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Il nuovo Concetto strategico che serve alla Nato. La ricetta di Frusone (M5S)

Il nuovo Concetto strategico della Nato dovrà mettere l’Alleanza nelle condizioni di poter affrontare con sicurezza le future sfide globali. La Difesa europea può rappresentare un asset in più. Parola del presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato Luca Frusone (M5S)

“Non si tratta di un detrimento dell’Alleanza quanto piuttosto un incremento delle capacità difensive degli alleati europei; i rapporti Nato-Ue devono essere sinonimo di cooperazione”. Questa la posizione di Luca Frusone (Movimento 5 Stelle), presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato. Il tema della Difesa europea, e dei suoi rapporti con le capacità Nato, sono stati al centro della 67esima Sessione annuale dell’Assemblea parlamentare della Nato, tenutasi a Lisbona dall’8 all’11 ottobre.

La settimana scorsa si è tenuta la Sessione annuale dell’Assemblea parlamentare della Nato. Tanti i temi trattati, ma al centro c’è stata l’agenda 2030 dell’Alleanza e la revisione del concetto strategico. Come cambierà la Nato del prossimo futuro e quale contributo arriverà dall’Italia?

Rispetto agli anni passati, i temi oggetto della discussione sono risultati molto generici. Durante le tre giornate dei lavori, l’Assemblea parlamentare della Nato ha voluto gettare delle solide basi su quella che sarà la revisione del Concetto strategico al fine di permettere agli alleati di essere pronti per le sfide presenti e future. È stata in un certo senso una sessione di transizione. Proprio con questa prospettiva, l’Assemblea ha adottato sette risoluzioni che contengono raccomandazioni politiche per i governi alleati su diverse aree relative alla revisione del Concetto strategico e alla più ampia campagna Nato2030, nonché altre questioni tra cui le lezioni da apprendere dal ritiro dall’Afghanistan, il tema del burden sharing, il controllo degli armamenti ed i rapporti complicati con la Russia.

Il nuovo Concetto strategico, infatti, dovrà essere in grado di rispondere a sfide sempre più complesse, incluse quelle globali, in settori quali resilienza, impatto sulla sicurezza del cambiamento climatico, nuove tecnologie, cyber, ibrido e implicazioni della crescente influenza della Cina. Il contributo italiano in questo processo vuole portare con certezza una rinnovata attenzione all’area mediterranea, sempre più crocevia geopolitico fondamentale che vede ormai la presenza consolidata di player globali non tradizionalmente interessati a quest’area del mondo. Allo stesso tempo l’Italia supporterà una concezione moderna e multidimensionale della sicurezza, che veda un’attenzione seria e concreta rispetto a temi come la resilienza, le sfide tecnologiche e soprattutto climatiche.

Si è tornato a parlare di Difesa comune europea e Jens Stoltenberg ha voluto ribadire con forza l’importanza delle relazioni tra le due organizzazioni. Quanto è solido il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico?

Il Vertice Nato di Bruxelles del 14 giugno scorso ha rappresentato, in congiunzione con il vertice G7 di Carbis Bay e con il vertice Ue-Usa di Bruxelles, un’importante occasione per riaffermare al massimo livello politico la solidità del legame transatlantico e l’unità e coesione dell’Alleanza. Quello che deve essere chiaro è che i rapporti transatlantici rimangono il quadro di riferimento politico essenziale nel cui ambito l’Ue deve proseguire lungo il percorso di rafforzamento dell’Europa della Difesa, da attuare quindi in modo del tutto sinergico e complementare con la Nato. La nuova dichiarazione Nato-Ue per rafforzare le relazioni tra le due istituzioni dovrà convergere su questi punti.

Riguardo allo sviluppo di una Difesa europea, Stoltenberg ha ribadito che questa non può andare a detrimento delle capacità dell’Alleanza. Come si possono conciliare le esigenze europee con gli obiettivi della Nato?

Non si tratta di un detrimento dell’Alleanza quanto piuttosto un incremento delle capacità difensive degli alleati europei. I rapporti Nato-Ue devono essere sinonimo di cooperazione, intesa in un’ottica di piena complementarietà e di autonomia decisionale. Questo è possibile soprattutto considerando la capacità dell’Unione europea, con i suoi strumenti, di concentrarsi su settori cruciali per la sicurezza e deterrenza dell’Alleanza. Sto parlando di situational awareness e defence and capacity building – anche a fini di lotta al terrorismo – temi che trovano l’Italia molto sensibile e su cui l’Hub Nato di Napoli potrà avere un ruolo chiave. Possiamo solo immaginare l’impatto di un incremento dello sforzo cooperativo Nato-Ue in settori fondamentali per la nostra sicurezza come la mobilità militare, il cyber, l’hybrid, le tecnologie emergenti e dirompenti, lo spazio e la relazione tra ambiente e sicurezza, oltre in generale ai temi legati al “grande Sud”, alla Cina e al disarmo, controllo degli armamenti e non proliferazione.

Nonostante le rassicurazioni, il patto Aukus ha deluso molti in Europa, non solo la Francia. Con l’attenzione sempre più rivolta all’Indo-Pacifico, cambierà il livello di impegno Usa verso i suoi partner europei?

Non ritengo ci siano dubbi e incertezze sul legame transatlantico che unisce gli alleati. Si tratta solo di scegliere chiaramente la strada che si vuole intraprendere ed il nuovo Concetto strategico avrà a cuore questo punto. Un’Europa in grado di difendersi autonomamente non è un vulnus per l’Alleanza anzi rappresenta una risorsa. Come ricordato anche dalle stesse parole del presidente Joe Biden una difesa europea “più forte e più capace, che contribuisce positivamente alla sicurezza transatlantica e globale ed è complementare alla Nato”. Tuttavia non si devono sottovalutare le sfide dell’area mediterranea. Il nostro paese deve intraprendere una seria riflessione su quelli che sono i suoi interessi strategici.

In agenda non poteva mancare l’Afghanistan, altro dossier delicato nelle relazioni Nato-Europa. Quali sono le lezioni da apprendere dal ritiro occidentale da Kabul?

Sicuramente ci sono molte ragioni dietro a quanto successo in Afghanistan durante e dopo il ritiro delle forze alleate. Ragioni che richiedono un momento di riflessione e non possono essere spiegate con risposte date a caldo. Durante i tre giorni dell’Assemblea parlamentare Nato, abbiamo avuto modo di confrontarci con il segretario generale Jens Stoltenberg, a cui è stato chiesto, in particolare, quali saranno le implicazioni della presa di potere dei talebani in Afghanistan. La Nato, come ormai chiaro, deve condurre una seria valutazione di quanto fatto per la sicurezza in Afghanistan negli ultimi due decenni e sancire le lezioni apprese dal rapido crollo del governo afghano e delle forze armate nel suo Concetto strategico. Proprio per questo è stato avviato a ridosso della riunione straordinaria dei ministri degli Esteri alleati del 20 agosto, un processo volto a determinare delle lezioni dalla crisi afghana, sia in ambito militare che politico-diplomatico.

Questo momento di riflessione vedrà i suoi primi risultati a breve e dovrà essere coraggioso e deciso. Sicuramente la nostra attenzione e preoccupazione sulla sorte del popolo afghano rimane massima, come anche dimostrato dall’ultimo G20 straordinario, in cui è emersa con tutta evidenza la gravità della situazione. L’importanza di queste “lezioni” sarà strettamente collegata all’approccio onesto e realistico che l’Alleanza terrà, con l’obiettivo ultimo di rafforzarne l’unità, la coesione e la credibilità, evitando al contempo di offrire il fianco a chi specula su asserite divisioni tra le due sponde dell’Atlantico. L’errore più grande ora sarebbe nascondere la polvere sotto il tappeto, molte cose non hanno funzionato, in primis le informazioni plagiate che arrivavano da quell’area, e farlo sarebbe perché indegno nei confronti delle vittime di questa guerra minando ulteriormente la credibilità di tutti gli attori coinvolti.

L’Italia è saldamente un Paese atlantista, posizione ribadita più volte anche dal governo, ma allo stesso tempo vede con favore a un potenziamento delle capacità difensive europee. Che ruolo può giocare, in questa fase, il nostro Paese tra le due organizzazioni?

Come membro di entrambe le organizzazioni, l’Italia può giocare un ruolo in prima linea nel dibattito su come rafforzare la capacità di difesa dell’Ue in sinergia con la Nato. Un ruolo che deve vedere nella stabilità nell’area mediterranea e nello sviluppo tecnologico- industriale del settore della difesa, tra cui quello spaziale, due fattori chiave della nostra politica. È proprio lo spazio un settore esempio del ruolo che l’Italia può avere in questo momento di transizione. Essendo il nostro un Paese dotato di una filiera completa nel settore spaziale, siamo in grado di giocare un ruolo fondamentale negli equilibri geopolitici, concorrendo attivamente alla proiezione strategica futura dell’Alleanza e dell’Ue. Approfondendo le relazioni politiche con i partner, in particolare attraverso un approccio che coniughi la dimensione diplomatica e quella militare, l’Italia potrebbe in questa fase provare a ridefinire il proprio peso relativo rispetto sia agli Stati Uniti sia agli altri partner europei. Quindi, se adeguatamente sostenuto dai decisori politici e militari, il tessuto industriale del Paese potrebbe non solo esserne all’altezza, ma uscire da questa impresa irrobustito e modernizzato. Anche nell’area mediterranea abbiamo bisogno di definire chiaramente i nostri interessi strategici. Solo così avremo la capacità di rafforzare la nostra posizione negoziale nei confronti degli altri partner.

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