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Per una casa comune

Quando, nel 2008, l’Udc ruppe con Silvio Berlusconi e non accettò di aderire alla nascita del Pdl, pochi scommettevano che la formazione guidata da Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa sarebbe riuscita a superare la soglia di sbarramento e ad avere un ruolo nella legislatura che sarebbe iniziata subito dopo. Gli stessi ammonimenti dei centristi sui rischi di un bipolarismo muscolare sempre più esasperato e sulla necessità al contrario di avviare una fase nuova di collaborazione istituzionale, sembravano lunari. I fatti si sono incaricati di smentire le opinioni prevalenti e di confermare le tesi proposte dall’Udc. La nascita del governo Monti ha offerto e offre nuove opportunità ma anche alcuni rischi, se la politica non saprà dimostrare di aver compreso la lezione. Ancora una volta tocca ai moderati indicare la rotta. E il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, ha le idee chiare.
 
Onorevole, l’assioma “Monti=fine della politica” è divenuto un vero e proprio ritornello. Secondo Lei, è davvero così?
L’esperienza del governo tecnico non ha esaurito lo spazio della politica. Non c’è iniziativa del governo che non passi dal Parlamento. La stessa nascita di questo esecutivo è frutto della scelta dei partiti che hanno voluto essere protagonisti del cambiamento. Personalità come quelle che Monti ha chiamato nel suo governo esprimono una competenza particolarmente necessaria in questo frangente. È vero: non sono espressione dei partiti, ma è altrettanto giusto riconoscere che siamo impegnati tutti, insieme. Senza il collante dei partiti le distanze non sarebbero colmabili. Insomma, non mi pare affatto che la politica sia esautorata del suo ruolo, anzi.
 
Alla scadenza della legislatura tutto sarà come prima, con i “tecnici” che torneranno ai loro vecchi mestieri restituendo il governo ai politici?
Fermare le lancette del tempo non è fra le cose possibili. Il quadro politico non potrà non cambiare. L’esperienza del governo Monti è destinata a lasciare un segno profondo. Quindi, non mi sento di escludere che possano nascere nuovi partiti o nuove aggregazioni che magari vedano confluire anche tecnici. Persone oggi impegnate nel governo potrebbero partecipare alla competizione elettorale. Non è un argomento all’ordine del giorno ma è una ipotesi che non può essere scartata e della quale non bisogna avere timori.
 
Non teme il rischio che alle prossime elezioni i partiti possano essere spazzati via? Come potrete recuperare la credibilità perduta negli ultimi anni?
Ai partiti spetta il compito, non rinviabile, di modificare l’assetto istituzionale del Paese e la legge elettorale, in quest’ordine. La legge elettorale infatti deve essere pensata e scritta sul modello istituzionale che sarà scelto. Non è indifferente sapere se ci sarà ancora un bicameralismo perfetto o se Camera e Senato avranno funzioni e quindi rappresentanze diverse. Per fare le riforme ora serve buon senso da parte di tutti: non è interesse di nessuno arrivare alle elezioni con le vecchie regole che hanno dato prova di essere fallimentari. Se la politica non riesce a fare le riforme arriveremo all’appuntamento del 2013 senza alcuna credibilità.
 
Onorevole, Lei è segretario di una formazione politica relativamente giovane. Crede ancora nella forma organizzativa del partito?
Se un partito è radicato sul piano organizzativo e valoriale, resiste e semmai crescerà. La verità è che in questi anni abbiamo dato vita a formazioni politiche che hanno messo insieme tutto e il suo contrario. Mettere nello stesso calderone democratici cristiani, ex comunisti, radicali e quant’altro non è stato un buon affare né per i partiti e né per il Paese. I partiti che nasceranno devono basarsi su piattaforme programmatiche e valoriali condivise, altrimenti non reggeranno.
 
Pensa solo ai Suoi colleghi del Pd e del Pdl o anche al Suo stesso partito?
La sfida del cambiamento riguarda anche l’Udc. Siamo un partito di una certa consistenza e tutti i sondaggi ci danno in crescita. Ciò nonostante credo che sia venuto il tempo della generosità. Magari facendo un passo indietro come partito, scioglierlo per dar vita a una nuova formazione politica o trovare delle forme organizzative che mettano insieme non solo l’area tradizionalmente democristiana, ma anche l’area riformista e liberale, coinvolgendo le categorie, il volontariato. Evidentemente resteranno centrali i valori cattolici. Non si tratta di mettere in campo un soggetto politico “neo-guelfo”. Piuttosto credo che serva aver chiara l’idea della sana laicità della politica. Senza trascurare allo stesso tempo l’importanza dell’ispirazione cristiana che va interpretata come elemento di inclusione e non di esclusione.
 
Da segretario dell’Udc, quale traguardo si dà?
Andare oltre l’Udc e costruire una nuova casa per i moderati italiani è il compito che ci attende. Confidiamo molto nel contributo che potranno e vorranno darci i giovani e i tanti esponenti della società italiana che in questi anni sono fuggiti dallo scontro bipolare e stanno ritrovando entusiasmo e passione. Il nostro obiettivo è offrire a loro, agli italiani, una nuova chance politica.


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