Virginia Raggi non si sente sconfitta e vuole togliersi qualche sassolino. Conte e Di Maio sono volati a Napoli da Manfredi lasciandola sola con il nucleo della sua corrente. E lei è pronta a rivendicare una leadership nazionale. Grillo da che parte starà?
Lo psicodramma Cinque Stelle all’indomani delle amministrative non è nei numeri, è in un’istantanea. Quella che ieri sera ha ritratto la sindaca uscente Virginia Raggi sola, a fare i conti con una sconfitta cocente, circondata da un gruzzolo di deputati e pochi aficionados nella calca dei cronisti.
Trecento chilometri più in là, in quello stesso momento, a Napoli il capo del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte e Luigi Di Maio festeggiavano la vittoria schiacciante di Gaetano Manfredi, il fu ministro dell’Università che ha sbaragliato la concorrenza grazie a una coalizione larga di centrosinistra e grillini.
Serve uno zoom in più per mettere a fuoco i pixel. Ecco allora che a uno sguardo più attento la sconfitta della Raggi a Roma, vaticinata da tutti i sondaggi alla vigilia, non è poi così cocente come sembra. Lei, trasudando una certa stizza, ha lanciato un messaggio a uso tutto interno che sapeva di ultimatum: “Terremo altre conferenze stampa nei prossimi giorni”. Come a dire: non finisce qui. Poi l’annuncio: nessuna indicazione di voto, Gualtieri insomma non avrà l’endorsement, e la promessa di “vigilare” sul prossimo sindaco.
Uno sgambetto in piena regola al disegno di Conte, che tra una telefonata con Enrico Letta e un abbraccio a Manfredi già dichiara opposizione nuda e cruda “alle destre”. Conte e Di Maio sono nominati dalla sindaca alla fine, sottovoce, dopo aver ringraziato “una parte” dei parlamentari che le è stata vicino.
Più che una rinuncia, la conferenza stampa è il vero annuncio della discesa in campo. Conte da ora in poi dovrà vedersela con la “corrente Raggi”. Nella sala dei saluti con la stampa c’è il nucleo inziale. Dietro la sindaca uscente a farle la guardia il deputato Francesco Silvestri e la senatrice Giulia Lupo, con loro il capogruppo Giuliano Pacetti e l’ex Paolo Ferrara. Sono fra i firmatari dell’appello a sostenere la sindaca all’indomani della sua ri-candidatura, quando invece il reggente Vito Crimi la invitava neanche tanto sommessamente a fare un passo indietro per aprire un’autostrada a Gualtieri. Il convitato di pietra è Alessandro Di Battista, che come Raggi ha sull’anima l’alleanza con il Pd e non manca di farle avere la sua benedizione via Facebook, “grazie per la dignità e l’impegno, grazie per quei NO coraggiosi”.
Sullo sfondo c’è Beppe Grillo. Il guru e garante ha sempre difeso a spada tratta la sindaca, che è amatissima dalla base grillina e molto meno dalla dirigenza, e l’ha appena inserita nel nuovo “Comitato di garanzia” costruito intorno a Conte (per commissariarlo?).
Oggi si trova in una posizione scomoda. Da una parte continua ad essere il padre e padrino dell’alleanza giallorossa. Dall’altra mal sopporta la leadership dell'”avvocato del popolo”. Solo tre mesi fa definiva l’ex premier una persona “senza visione politica e capacità manageriali”. Poi la tregua, che è fragile e appesa a un filo. Non è passata inosservata, a poche ore dalla chiusura delle urne, la vecchia foto insieme a Gianroberto Casaleggio postata da Grillo su twitter: “Dodici anni fa abbiamo fatto l’impossibile. Ora dobbiamo fare il necessario!”.
Non proprio un assist alla nuova era Conte, che con il figlio di Casaleggio, Davide, è andato allo scontro frontale e oggi difende la Raggi solo a metà: “Se non siamo stati premiati non possiamo scaricare solo sugli attacchi”.
I risultati delle amministrative, conferma Grillo, sono deludenti. Ma c’è delusione e delusione. E quel 20% conquistato con le unghie dalla Raggi, “sola contro la corazzata di destra e sinistra”, ha tenuto a precisare lei non a caso, è da dove bisogna ripartire. La Raggi si conta, e vuole contare. Molto di più.