Il Festival del Cinema di Roma 2021 e il Salone del Libro di Torino 2021 come manifestazioni fattuali di future tendenze: un’ipotesi congiunta di sviluppo successivo. Pura estetica o funzionalità comunicativa? L’analisi di Claudio Mattia Serafin
Il Festival del cinema di Roma e il Salone del libro di Torino. È un momento decisivo per l’andamento culturale dell’autunno: tali eventi infatti fungono da manifesto paradigmatico per le stagioni successive e, qualora significativi per le più varie ragioni, possono anche modificare le tendenze e le correnti di pensiero dei prossimi anni. Come già osservato in precedenza, il cinema mantiene un ruolo dominante – o meglio, assoluto – nella trasmissione di valori estetici, come tali autosufficienti, e, solo in secondo luogo, morali e politici (forse eccessivamente cupa la visione di Slavoj Zižek, con l’ultimo Una lettura perversa del film d’autore. Da Psyco a Joker, Mimesis, 2020): le filmografie, i registi, gli attori e a seguire i comparti tecnici forniscono infatti una forte dirittura all’animo sociale, benché tale dirittura agisca a un livello quasi inconscio.
In tal senso, i Festival in commento fungono da catalizzatori periodici di tali macro-tendenze, come fossero appunto doverosi memento della nobiltà di queste arti. A Roma, in questa fine dell’ottobre 2021, sono stati calorosamente accolti e premiati Johnny Depp, Oliver Stone, Quentin Tarantino.
Tarantino, regista statunitense, è sempre stato acclamato – giustamente – ma mai profondamente compreso; il Premio alla Carriera è anche occasione per non focalizzarsi sull’indubbio valore di un singolo titolo, bensì su tutto l’operato artistico e figurativo del regista.
Tarantino, infatti, ha a suo tempo dato una definizione esplicita di pulp (presente nei primi fotogrammi del suo Pulp fiction), che era all’epoca quantomai necessaria per definire il suo campo d’indagine e d’azione. Il pulp infatti non è sinonimo di violenza, bensì di pastrocchio, di ricco agglomerato filosofico, che include senso del mistero e del picaresco, tendente al fantomatico e classico sublime: il sublime è l’estasi umana, raggiungibile tramite una molteplicità di fattori, non ben identificabili in partenza, ma facilmente codificabili all’arrivo (tramite una bizzarra operazione di reverse engineering).
Tarantino si è sempre, o quasi sempre, dedicato alla finzione crime-pulp, che effettivamente guarda al disagio urbano alla medesima maniera del monaco in riva al mare di Friedrich: un potenziale illimitato di storie, circostanze e sentimenti in combutta tra di loro. Nella parte centrale della sua carriera egli ha esplorato l’amore (Jackie Brown), gli archi epici sovrapposti e la polarizzazione dei ruoli (Kill Bill, volumi 1 e 2), che risponde a regole solenni di teatro e di ontologia del carisma.
Da ultimo, si è dedicato a una particolare forma di analisi storica, l’ucronia, attraverso la quale il grande narratore è in grado di modificare il flusso degli eventi passati, deviando verso nuove opportunità sociologiche e politiche (Bastardi senza gloria, C’era una volta a Hollywood, nei quali alcuni classici scenari di annalistica, de facto, non si verificano). Tale metodo è provocatorio, elegante, intelligentemente superiore alla scienza con il quale Tarantino ha iniziato a dialogare: egli, dalla voce universalmente nota, non solo studia la Storia, ma può anche modificarla con successo all’interno dell’immaginario comune (ovverosia quello dell’artista e quello di coloro che assistono all’atto).
Stesso dicasi per Stone, che ha ancora occasione per ipotizzare, speculare, effettuare fantasie sullo stato dell’arte della politica e degli scenari geo-globali: è di fatto uno dei pochi esponenti di prestigio del mondo del cinema a dedicare un’attenzione così pervasiva ai punti che gli suonano oscuri, poco chiariti, suscettibili di urgente esplorazione (si pensi al recente ed efficace Snowden). È dunque anch’egli un testimone attento a coniugare grande intrattenimento e curiosità civile.
Dal grande schermo alla letteratura, invece, si registra una grande partecipazione popolare per il Salone del Libro di Torino 2021, con notevole affluenza numerica e i tradizionali salotti di dibattito, ove celebri autori (Saviano, Verdone, Alberto Angela) hanno la possibilità di esprimersi e di raccontare le loro vertenze, le loro idee e prospettive a un pubblico diretto e vicino: loro alleato è infatti il libro, oggetto di trasmissione, dall’acclarato carattere multimediale.