellerato. Tuttavia gli appelli continui, se si osserva bene, rimandano a ciò che Boff dice chiaramente: “Sfortunatamente, c’è un deficit di cultura ecologica e di coscienza della gravità della situazione globale sia tra coloro che prendono decisioni, sia a livello collettivo” (p. 25). Il deficit di cultura ecologica è una costante determinante; non si può ridurre il tutto all’invito a rispettare gli ambienti e praticare la raccolta differenziata.
Il deficit culturale, inoltre, ci impegna a tentare una lettura del problema ecologico più radicale. L’Autore la individua nella “volontà di potenza come dominio su tutte le cose. La Terra e la natura non hanno valore in sé, ma solo nella misura in cui si plasmano agli esseri umani. Al servizio del dominio è stato eretto il potente strumento della tecnoscienza, che ci ha portato immensi vantaggi ma allo stesso tempo i rischi di cui sopra” (p. 36). Qui ci sarebbe non solo da approfondire, ma anche da individuare la responsabilità di tutte le agenzie educative nel promuovere un modello di persona che non domini gli altri e l’ambiente ma sia a servizio (non retorico) di essi. Boff dice sinteticamente che la sfida è passare dal dominus al frater (p. 27).
“Finché – continua Boff – prevarrà l’archetipo del potere-dominio come asse strutturante di tutto, non ci sarà mai fraternità tra gli uomini e il creato. La sua natura umana fa sì che quest’archetipo sia latente dentro ciascuno di noi. In noi si nascondono un Hitler, uno Stalin, un Pinochet e un Bolsonaro” (p. 50). Raramente, se non nei gruppi più formati in tema ambientale, si porta l’analisi a questa profondità: molte cose non vanno per questa idolatra volontà di potenza su tutto e tutti. “Dobbiamo mettere sotto un severo controllo – scrive l’Autore – questa figura funesta che vive in noi, se vogliamo mantenere la nostra umanità. Se ci consegniamo alla seduzione del potere-dominio rompiamo tutti i legami, e l’indifferenza, l’odio e la barbarie possono occupare l’intero spazio della coscienza, come sta accadendo in diversi Paesi del mondo” (p. 50). E qui si disegna molto bene il cammino di recupero della fratellanza, non come invito retorico, ma come possibilità unica di salvarci tutti insieme e insieme all’ambiente naturale e a quello trasformato dal lavoro umano. Papa Francesco docet.
Un’ultima considerazione. Ho apprezzato molto l’invito di Leonardo Boff a praticare una virtù, in genere, relegata all’ambiente religioso: l’umiltà. Mi ha ricordato le pagine di Norberto Bobbio (Elogio della mitezza, 1994), che compie lo stesso tentativo di richiamare alla necessità di essere miti e umili con tutti, diremmo oggi anche con l’ambiente. “L’umiltà radicale – nelle parole di Boff – implica porsi a livello dell’humus, della terra, dal quale tutti proveniamo e in cui tutti ci riconosciamo come fratelli e sorelle. Perché ciò avvenga occorre intraprendere un cammino che ci faccia scendere dal piedistallo – dove ci collochiamo come signori e padroni della natura – e operare una radicale rinuncia a qualsiasi titolo di superiorità” (p. 52).