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Il Dsa non piace agli editori europei. È scontro con Bruxelles e Parigi

Le associazioni si appellano alla libertà di stampa e non vogliono finire sullo stesso piano delle Big Tech. Il problema riguarda le pubblicità online, fonte di ricavi indispensabile per le testate. Ma per la Francia e gran parte dell’Ue l’esenzione dalla regolamentazione porterebbe a una maggiore disinformazione

È scontro totale tra l’Europa e gli editori. La Commissione europea e la Francia si sono opposte alla richiesta della stampa di escludere i loro contenuti dalle restrizioni previste dal Digital Services Act (Dsa). Presentato dalla Commissione europea un anno fa, il Dsa si pone l’obiettivo di regolamentare le aziende tecnologiche e tutelare gli utenti che navigano su Internet. La misura, però, non è stata digerita nella stessa maniera da tutti gli attori coinvolti. Gli editori, infatti, preferiscono non esser messi sullo stesso piano dei vari Facebook, Google, Apple e Microsoft. Per la stampa, specie quella online, la pubblicità è la fonte primaria di sopravvivenza che permette loro di offrire servizi ai lettori a prezzi accessibili, quando non addirittura gratis.

Tuttavia, una parte dell’Europa sembra seguire la strada degli esperti che vedono in un’eventuale esenzione della stampa il rischio di aumentare il giro di notizie false. Le fake news, d’altronde, già si diffondono con estrema facilità e accettare la richiesta degli editori comporterebbe “seri rischi” nonché “conseguenze potenzialmente negative” nella lotta alla disinformazione, come ha dichiarato un portavoce della Commissione.

Anche Parigi, una volta a fianco del mondo della stampa, ha ammesso che un’esenzione dalla regolamentazione Dsa potrebbe comportare ripercussioni tutt’altro che positive. Non a caso, l’Eu Disinfolab – organizzazione no profit che indaga sulla disinformazione in Europa – ha chiarito che “tutto quello che abbiamo visto nella ricerca sulla disinformazione in questi ultimi cinque anni è che i media sono sempre coinvolti”. Di conseguenza, qualora si concedesse “un pass gratuito alle organizzazioni dei media online” si aprirebbe “un’autostrada verso la disinformazione”.

Eppure, in un momento storico in cui i social network sono diventati la leva fondamentale per diffondere le notizie, c’è chi si schiera a fianco degli editori in nome della libertà di stampa. Tra di loro figura la Germania, che ha proposto un emendamento secondo cui le grandi piattaforme devono chiedere l’autorizzazione alle varie testate prima di interferire sui loro contenuti. Probabilmente i casi a cui Berlino fa riferimento sono quello di una rivista norvegese che si è vista rimuovere un post in cui veniva mostrato il seno nudo di una donna che ha sconfitto il cancro, e quello della televisione pubblica francese, in accordo con Snapchat sui contenuti di educazione sessuale rivolti ai giovani. Questi sono solamente due di una serie più lunga di episodi simili.

Per tale ragione, nel chiedere che si mantenga la libertà di stampa anche sui social, si è mosso lo stesso direttore esecutivo del Consiglio europeo degli Editori (EPC), Angela Mills Wade, forte dell’appoggio di alcuni legislatori europei, come la finlandese Henna Virkkunnen e il francese Geoffroy Didier.

In verità l’associazione per gli editori europei dei giornali (Enpa), dei magazine (Emma) ed Epc insieme alle organizzazioni europee di marketing e pubblicità, avevano già criticato i principi alla base del Dsa. Quello che veniva chiesto a gran voce era un ordinamento in cui potessero convivere i diritti fondamentali, la protezione dei cittadini e una concorrenza leale tra le aziende digitali. Il limite alle pubblicità online viene visto tutt’ora, quindi, come una vera e propria tegola su un settore già in crisi.

Le lamentele appartengono ormai ad un anno fa, ma in vista del Consiglio europeo – in corso fino a venerdì – Enpa e Emma si sono espresse anche contro il Digital Markets Act (Dma). In una nota indirizzata ai vari Capi di Stato si legge come questo sia “stato presentato come la risposta dell’Ue alla concorrenza sleale e alle prassi abusive delle piattaforme digitali dominanti”, note come gatekeeper, per “creare mercati digitali equi ed incoraggiare la concorrenza in Europa attraverso la regolamentazione”.

Per riuscire a raggiungere questo obiettivo, però, “le proposte devono essere notevolmente rafforzate. Se l’Europa vuole mantenere la propria sovranità digitale ed essere davvero pronta all’era digitale, è essenziale che i co-legislatori si impegnino ora in un sostanziale rafforzamento dei testi”. Insomma, per gli editori quello dell’Europa è un “approccio miope” a una questione di importanza vitale per le aziende e per i cittadini. “Non è il momento dell’opportunismo politico”, scandiscono preoccupati.

La diatriba è molto accesa e non sembra destinata a spegnersi nel breve termine. Durante il Consiglio EPC, la delegazione Svizzera ha affermato che la discussione sarà ripresa a fine mese ma, visti gli approcci alla questione, le parti sembrerebbero piuttosto lontane.

Se da una parte c’è chi si appella al diritto della stampa libera, dall’altra i favorevoli a una maggiore regolamentazione ricordano la necessità di filtrare tutte le notizie per evitare che ci siano organi che diffondano false informazioni, come accaduto durante la pandemia da Covid-19 con l’emittente statale russa in lingua tedesca, Rt Germany, bannata da YouTube. Due pensieri che andranno sintetizzati in una regolamentazione ormai inevitabile, ma che deve tener conto di una realtà più complessa di come la si vuole dipingere.



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