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Donne e intelligenza artificiale. Le raccomandazioni di Corazza ai leader del G20

Ai leader del G20, 10 raccomandazioni per annullare il gender gap. Dall’Intelligenza artificiale più inclusiva al maggiore accesso per le donne alle discipline Stem, Chiara Corazza spiega le proposte e le richieste del Women’s Forum G20 Italy ai leader mondiali

“Sono molto fiduciosa che dopo questo Summit italiano continueremo ad andare avanti e che molto di quanto fatto sarà la base per ulteriori passi futuri. Non possiamo tornare indietro”. Chiara Corazza è molto decisa, dopo tutto guidare un Summit, il Women’s Forum G20 Italy con i vertici di oltre 100 imprese e istituzioni nazionali e internazionali degli Stati membri del G20 non è un’operazione che si può portare avanti senza convinzione e visione. E così la rappresentante speciale per il G7 e G20 del Women’s Forum for the Economy & Society sottolinea con forza perché e quanto sia necessario puntare sulla formazione, l’inclusione e la valorizzazione delle donne in tutti gli ambiti della vita pubblica, compresi quelli a cui meno le donne vengono spinte, come le discipline Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

In conclusione del Women’s Forum G20 Italy, che si è tenuto al Politecnico di Milano il 18 e il 19 ottobre scorsi, sono state stilate 10 raccomandazioni, una call to action ai leader del G20 (che inizierà il 30 ottobre) per andare verso l’annullamento del gender gap.

Tra le 10 raccomandazioni, una si concentra sull’Intelligenza Artificiale: perché è importante intervenire in questo ambito?

Il mondo che stiamo vivendo si sta trasformando in tempo record: l’85% degli impieghi di domani sono da inventare o reinventare nei prossimi 3-4 anni e l’Intelligenza Artificiale è ormai dappertutto. Dirige le nostre scelte di consumo, chi viene reclutato per un lavoro, ci dice come pensare. Questa IA così pervasiva è pensata e creata da oltre l’80% di ingegneri uomini bianchi, certamente benintenzionati ma che non possono che riprodurre quello che loro pensano e come loro agiscono.

Ci può fare un esempio?

Il riconoscimento facciale è efficace al 99% per gli uomini, mentre ha un riscontro positivo solo per il 35% delle donne di colore. Ancora, i test sulle automobili a guida autonoma, nella scelta se salvaguardare la vita umana o la tecnologia dell’automobile scelgono la seconda. Per non parlare dell’accesso all’università o la selezione per un posto di lavoro: chi crea gli algoritmi per selezionare i candidati o le candidate sono in gran parte uomini, i quali riprodurranno chiaramente il loro modo di vedere il mondo. Tutto questo può essere cambiato solo con un maggiore accesso delle donne alla programmazione.

Dopo il perché, il come: nella terza raccomandazione si parla della creazione di un credito d’imposta specifico per le aziende che implementano sistemi di IA inclusiva. Ce ne parla?

Il credito d’imposta non è un modo per dare soldi a pioggia, è un investimento nelle realtà che promuovono un certo tipo di comportamento, come l’inclusione nel mondo della programmazione dell’Intelligenza Artificiale. C’è un costo sociale e umano da riparare, quindi di fatto il credito d’imposta non è una spesa in più, è un investimento focalizzato di soldi pubblici per riconoscere una scelta fondamentale. Allo stesso tempo da e con queste imprese virtuose si può produrre valore facendo un ranking internazionale in cui si condividono le esperienze e si avvii così una sana emulazione. Le nuove generazioni, peraltro, tengono molto in conto di questi fattori nella loro scelta di consumo, ma anche nella scelta di prodotti bancari o assicurativi.

Quanto può essere importante, per il futuro, puntare su un maggiore accesso delle donne alle discipline Stem?

Se non hai imparato a codificare, se non hai competenze di ingegneria, matematica, come puoi immaginare di creare un algoritmo o lavorare all’Intelligenza Artificiale, come dicevamo sopra? Allora l’educazione Stem è chiaramente indispensabile.

Come farlo?

Di questo noi parliamo da anni, ma porto l’esempio del G7 del 2019 che si è tenuto in Francia. In quell’occasione mi è stata affidata la missione di immaginare come attirare e trattenere le bambine e le ragazze  dai 5 anni fino ai consigli di amministrazione nelle discipline Stem. Questo stesso metodo lo vorrei portare a livello internazionale: bisogna cominciare a cambiare la mentalità. Genitori, maestre e chiunque ruoti loro attorno deve smettere di dire già dai 5 anni che la matematica è troppo difficile, perché non è vero. Lo abbiamo visto nei Paesi dell’Unione sovietica in cui bambini e bambine venivano educati allo stesso modo e hanno sfornato grandi ingegneri, fisici, matematici. Basta cominciare da piccoli.

La scelta su come proseguire il proprio corso di studi arriva poi attorno ai 12 anni. In questo momento come si può incentivare una scelta Stem?

Quello dei 12 anni è il momento chiave. È il momento in cui le ragazzine e i ragazzini decidono cosa vogliono fare da grandi. Un tempo le ragazze dicevano: “Io voglio fare l’infermiera” oppure “Voglio fare la maestra di scuola” perché così proteggo, curo e trasmetto, aspetti definiti come molto femminili. Adesso le ragazzine dicono: “Io voglio fare qualcosa che abbia un impatto sociale positivo” (72%). Allora, noi dobbiamo spiegare che per farlo devono studiare le Stem, che scegliendo queste discipline hanno le stesse opportunità e competenze dei ragazzi, e che possono così partecipare alle sfide future come la transizione energetica, possono lottare contro il cambiamento climatico, perché al momento di costruire un ponte, la competenza non ha genere, ma si cerca chi ha la competenza migliore e più saranno le ragazze più sarà possibile emergere.

L’Italia come si posiziona nella scelta delle discipline Stem da parte delle donne?

L’Italia spesso è considerata fanalino di coda, e forse in alcune cose lo è, ma non in questo caso: l’Italia ha una percentuale di donne attive nelle discipline Stem del 30%, una percentuale superiore a Paesi come il Canada, la Germania, gli Stati Uniti. È importante sottolinearlo. Ma c’è un ma.

A cosa si riferisce?

Si chiama paradosso della parità di genere, e significa che più un Paese è poco sensibile alle questioni di genere più ci sono donne ingegnere. Le faccio un esempio: l’Iran. In Iran ci sono il 65% di donne ingegnere, perché? Perché il mercato ha bisogno di competenze tecnologiche e dall’altra parte molti mestieri sono preclusi alle donne, come nell’ambito della giustizia. Allora, le iraniane hanno capito che l’unico modo per lavorare, essere indipendenti e guadagnare soldi, è quello di avvicinarsi a questi settori. Invece di diventare le infermiere che curano il paziente, le donne devono diventare coloro che inventano il vaccino, o il robot che si occuperà di compiere l’operazione a cuore aperto.

Perché l’esempio dell’Iran?

Perché lì non hanno scelta. O scelgono quella strada o non ne hanno altre. Un altro Paese simile è l’India: cosa fa la ragazzina a 14 anni se non vuole sottostare a un matrimonio combinato nel suo villaggio? “Papà, posso fare science computing così porto a casa un po’ di soldi?”, ecco da qui si parte per diventare poi la capa di Facebook a Singapore o Indra Nooyi a capo di PepsiCo nel mondo. Con la motivazione di poter portare un po’ di soldi a casa perché si trova subito lavoro e con la consapevolezza che dietro un Pc è meno probabile subire violenze, si raggiunge il 60% di donne ingegnere in India. Dobbiamo aspettare di essere un Paese o in difficoltà economica o non rispettoso dell’uguaglianza delle donne per capire quanto questi mestieri siano la chiave per aprire le porte del futuro e della parità?

Come fare in modo che le donne si avvicinano maggiormente dal punto di vista operativo a queste discipline, con quali strumenti?

I Paesi del G20 hanno istituito una nuova tassa, la tassa minima globale (global tax) del 15%, sono circa 150 miliardi l’anno di cui ancora si sa solo in parte la destinazione. Ecco, noi proponiamo che almeno il 3% di questi fondi, sono 4,5 miliardi, vengano canalizzati e concentrati verso l’educazione Stem delle bambine. È una cosa di buon senso e chi ne approfitterà saranno di fatto quelle compagnie che hanno pagato una tassa che in fin dei conti diventa un investimento.

In che modo è possibile, poi, creare un terreno fertile in cui utilizzare le competenze acquisite?

I problemi sono due. Come abbiamo detto il primo è attirare le bambine, le ragazze, le giovani donne verso queste discipline. Ma poi è importante riuscire a creare un ambiente attorno in cui è facile entrare e rientrare dopo, ad esempio, una o più gravidanze. Formazioni specifiche, finanziamento focalizzato su chi fa formazione continua su queste discipline. Questo lo devono fare le imprese, offrendo una formazione specifica a cui segue una posizione lavorativa adeguata, con successive promozioni. Ma anche gli Stati che devono facilitare il collocamento delle donne in settori a predominanza maschile.

Nel mondo lavorativo, negli ambienti in cui sono richieste le competenze Stem, come si trovano le donne?

Il 58% delle donne che lavora nei settori Stem abbandona le imprese dopo 10 anni, perché queste imprese non sanno trattenerle. Non c’è parità di trattamento contrattuale, si trovano in un ambiente ostile, non vengono offerti ambiti di soddisfazione, non si sentono valorizzate e comprese. Allora, io non dico che si debba discriminare e dare una corsia preferenziale alle donne, ma che sia data loro la stessa possibilità di poter crescere nella formazione e nella carriera lavorativa.

È possibile quantificare i benefici di un processo di questa natura e se sì, ci dà qualche numero?

Preferirei non mettere paletti, ma proviamo a partire da qualche dato. Al momento ci sono il 20% di donne ingegnere, l’idea sarebbe che da qui al 2030 si arrivi a 30%, e poi a salire. L’idea è di incentivare la progressione, non darsi un numero fisso da raggiungere. Anche qui, faccio un esempio: le università come il Politecnico di Milano che attirano e incrementano il numero di donne iscritte dovrebbero essere premiate, come accade in Francia. Nella crescita si può partire da zero, l’importante quindi è la progressione e non il numero di partenza.

In che modo tutto questo si collega con il cambiamento climatico?

Si collega per tante ragioni. La prima è che le donne sono l’80% dei rifugiati climatici, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare nel corso di viaggi in cui la violenza contro le donne non è insolita. Inoltre le donne muoiono 14 volte più degli uomini a causa dei cambiamenti climatici. Infine: chi è che decide cosa si consuma, dove si va in vacanza e come, chi insegna ai bambini a non stare ore con l’acqua aperta ma a dosare con cura? Il quotidiano è in mano alle donne, informarle in tutte le parti del mondo su cosa è meglio fare per salvaguardare l’ambiente è fondamentale. Le faccio un esempio.

Prego.

Nel lontano ’92, quando ero direttrice degli Affari internazionali della Île-de-France, si scelse di fare un grande piano per aiutare il Libano, a cui la Francia è sempre stata molto vicina, con un piano di ricostruzione soprattutto di Beirut. Erano presenti brillanti ingegneri che hanno fatto piani sui trasporti, su come trattare i rifiuti, fermare le onde davanti al mare, ma nessuno aveva pensato di proteggere i 35 ettari di polmone verde al centro della città, che, dissi, con quel piano di ricostruzione rischiavano di essere cannibalizzati da nuove costruzioni. Ecco, provarono a dirmi “Chissà quando succederà”, ci penseremo poi. Invece ora, grazie a uno sguardo diverso, quel parco esiste ancora. A questo serve uno sguardo differente.



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