Nei giorni scorsi l’allarme di Cittadinanzattiva sulle condizioni delle scuole italiane. Senza dimenticare i tribunali. Non sono in gioco le decine di miliardi del Piano, ma poche decine di milioni indirizzati e gestiti con coscienza e rettitudine
Da mesi continuiamo a parlare dei denari che in sei anni arriveranno all’Italia dall’Europa, se verrà realizzato il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (Pnrr). Da mesi ci chiediamo se saremo in condizione di rispettare gli impegni, le riforme, i progetti promessi. E se sapremo rendicontare il tutto.
A questi dubbi mi permetto di aggiungerne qualche altro. Questa gigantesca mole di risorse quanto riuscirà a incidere sulla nostra vita quotidiana? Mi spiego: è necessario programmare la transizione energetica ed ecologica, è necessario realizzare grandi opere e infrastrutture, è necessario riformulare il piano delle frequenze per dare spazio al 5G. Ma non sarebbe anche necessario poter avere i nostri edifici pubblici – scuole, ospedali, caserme, aule giudiziarie – a norma? Se casa nostra non fosse a norma ci costringerebbero a non abitarla. Mentre invece i nostri figli possono andare tutti i giorni in aule non a norma. I nostri familiari possono essere ricoverati in ospedali privi di servizi igienici funzionanti pur obbligatori.
Possibile che si progetti la spesa di 240 miliardi e non si riescano a spendere poche decine di milioni? Che fine hanno fatto i 350 milioni messi a disposizione degli impianti di aerazione nelle scuole? La responsabile scuola di Cittadinanzattiva, Adriana Bizzarri, ha lanciato l’allarme in questi giorni sul Fatto quotidiano. E con buone ragioni. Poiché se dovessimo andare a verificare scuola per scuola, l’unico presidio attivato per assicurare un’aria salubre, o almeno adeguatamente risanata, vedremmo che si tratta ancora dello strumento “finestre aperte”.
Sì. Nelle scuole d’Italia, ad autunno inoltrato, da Bolzano a Palermo (ma anche in Sicilia ormai la temperatura si è abbassata), l’unico strumento utilizzato per avere ricambio d’aria sono le finestre aperte. E i nostri figli ai banchi (magari con le rotelle) con cappotto e piumino.
Si assiste al consueto scaricabarile: chi deve spendere? I dirigenti scolastici o i responsabili comunali? Nell’incertezza le somme sono state spese per tante altre lodevoli questioni – per l’acquisto di dispositivi di protezione e di materiale per l’igiene individuale (mascherine in quantità industriale si stanno accumulando nei magazzini scolastici) o degli ambienti; per interventi a favore della didattica per gli studenti con disabilità, disturbi specifici di apprendimento e altri bisogni educativi speciali; per potenziare gli strumenti digitali; per favorire l’inclusione e contrastare la dispersione scolastica attraverso il potenziamento dell’offerta formativa – ma non per gli impianti di aerazione, giudicati troppo costosi e richiedenti spese di manutenzione (e di consumo elettrico) incompatibili con l’ordinaria disponibilità economica e finanziaria degli Istituti scolastici.
Lo stesso potremmo dirlo per i Tribunali e i Palazzi di giustizia. Nelle aule si affollano imputati e testimoni, avvocati e magistrati, ma tutti senza distanziamento e senza poter godere di adeguati impianti di aerazione. Ma anche senza sedie. Così come chiunque abbia modo di frequentare un ospedale, potrà verificare le carenze di sedie negli ambulatori o nelle sale di aspetto. Così come sono carenti anche i farmaci nei reparti di degenza. Ma basterebbe anche affacciarsi in qualunque atrio di posto di polizia o di caserma dei carabinieri, per verificare lo stato di inciviltà in cui sono costretti a svolgere il loro servizio i nostri servitori dell’ordine.
Che cosa serve per rendere spendibili le risorse necessarie a una vita civile, che possa distinguere gli uffici pubblici di Roma, come di Milano, Napoli o Bologna, da quelli di una città sudamericana? Non sono in gioco le decine di miliardi del Pnrr, ma poche decine di milioni indirizzati e gestiti con coscienza e rettitudine.