Skip to main content

Fuori le forze straniere dalla Libia. La posizione di Russia e Turchia

Ankara e Mosca hanno una posizione ambigua sulle (loro) forze militari straniere in Libia. Tra dichiarazioni e sforzi, il complicato impegno della Commissione 5+5

Le ambasciate di Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti hanno diffuso domenica 10 ottobre un comunicato congiunto in cui accolgono con favore la decisione della Joint Military Commission libica (Jmc) su un piano d’azione che tra le varie cose dovrebbe portare all’espulsione dal Paese delle unità militari straniere.

“Noi applaudiamo ancora una volta il patriottismo e l’impegno dei membri del Jmc, incoraggiandoli a cogliere questa opportunità per promuovere la piena attuazione dell’accordo di cessate il fuoco. Il piano d’azione nazionale che hanno adottato a Ginevra può essere la chiave per ripristinare la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale e l’unità nazionale della Libia. Ancora una volta ci uniamo all’inviato speciale delle Nazioni Unite nel chiedere a tutti gli stati membri di sostenere il Jmc e alle autorità libiche di attuare il piano. Lodiamo anche l’enfasi posta sulla consultazione e la cooperazione con i partner internazionali interessati, in particolare i vicini della Libia, nell’attuazione del piano”, scrive il comunicato.

Disarmo, smobilitazione e reintegrazione dei gruppi armati e di tutti gli attori armati non statali, sono considerati cruciali da molte parti della Comunità internazionale per arrivare a una costruzione del settore della sicurezza e alla creazione di un’architettura di sicurezza inclusiva, responsabile e guidata da civili. Questa posizione passa dal supporto all’operazione “Irini”’con cui l’Ue monitora il rispetto dell’embargo militare sulla Libia imposto dall’Onu con la risoluzione 1970 del 2011; passa dalla priorità di evitare che la presenza di armi nel Paese finisca per alimentare i gruppi terroristici libici e regionali; passa infine dalla necessità di infliggere pene ai responsabili di crimini di guerra durante le varie ondate di conflitto interno secondo i dettami del diritto internazionale.

Il punto è che attualmente la situazione è resa complessa dalle tipologie di quegli schieramenti militari stranieri in Libia, molti collegati ad attori statuali che seguono un’agenda diversa rispetto agli interessi del Paese (sono quelle parti della Comunità internazionale che guardano con disinteresse a certe decisioni), altri connessi alle dinamiche politiche libiche (dove le varie posizioni sono spesso rivendicate da gruppi armati legati ai vari leader locali). La fotografia sta nel comportamento russo e turco.

Ankara ha schierato in Libia un numero non precisato di advisor militari appartenenti alle forze regolari (sostanzialmente forze speciali e tecnici militari) e qualche migliaio di mercenari siriani (islamisti indottrinati che la Turchia usa per il lavoro sporco promettendogli una buona paga che spesso non riesce nemmeno a versare regolarmente). Sono presenti come frutto di un accordo che il governo turco ha stretto con l’ex esecutivo onusiano di Tripoli, noto con l’acronimo Gna, quando soffriva arretramenti a causa della campagna di conquista lanciata dal capo miliziano dell’Est Khalifa Haftar. Grazie a quelle unità, e ai droni che guidavano, Tripoli si è salvata; Haftar ha perso ed è stato costretto al cessate il fuoco; la Turchia ha guadagnato presa territoriale — e dunque influenza — in mezzo al Mediterraneo. Ankara rivendica la regolarità dell’intervento (portato a termine in un modo che né i Paesi europei né gli Usa potevano condurre, e questo è un vantaggio in termini di trattativa). Sulla base di quella regolarità considera il ruolo delle proprie truppe in Libia regolare.

La Russia ha invece schierato un contingente cospicuo (circa duemila unità) di contractor della Wagner. Si tratta di una società militare privata di cui tutti conoscono i link con il Cremlino (viene schierata anche questa per compiere lavori sporchi), ma su cui Mosca disconosce i collegamenti. Difficile dunque che il governo russo possa impegnarsi pubblicamente per far uscire un corpo militare clandestino che sta usando in Libia. Gli uomini della Wagner hanno fornito assistenza militare a Haftar, ma il loro ruolo non era quello di vincere la guerra libica, quanto piuttosto di  costruirsi (come la Turchia) un aggancio nel mezzo del Mediterraneo.

Se la Turchia ha avuto spazi in Libia, le ragioni sono due: la prima è, come detto, l’impossibilità per l’Ue e per i singoli Paesi europei (e per gli Usa) di farsi coinvolgere in un intervento militare; la seconda è proprio perché la sua presenza poteva bilanciare quella russa, meglio accettata (se rispetta certi paletti riguardo al controllo strategico del Canale di Sicilia) dagli americani, che invece ritengono la presenza di Mosca problematica. Stando le circostanze, diventa complicato implementare i buoni sforzi per l’espulsione delle forze straniere.

Per questo Bruxelles come Washington e Roma stanno spingendo per le elezioni, pianificate dall’Onu per il 24 dicembre. Votare viene considerato un passaggio tecnico perché permetterebbe alla presidenza e al governo passati per le urne di esercitare maggiori pressioni anche grazie a un supporto politico e diplomatico maggiore dalle cancellerie Usa-Ue. Anche perché l’attuale premier, Abdelhamid Dabaiba, nominato in sede omusiana con incarico ad interim perde ogni giorno presa. Sempre domenica, il vicepremier che rappresenta la Cirenaica, Hussein Atriya al Qatrani, ha definito Dabaiba un incapace perché non sa rappresentare le diversità politiche interne alla Libia: l’accusa diretta è di aver mantenuto per sé il ministero della Difesa, ambito dagli haftariana, luogo istituzionale da cui dovrebbe passare la costruzione di un’architettura di sicurezza interna.



×

Iscriviti alla newsletter