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Riconoscimento facciale non ti riconosco. Facebook dice basta

Con una nota pubblicata sul blog di Meta, l’azienda ha spiegato che la mancanza di una regolamentazione e lo sfruttamento delle immagini per il riconoscimento sono alla base della decisione. Già lo scorso anno, Amazon, Ibm e Microsoft avevano anticipato la svolta

Le “crescenti preoccupazioni” per un uso improprio dei dati da parte delle autorità hanno portato Facebook a prendere la decisione di non usare più il sistema di Face Recognition, che identifica automaticamente gli utenti attraverso foto e video. Ad annunciarlo è stato il vice presidente della divisione Intelligenza artificiale, Jerome Presenti, sul blog della nuova creatura di Mark Zuckerberg, Meta. Nella nota pubblicata si legge che, di fronte alla mancanza di regole chiare, “riteniamo che limitare l’uso del riconoscimento facciale sia appropriato”. Foto e video, quindi, non potranno più essere utilizzati per scopi di identificazione.

La presa di posizione dell’azienda “rappresenterà uno dei più grandi cambiamenti nell’utilizzo del riconoscimento facciale nella storia della tecnologia”, ha spiegato Presenti. Così, più di un miliardo di modelli verrà eliminato. Gli utenti che hanno deciso di prestare il loro volto come lasciapassare ammontano a circa 640 milioni, più di un terzo degli utenti attivi quotidianamente. Facebook non ha ancora chiarito come le persone potranno verificare che il loro account di riconoscimento sarà realmente disattivato, ma ha garantito che l’operazione dovrebbe completarsi nel giro di poche settimane.

A portare a questa svolta sono stati una serie di fattori. Come ha spiegato la stessa società, la mancanza di trasparenza da parte dei legislatori e lo sfruttamento di questo strumento da parte della polizia per identificare le persone rappresentano le due motivazioni principali alla base della decisione. Lo scorso anno, non a caso, Facebook aveva chiesto alla start up ClearviewAI, che lavora a stretto contatto con le forze dell’ordine, di non utilizzare più le immagini su Instagram o Facebook come fonte di identificazione.

La questione, dunque, possiede anche una sua giustificazione morale. Lo stretto controllo del governo cinese sulla popolazione – come quella degli Uiguri – è basato sul riconoscimento facciale e Facebook non voleva essere co-partecipe delle attività di sorveglianza portate avanti da Pechino. Per di più, alcune aziende hanno creato delle impronte ad hoc per ciascun utente, molto spesso senza chiedergli alcun tipo di consenso, favorendo in questa maniera il tracciamento delle persone.

Ad esultare sono soprattutto i gruppi e le associazioni in difesa della privacy. “Per troppo tempo gli utenti di Internet hanno subito abusi di dati per i capricci di Facebook e di altre piattaforme”, ha dichiarato Alan Butler, il direttore esecutivo dell’Electronic Privacy Information Center che “ha chiesto la fine di questo strumento per la prima volta nel 2011”. A lui ha fatto eco Adam Schwartz, avvocato dell’Electronic Frontier Foundation, che ha applaudito alla mossa di Facebook, seppur in ritrdo rispetto ad altre aziende tecnologiche.

Lo stop di Facebook, infatti, arriva dopo quelli dei vari Amazon, IBM e Microsoft che già dallo scorso anno hanno deciso di sospendere le vendite dei software di riconoscimento facciale alla polizia, giustificando tale scelta con la preoccupazione che i dati venissero utilizzati in maniera non opportuna, a volte anche con ritorsioni di stampo razziale.  Non a caso, molti attivisti e ricercatori hanno denunciato il funzionamento ambiguo e a volte fallace della scansione facciale, con il rischio che si potesse incappare in scambi di persona.

Le persone con una carnagione più scura, per esempio, possono essere erroneamente identificate o scambiate con altre. Questo tipo di tecnologia viene utilizzato non soltanto come sblocco per gli smartphone, ma anche tra i vari rivenditori, gli ospedali e altre aziende per motivi di sicurezza che però potrebbe facilitare attività invasive.

Solitamente, però, siamo abituati a vedere l’azienda dall’altra parte della barricata, ovvero a difendere tutti i progressi ottenuti grazie all’intelligenza artificiale. L’addio al riconoscimento va perciò contestualizzato nel momento che sta vivendo Facebook. Accerchiato dalle critiche per la violazione della privacy e per essere a conoscenza dei danni causati dai suoi prodotti sugli utenti senza muovere un dito, Mark Zuckerberg ha annunciato una settimana fa la nascita di Meta, che si concentrerà nella costruzione del metaverso.

Per molti, questi sono stati dei parafulmini contro le polemiche che continuavano a piovere addosso all’azienda. Allo stesso modo, anche quello sul riconoscimento facciale rischia di passare come un tentativo di distogliere l’attenzione dalla pressione pubblica. Per altri, invece, è proprio grazie al pressing mediatico e politico che si è arrivati “a prendere decisioni sui prodotti che siano buone per l’utente e per l’azienda”, come ha sottolineato ad Associated Press Kristen Martin, professore di etica tecnologica alla Notre Dame University. Proprio quest’anno, poi, un giudice ha approvato una multa da 650 milioni di dollari per Facebook in seguito a una class action dello Stato dell’Illinois, che accusava l’azienda di aver raccolto dati senza permesso.

Fatto sta che Meta non ha perso troppo tempo per imporre subito il suo nuovo corso tecnologico: le forze utilizzate fino ad oggi per il riconoscimento facciale – ricercatori, esperti oltre a foto e video – saranno indirizzate nelle nuove attività di creazione di una realtà aumentata.

Se, come dichiarato, l’obiettivo di Meta è quello di permettere all’utente di vivere un mondo virtuale attraverso degli occhiali particolari, per riuscirci dovrà inevitabilmente richiedere delle autorizzazioni alle persone e preoccupa fin da subito il modo in cui verranno raccolti i dati biometrici e che uso se ne farà. Nel mondo nuovo di Zuckerberg, dunque, potrebbero esistere gli stessi problemi di quello antico.

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