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#Lega. Prove di ricambio generazionale

Che ci sia voglia di novità, in tutto il Paese, soprattutto in politica, è fuori discussione. Che questa voglia sia ancora maggiore al nord è sempre più evidente. Perché per anni la Questione settentrionale è stata completamente ignorata. Poi è arrivato il ciclone Lega che ha costretto la politica a porre tale argomento nella propria agenda e il federalismo è parso diventare la parola d’ordine di tutti i partiti (anche quelli storicamente “centralisti”) affinché si potesse dare una risposta ad un’istanza così complessa. Negli ultimi dieci anni è sembrato che l’accoppiata Bossi-Berlusconi potesse realizzare quel cambiamento che a gran voce veniva chiesto dalla società nordista in tutte le sue componenti (sociali, economiche, finanziarie, politiche, istituzionali…).
 
Il primo è stato portatore di una ventata di novità che ha ribaltato gli usi e i costumi del fare politica con metodi ruvidi e popolani; il secondo è “sceso in campo” in prima persona, da imprenditore, quindi da uomo del fare, pratico, garante degli interessi della borghesia produttiva. Entrambi efficaci, carismatici, con senso pratico. Entrambi lombardi. Il patto tra i due personaggi “anomali” (e per molti versi malvisti dall’establishment nostrano ed internazionale) ha funzionato per anni, e dal 2008 al 2010 ha inanellato una serie di successi elettorali sempre maggiori. È stato definito l’“asse del nord”, nonostante Berlusconi abbia pescato a piene mani anche nelle regioni meridionali e la Lega abbia sfondato elettoralmente anche sotto il Po. Poi il vento è cambiato. E dall’anno scorso sono state solo sconfitte, dalla caduta della roccaforte di Milano fino alle dimissioni del Cavaliere da Palazzo Chigi. Complice anche una crisi economica finanziaria internazionale senza precedenti, le promesse della coppia Berlusconi-Bossi sono rimaste incompiute.
C’è chi parla di fallimento, chi esulta per la fine dell’ondata populista, chi perché si è rotto l’asse del nord, chi invece accusa i “poteri forti” di aver ribaltato il voto popolare, realizzando addirittura una sorta di golpe.
 
Di certo è che l’azione del governo di centrodestra, dopo l’uscita di Fini dal Pdl, ha subito un appannamento innegabile. E da quel momento è cominciata nella pancia del nord la ricerca di una nuova fase, una nuova situazione a cui aggrapparsi per continuare a sperare in una rappresentanza politica che possa continuare a dare voce alla parte più produttiva del Paese. Tanto è vero, che in un primo momento (falliti prima di nascere i tentativi sia di Montezemolo sia di Fini, tramontata la stella Tremonti, eterna incompiuta la consacrazione di Formigoni), l’arrivo di Mario Monti è stato salutato con un vero e proprio sospiro di sollievo. Ma oggi è già cominciata la ricerca di una nuova guida politica che rappresenti il nord. E l’asse Pdl-Lega che governa dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia? è definitivamente tramontato? Probabilmente una stagione si è chiusa definitivamente. La Lega andrà alle elezioni amministrative di primavera da sola, a costo di sacrificare alcune amministrazioni in cui ha governato con gli (ex) alleati.
 
Separandosi da Berlusconi, il Carroccio si è posto un obiettivo ambizioso: diventare il primo partito del nord. Contando sulla crisi in cui versa il Pdl da una parte e sul fatto che la sinistra sopra il Po non gode di grandi simpatie. Siamo dunque di fronte, dopo anni, ad una vera e propria crisi di rappresentanza. E la Lega è in grado, oggi, di fare il salto di qualità e prendere definitivamente la bandiera di rappresentante politico del nord, dopo aver investito per anni sull’identità padana? Agli occhi del ceto medio settentrionale, il leader carismatico Umberto Bossi, che pure dopo la grave malattia che lo aveva colpito era riuscito a tornare sulla scena politica con una sorta di velo di immortalità, appare oggi stanco. E la fine dell’asse con Berlusconi non gli ha certo giovato.
 
C’è voglia di novità. Che la Lega può incarnare ancora una volta, nonostante sia oggi il partito più “vecchio” sul panorama politico nazionale, se si dimostrasse capace di interpretare il sentimento composito che attanaglia l’elettorato nordista: un misto di incertezza, paura, speranza, voglia di nuovo, ma nello stesso tempo bisognoso di certezze. Ecco quindi che in questo contesto il vero elemento di novità – all’interno del Carroccio e punto di riferimento per tutto il nord – è rappresentato dal nuovo ruolo politico che Roberto Maroni può assumere. Da sempre considerato l’uomo più “istituzionale” della Lega, l’ex-ministro dell’Interno da tempo ha cominciato a dedicarsi anima e corpo al partito, mietendo successi sempre crescenti (suoi personali e degli uomini a lui più vicini). La Lega negli ultimi quindici anni ha sfornato una classe dirigente di quarantenni di spessore, che ha maturato esperienza governando il territorio. Gran parte degli amministratori locali guardano a Maroni come leader del futuro. E Maroni è largamente apprezzato all’interno della Lega sia dalla base sia dai dirigenti (a parte, ovviamente, i nemici dichiarati), ma non solo: viene stimato dagli avversari politici, dai rappresentanti delle istituzioni, da una grande fetta di elettorato potenziale, dalla società civile in genere, che ha gradito la sua crescita politica e la sua azione incisiva sia da ministro del Welfare sia da titolare del Viminale.
 
Il consenso di Bobo dunque cresce. Nonostante svolga attività politica con Umberto Bossi dal 1978 (prima ancora cioè che la Lega nord venisse costituita), Maroni è considerato il nuovo che avanza. E in un momento in cui la rappresentanza politica del nord è in crisi, uno come lui, se riesce a giocare bene le sue carte, può andare a colmare questo vuoto. E se il centrodestra ha una possibilità di risorgere – ridisegnato, ripensato, rinnovato – può farlo solo con un ticket completamente nuovo: Alfano-Maroni. Ma prima, devono accadere passaggi politici delicati e tutt’altro che scontati: vittoria e rafforzamento della Lega alle amministrative, rifondazione del centrodestra, nuovo accordo di programma centrodestra-Lega, consacrazione definitiva della coppia Maroni-Alfano. Ma Bossi e Berlusconi vorranno fare solamente i padri nobili di una nuova stagione politica?


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