Israele ed Emirati Arabi hanno siglato oggi un apposito accordo di cooperazione su una serie di progetti extra-atmosferici. Spicca la collaborazione sulla missione Beresheet 2, diretta verso la Luna entro il 2024. È il culmine del processo di normalizzazione dei rapporti dopo la sigla degli Accordi di Abramo
Gli Accordi di Abramo arrivano nello Spazio. Come riporta la stampa israeliana (prima di tutti Ynet), Israele ed Emirati Arabi Uniti hanno siglato oggi un apposito accordo di cooperazione su una serie di progetti extra-atmosferici. Spicca la collaborazione sulla missione Beresheet 2, diretta verso la Luna entro il 2024.
È la seconda missione per Israele che punta al satellite naturale dopo il tentativo del 2019, fallito nei momenti finali dell’allunaggio del lander, quando la perdita di contatto con l’assetto si tradusse in un brusco arrivo in superficie. Oggi come allora, a guidare l’ambizione c’è SpaceIL, organizzazione senza scopo di lucro lanciata dal miliardario filantropo Morris Kahn nel 2011 per partecipare al Google Lunar X Prize e mandare una sonda sulla Luna. Da allora l’iniziativa ha raccolto sostengo di istituzioni, aziende, privati ed enti di ricerca, alimentando il sogno di Tel Aviv per l’esplorazione spaziale, considerando che l’interesse pubblico è prevalentemente diretto verso applicazioni più “terrestri”, tra osservazione, telecomunicazioni e navigazione.
Due anni fa il lancio di Beresheet 1, fino allo schianto finale. Pochi giorni dopo, l’annuncio di Kah: un secondo tentativo nel 2024. È stato lo stesso Kahn ad anticipare, lo scorso giugno, l’apertura della seconda missione agli Emirati Arabi, una sorta di completamento del processo di normalizzazione avviato lo scorso anno con gli Artemis Accords. Come nota il Jerusalem Post, Israele ed Emirati Arabi lavoreranno insieme sulla missione all’interno di un accordo più ampio di collaborazione. Si prevede la cooperazione tra studenti per progettare un nuovo satellite lunare, nonché la ricerca congiunta sui dati raccolti dal satellite franco-israeliano Venµs, lanciato nel 2017 nell’orbita terrestre per monitorare lo stato della vegetazione del nostro Pianeta.
Oltre il contesto generale innescato dagli Accordi di Abramo, a favorire la collaborazione bilaterale nello Spazio tra Tel Aviv e Abu Dhabi c’è la condivisione di interessi notevoli (i maggiori nell’area mediorientale) oltre l’atmosfera. Lo scorso febbraio gli Emirati Arabi hanno con successo registrato l’arrivo della sonda Hope in orbita marziana, primi tra gli arabi, quinti al mondo dopo Usa, Russia, Europa e India (la Cina l’ha fatto pochi giorni dopo). Era partita il luglio precedente, e il suo lungo viaggio avrebbe coinciso con buona parte dell’Expo2020 di Dubai se quest’ultimo non fosse stato posticipato a causa del Covid-19. Come spiegava allora Guendalina Dainelli da Abu Dhabi, “quando nel 2014 la Emirates Mars Mission (Emm) è stata avviata, di astronomico, in un Paese che ancora non possedeva neppure una propria agenzia spaziale, appariva esserci soprattutto la scommessa”. Oggi, invece, “l’aerospazio appare una delle punte di diamante della meticolosa diversificazione economica emiratina”. E così, in questi giorni, l’Expo2020 si concentra sulla settimana tematica dedicata allo Spazio, la secondo dopo quella su “clima e biodiversità”, a conferma della rilevanza attribuita al tema.
L’interesse emiratino spinge la ricerca di collaborazioni internazionali. A ottobre 2020, reduci dalla firma degli Accordi di Abramo con Israele, gli Emirati Arabi sono stati tra i primi sette Paesi (c’era anche l’Italia) a siglare con gli Stati Uniti gli Artemis Accords, il dispositivo utilizzato da Washington per definire, intorno ad alcuni principi condivisi, il perimetro del gruppo di alleati e partner che torneranno sulla Luna per restarci. Ad aprile, la US Space Force ha inaugurato i suoi “Space engagement talks” proprio con l’Aeronautica israeliana.