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Vi racconto la batosta della riforma del Catasto. Scrive Pedrizzi

La legge delega che verrà fatta per la riforma catastale potrebbe essere uno schiaffo al Parlamento e soprattutto alle Commissioni Finanze di Camera e Senato che hanno lavorato per mesi per produrre un documento approvato da pressoché tutti i partiti sulla riforma fiscale. E che non conteneva traccia della riforma del Catasto

Meglio le tasse subito che l’incertezza del futuro. E questa volta devo riconoscere che sono d’accordo – e non lo sono quasi mai stato – con quanto dichiarato dal leader dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, circa la ventilata riforma del Catasto annunciata dal premier Mario Draghi e cioè che: “Va bene dire che oggi non scatta la tassazione per i 5 anni in cui si opera la revisione delle rendite. Ma dopo? E poi un economista lo sa: il settore immobiliare non è speculativo, ma si fanno investimenti a lungo termine. Se oggi vuoi investire, e sai già che sull’immobile che vorresti comprare scatta un aumento della rendita catastale cinque anni dopo quell’immobile non lo acquisti. Vai a investire da un’altra parte. È ingenuo pensare di rassicurare dicendo che la scelta verrà presa dopo, anche perché comunque lascia incertezza che è la principale nemica degli investimento. In questo momento di tutto abbiamo bisogno meno che di questo. Abbiamo fatto tanto per rilanciare il settore delle costruzioni, nuova legislazione, superbonus che sta andando fortissimo. Oggi non si riesce a fare un appalto e a chiamare una ditta perché non sono più libere e ci mettiamo a deprimere cosi il settore immobiliare? Dobbiamo lavorarci e cercare altre strade…”.

Lasciare il mercato con questa spada di Damocle sulla testa infatti significa mettere la testa di un condannato a morte sotto la lama della ghigliottina ed aspettare solo che il boia lasci cadere la cordicella che la tiene legata.
In queste condizioni si spera solo che l’esecuzione avvenga il prima possibile. Eppure Draghi sa bene che il buon funzionamento del mercato dipende proprio dal fattore fiducia.

Oltretutto, tutto questo con un tribunale che non ha emesso alcuna sentenza, anzi ne aveva pronunciato una di assoluzione.

Infatti il Parlamento e per esso le Commissioni Finanze di Camera e Senato ne avevano emessa una di completa “assoluzione” (il documento votato pressoché all’unanimità alla fine dell’indagine conoscitiva “Per una riforma della fiscalità immobiliare: equità, semplificazione e rilancio del settore”, nel quale la riforma del Catasto non veniva nemmeno citata).

La decisione assunta, dunque, senza la partecipazione dei ministri della Lega e con l’opposizione di Fratelli d’Italia, dal governo di coalizione nazionale presieduto da Draghi, innanzitutto, va oltre la delega rilasciata dal Parlamento.
È vero che Mario Draghi, confermando la sua precedente dichiarazione (“non è tempo di chiedere soldi agli italiani, ma di darglieli” fatta per stoppare la richiesta di Enrico Letta, Segretario del Pd, di introdurre nuove tasse), ha assicurato, con una risposta secca, che: “No, non c’è una patrimoniale”. “Questo governo non tassa le case degli italiani, le case, quindi tutte” ha scandito il premier. Ma ha anche, però, confermato che: “L’azione di governo non può seguire il calendario elettorale”, ma deve rispettare “quello negoziato con la Commissione europea sul Pnrr e anche le raccomandazioni”.

E queste ultime parlano chiaro: tra le “Country Recommendations”, infatti, inviate dalla Commissione Europea all’Italia e fissate come punti di riferimento dello stesso Recovery Plan, c’è a pagina 25 la “riforma dei valori catastali non aggiornati” e “la revisione delle agevolazioni fiscali”.

Ed allora rifacciamo la storia a ritroso di questa, che sta diventando una vera e propria telenovela: il 6 marzo 2019 inizia l’indagine conoscitiva “Per una riforma della fiscalità immobiliare: equità, semplificazione e rilancio del settore”. Alla fine, dopo ben 61 audizioni, si arriva con il Parlamento protagonista di un buon lavoro al documento conclusivo votato quasi all’unanimità. Anche se come si ricorderà, anche Bankitalia, audita alla Camera dei deputati nell’ambito della stessa indagine conoscitiva, aveva sostenuto che l’assenza di tasse sulla prima casa è una anomalia tutta italiana, avallando e sostenendo quello che chiede da tempo Bruxelles; così come si era messa sulla stessa lunghezza d’onda anche la Corte dei Conti.

I parlamentari cioè dimostrarono di essere consapevoli che sugli immobili ci sono già una quantità di tasse e che il contribuente italiano è già gravato da una miriade di patrimoniali palesi e nascoste.

Nel vigente ordinamento infatti convivono imposte tipicamente patrimoniali e tributi cosiddetti pseudo patrimoniali. Nella prima categoria rientra l’Imu, che colpisce il solo patrimonio immobiliare ed al lordo delle passività gravanti sugli immobili. Un fabbricato – ad esempio – il cui valore è totalmente assorbito da un mutuo sconta l’imposta nella stessa misura di un immobile libero da passività. Cioè si paga una tassa su un debito.

Patrimoniale complementare all’Imu è l’Ivie: l’imposta sugli immobili detenuti all’estero.
Tra le patrimoniali nascoste c’è l’imposta sulle successioni e donazioni che assoggetta a tassazione gli “arricchimenti senza causa” in quanto conseguiti a titolo gratuito.

Poi ci sono le imposte sui trasferimenti: quelle ipotecarie e catastali, giustificate come tributi a fronte del servizio pubblico di iscrizione e trascrizione ma, essendo commisurate in percentuale al valore dell’immobile (senza tetto in valore assoluto), di fatto sono delle vere e proprie patrimoniali.

Dunque esistono numerose imposte (registro, ipotecarie e catastali, bollo, Imu) che colpiscono in vario modo la capacità contributiva riconducibile al patrimonio mobiliare o immobiliare di ciascuno di noi.
Per tutte queste buone ragioni il Parlamento italiano aveva del tutto “dimenticato” la riforma del Catasto.
Ma, contemporaneamente, il Mef si attrezzava per sferrare il suo attacco micidiale, emanando prima dell’estate l’“Atto di indirizzo 2021-2022 per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale” da parte delle Agenzie delle Entrate, del Demanio e di tutte le strutture dipendenti, riservando una parte rilevante delle istruzioni proprio al Catasto per prepararlo ad effettuare aggiornamenti che in tempo reale in futuro renderanno più facile operare in modo massivo su tariffe ed aliquote.

Infatti al paragrafo 18 viene prescritto di: “Presidiare la qualità e la completezza delle banche dati catastali, finalizzando prioritariamente l’azione alla completa integrazione dei dati immobiliari compresa la loro rappresentazione cartografica”…; al paragrafo 19 si invita a: “Presidiare il territorio al fine di far emergere gli immobili non dichiarati in catasto, anche attraverso l’adozione di metodologie innovative di controllo”…; al paragrafo 20 si indica di: “Proseguire le azioni per il miglioramento e potenziamento dei servizi di rete per la fruizione dei dati catastali, basati sul paradigma dell’interoperabilità, per supportare le pubbliche amministrazioni nelle politiche fiscali (Sisma Bonus, gestione patrimonio immobili pubblici) e nell’azione di governance del territorio, attraverso la disponibilità di ulteriori dati sugli immobili e la semplificazione delle modalità di utilizzo”.

Dunque la legge delega al Governo per la revisione del sistema fiscale all’articolo 7, che tratta della mappatura degli immobili e della revisione del catasto, prevede che fino al primo gennaio 2026 le case avranno un valore ai fini tributari e un altro di mercato, senza che questo impatti sui tributi. Dopo Mario Draghi, anche il ministro dell’Economia Daniele Franco ha confermato che “la mappatura degli immobili non ci serve per aumentare le tasse, ma per capire lo stato del patrimonio immobiliare”.

Questo è vero solo in parte perché nella delega si prevede che l’Agenzia si doti di strumenti che identifichino gli immobili non censiti e che possa procedere al “corretto classamento”. E questo significa aumentare il valore imponibile degli immobili che abbiano destinazioni d’uso difformi da quelle presenti nelle banche dati catastali o una categoria catastale impropria e che si potranno identificare i terreni edificabili accatastati come agricoli e gli immobili abusivi.

Ad esempio: abitazioni vecchie ristrutturate, una volta identificate dall’Agenzia, rischiano di cambiare categoria catastale con un notevole incremento di imponibile. Inoltre le abitazioni attualmente in categoria A2 e le case indipendenti di categoria A7 potranno essere considerate case signorili A1 e ville A8 e passare alla categoria superiore. Questo comporterà l’aumento del valore fiscale, perché le A2 e le A7 non pagano l’Imu prima casa, mentre le A1 e le A8 sì.

Certo, se si trattasse solo di contrastare l’evasione e l’erosione: abusivismo edilizio, edifici fantasma, terreni classificati come agricoli invece che edificabili non si potrebbe che essere d’accordo a varare una riforma di questo genere, perché secondo le stime ci sono 1,2 milioni di case sconosciute al Catasto e il rapporto redatto dall’Istat per l’Agenda Italia 2030 presenta numeri allarmanti. Su 100 case nuove in Italia quelle abusive sono il 17,7 per cento, al Nord il 6,1 per cento; al Centro il 17,8 per cento; mentre nel Sud siamo al 45,6 per cento.

Ma non sarà cosìi perché questa delega innesca una vera e propria bomba ad orologeria che potrà scoppiare da un momento all’altro con il cambio di maggioranza e di governo.

Basterà, infatti, fare una legge ordinaria per cambiare il metodo di tassazione e scivolare da quello reddituale (attuale) a quello patrimoniale, utilizzando il lavoro già fatto dalle agenzie fiscali e da tutti gli altri ministeri a seguito dell’Atto di indirizzo, di cui si diceva prima, per creare la nuova mappatura. Ed allora l’Imu verrà applicata direttamente al valore patrimoniale della casa, del fabbricato o del terreno. Ed aumenteranno di conseguenza anche le imposte di registro, quelle ipotecarie e tutte le imposte catastali.

Anche perché – si dirà – “ce lo chiede l’Europa” che ha posto condizioni vincolanti all’erogazione dei fondi del Pnrr e ce lo hanno suggerito i poteri tecnocratici, come Banca d’Italia, ed istituzioni, come la Corte dei Conti.

Si spera però che la politica, quella con la schiena diritta, faccia sentire la propria voce e si riappropri della sovranità popolare, perché altrimenti questa legge delega sarebbe uno schiaffo al Parlamento e soprattutto alle Commissioni Finanze di Camera e Senato che hanno lavorato per mesi per produrre un documento di sintesi approvato da pressoché tutti i partiti per indirizzare l’esecutivo sulla riforma fiscale. Documento che non conteneva traccia della riforma del Catasto.


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