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Legge delega, una riforma che apre ad aggravi fiscali. Scrive Zecchini

Il Paese si appresta ad affrontare, con la legge delega appena presentata, una terza grande ristrutturazione del sistema tributario che ha vaste implicazioni e lascia ampia latitudine al governo su come dare contenuto alle direttive generali. Scorrendo gli articoli della delega è difficile trovare vincoli, o limiti, o smentite alla possibilità di disporre maggiori prelievi impositivi da parte di Stato, Regioni e Comuni…

Dopo la riforma Vanoni e quella del biennio 1973-74, il Paese si appresta ad affrontare, con la legge delega appena presentata, una terza grande ristrutturazione del sistema tributario che ha vaste implicazioni e lascia ampia latitudine al governo su come dare contenuto alle direttive generali che ha enunciato. Che il sistema attuale avesse bisogno di una completa risistemazione era evidente da anni, ma i termini della delega proposti dal governo gli lasciano grande spazio per generare maggiori entrate in una fase in cui i bilanci pubblici sono in profondo rosso e il debito pubblico al limite della sostenibilità. Quindi si fa leva su uno stato quasi di necessità, determinato dal fabbisogno di coprire i disavanzi di bilancio e dagli obblighi di osservare le clausole del Pnrr, per poter dischiudere l’accesso a nuove risorse, senza dover passare di volta in volta attraverso le forche caudine dell’approvazione parlamentare. In effetti, scorrendo gli articoli della delega è difficile trovare vincoli, o limiti, o smentite alla possibilità di disporre maggiori prelievi impositivi da parte di Stato, Regioni e Comuni, se non in campi molto circoscritti e sempre modificabili con successivi provvedimenti legislativi, come nel caso della revisione dei valori immobiliari. La realtà nascosta tra le pieghe degli articoli e le dichiarazioni ufficiali è, invero, che si tende ad allargare la base imponibile e a rimodulare le aliquote senza alcuna perdita di gettito, consentendo all’opposto la sua dilatazione.

La conferma si ritrova nei dettagli del testo. La delega compre un vasto campo, mirando a ben nove obiettivi principali e fissando dodici traguardi intermedi, se si applicasse la terminologia del Pnrr. In particolare, gli obiettivi comprendono l’efficienza della struttura impositiva e della gestione della riscossione, l’alleggerimento delle imposte sui redditi dei fattori produttivi, lavoro, capitale e quanto viene considerato tale, la razionalizzazione e semplificazione del sistema, l’eliminazione dei micro-tributi, la progressività dell’imposizione fiscale, la gradualità dei cambiamenti, e la riduzione dell’evasione e dell’elusione dei tributi. Questi obiettivi vengono declinati in un numero superiore di traguardi intermedi che spaziano dal completamento del sistema “duale” di tassazione al riordino del catasto, delle deduzioni e delle detrazioni, alla razionalizzazione dell’Iva e delle imposte indirette, alle sovraimposte regionali e comunali e al superamento dell’Irap.

Sono questi alcuni dei punti critici su cui si intende intervenire, con la condizione aggiuntiva che la riforma non debba apportare alcun onere aggiuntivo per i conti pubblici, mentre si lascia impregiudicata la possibilità che ne scaturisca un aggravio per alcune categorie di contribuenti. Inoltre, con la preparazione di un codice delle norme tributarie si vuole apportare certezza, chiarezza e coerenza nella normativa tributaria, per disboscare quella selva di norme e disposizioni attuative che ha reso il sistema attuale così intricato e talvolta contraddittorio da esporre ogni contribuente, piccolo o grande che sia, al rischio di essere sanzionato per violazioni od omissioni. Purtroppo, su ciascuna delle criticità del sistema la delega non garantisce né sollievo fiscale, né certezza, né chiarezza, perché questi dipendono dal contenuto e dall’efficacia dei provvedimenti attuativi, dalla capacità di riesaminare adeguatamente tutte le norme vigenti in tempi non lunghi, come sarebbe necessario, e dalla copertura delle aree che la delega tralascia ma che pesano sul risultato finale. La riforma, in specie, non interviene sulla giustizia tributaria, né su tutte le imposte patrimoniali, considerando solo quelle catastali, né sullo spostamento del carico fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette, come raccomandato dalla Commissione Ue.

L’indirizzo generale della delega è sostenere la crescita economica riducendo il prelievo sui redditi dei fattori produttivi, non specificando cosa includono, ovvero il lavoro, il capitale e quale altro. Nell’economia moderna si è affermata la tesi che l’energia, i dati e i prodotti della ricerca e innovazione debbano essere considerati come fattori di produzione. Sono questi possibili bersagli di una tassazione alleggerita, sempre da compensare con altre fonti di gettito? Come altro fattore di crescita la delega assume l’efficientamento della struttura delle imposte, un concetto di difficile definizione che investe la composizione dei prelievi e non viene specificato nell’articolazione.

Si delineano, invece, i contorni della semplificazione della tassazione che viene perseguita riducendo il costo degli adempimenti sia per il contribuente, sia per l’amministrazione fiscale. Ne dovrebbe derivare un minor numero di obblighi e procedure, che potrebbe essere possibile con un’estesa digitalizzazione delle operazioni, rendendo le norme più semplici e chiare, e riformando l’amministrazione pubblica tributaria. Il compito non sembra che si possa assolvere in tempi brevi in quanto richiede interventi importanti in più settori, compresa la digitalizzazione. Non bastano le modifiche annunciate nell’organizzare il sistema di riscossione, che tocca solo la parte terminale del processo d’imposta. Su questo versante non vi è menzione di riforma nella conduzione della giustizia tributaria, né delle procedure esecutive, che sono invece essenziali per assicurare gli introiti dovuti. Attualmente solo una frazione modesta (attorno al 13% in media) dei tributi non pagati è effettivamente incassata, a fronte di 954 miliardi ancora da incassare nel 2019.

Altrettanto indeterminati sono gli strumenti con cui si intende contrastare l’evasione e l’elusione dei tributi, obiettivo chiaramente indicato nella delega e riaffermato nell’ultima Nadef. L’area da recuperare è ancora molto consistente: le stime del Mef per il 2019 indicano un ammontare di circa 110 miliardi per il totale di tributi, contributi ed altro, pari al 13,5% del dovuto. Sarebbe utile nella riforma introdurre un allentamento di alcuni vincoli che ostacolano l’accesso e l’incrocio delle informazioni esistenti in diverse banche dati di soggetti pubblici e privati.

La progressività dell’imposizione fiscale è, invece, una costante tra gli obiettivi della riforma, ma non è evidente come sarà applicata a livello di sistema fiscale, perché le indicazioni si fermano solo all’imposizione sui redditi. Il completamento del sistema duale di tassazione separata dei redditi di lavoro da quelli di capitale non può che portare a un prelievo più consistente dell’attuale per due ragioni principali. Per i lavoratori, l’abbassamento delle aliquote medie effettive per le fasce di reddito “medio”, probabilmente quelle tra 35 mila e 55 mila euro, dovendo anche rispettare il vincolo di non ridurre il gettito complessivo dell’IRPEF, non può che comportare il rialzo dell’onere fiscale per i redditi superiori a quelli considerati “medi”. Quanto ai redditi da capitale, la parificazione del prelievo tra le diverse attività avverrebbe verso l’aliquota proporzionale più alta tra quelle in vigore per non perdere gettito e per alleggerire il peso della tassazione sul lavoro. Né è di conforto l’impegno a mitigare l’impatto dei rialzi eccessivi delle aliquote marginali, ovvero le più elevate, perché la mitigazione è presentata come “graduale”. Rimane, invece, indeterminato l’effetto sui contribuenti del riordino di deduzioni e detrazioni sui redditi individuali e dell’armonizzazione dei prelievi sui risparmi.

Per i redditi d’impresa non è indicato alcun sollievo dalla tassazione, ma al contrario un allineamento con gli oneri sui redditi da capitale del sistema duale applicato alle persone fisiche, congiunto con una razionalizzazione e semplificazione delle imposte per far emergere l’effettivo reddito imponibile. Va nella stessa direzione la tendenza enunciata ad allineare i regimi di tassazione dei diversi tipi di impresa, che implica una limitazione dei trattamenti di favore di cui godono alcune tipologie di imprese.

La ristrutturazione dell’IVA e delle altre imposte indirette sarà improntata alla semplificazione di aliquote e basi imponibili, e alla coerenza con la disciplina europea, includendo anche l’impiego della tassazione per perseguire l’obiettivo europeo della transizione “verde” nella produzione e nel consumo di energia. In altri termini, si procederà verso prelievi penalizzanti per le fonti di energia più inquinanti, indirizzo che sarà messo alla prova quando si tratterà di smantellare gli attuali trattamenti di favore per alcune categorie, come le ditte di trasporto. Nessun cenno, peraltro, all’eliminazione di distorsioni, come l’applicazione dell’IVA sulle accise per i prodotti energetici e dei notevoli oneri di sistema sulle bollette elettriche.
Molto cauto si presenta l’orientamento verso l’eliminazione dell’IRAP, imposta fortemente avversata dalle imprese per il suo impatto anche sui costi di produzione: si prevede, infatti, una manovra graduale non di alleggerimento, ma di sostituzione con altre forme di prelievo.

L’elemento positivo nella revisione del catasto sta tanto nello stabilire l’impiego di strumenti tecnologici per rilevare gli immobili che sfuggono al fisco, quanto nel compiere una valutazione quasi di mercato del valore del patrimonio immobiliare. Un’operazione verità, che senza dubbio getta chiarezza sull’effettiva consistenza delle basi imponibili e sul divario tra valori catastali e quelli di mercato. Tuttavia, se si procedesse a usare i risultati per chiudere il divario, l’effetto sarebbe un forte aggravio per i contribuenti. Il governo si affanna a precisare che non interverrebbe sul divario fino al 2026, ma non vi è dubbio che si gettano le basi perché negli anni i prossimi governi possano farlo, perfino gradualmente. Ogni progresso in questa direzione andrebbe, ad ogni modo, considerato alla luce dell’intero sistema di tributi su redditi e patrimonio per non condurre a eccessi di pressione fiscale, dannosi per lo sviluppo economico.

Nell’ottica del federalismo fiscale si introduce una nuova imposta, chiamata sovraimposta sull’IrpefF a beneficio delle Regioni e dei Comuni, con limiti di aliquota prefissati. Anche in questo cambiamento non si tratta di un’operazione fiscalmente neutrale, perché si sostituisce a un’addizionale riferita all’imposta versata, che tiene conto delle esenzioni, un prelievo sulla stessa base imponibile dell’Irpef, che non ne tiene conto. Si creano, quindi, le premesse per poter accrescere il gettito, mentre ben poco si dice sulla responsabilizzazione di questi enti nella gestione della spesa.

Una proposta di riforma così ampia e su molti punti ancora non ancora definita nei contenuti può generare effetti non voluti ed altre distorsioni difficili da prevedere, oltre a ripercussioni sulla competitività del sistema produttivo e lo sviluppo economico. Giustamente la delega prevede di codificare in maniera organica l’attuale caotica disciplina tributaria e di ammettere la possibilità di introdurre correzioni ed integrazioni nei due anni successivi all’operare della riforma. Il compito di emanare i decreti attuativi, nondimeno, appare molto impegnativo sia sul piano tecnico che su quello del consenso politico. Non è certo che questo governo riesca a varare la riforma prima della scadenza della legislatura, ma in ogni caso ai successivi governi è data la facoltà di modificarne i contenuti anche con orientamenti diversi.

L’incertezza sul prossimo sistema tributario, quindi, non diminuirà, ma certamente qualsiasi riforma non potrà accontentare tutti, perché alcuni contribuenti, se non tutti, dovranno dare di più alla casse dello Stato per fronteggiare una situazione finanziaria attualmente squilibrata, in presenza di una spesa pubblica che avanza senza limiti. L’auspicio è, pertanto, che qual che sia il risultato finale, il nuovo sistema non rappresenti un ostacolo o un freno allo sviluppo degli investimenti, della produzione e dei redditi.



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