Il ceo della banca che avrebbe dovuto rilevare Mps ascoltato in commissione Banche. Con il Tesoro è mancata la convergenza sulla ricapitalizzazione, nonostante Unicredit ce l’abbia messa tutta per chiudere l’operazione. Padoan? Mai intromesso nella vicenda
L’attesa c’era tutta. Poco prima delle 17.30, rigorosamente a borse chiuse, Andrea Orcel, ceo di Unicredit, ha varcato il cancello di Palazzo San Macuto per dirigersi nella Sala del Refettorio e riferire alla commissione Banche presieduta da Carla Ruocco, circa la clamorosa rottura delle trattative per l’acquisto del ramo sano di Mps. Il Parlamento vuole vederci chiaro su uno dei dossier più delicati del 2021 e per questo ha avviato un ciclo di audizioni apertosi la settimana scorsa con l’intervento del direttore generale del Tesoro, azionista del Monte dei Paschi al 64%, Alessandro Rivera.
Dopo Orcel, sarà il turno del ceo di Mps, Guido Bastianini per poi chiudere con il ministro dell’Economia, Daniele Franco. Ora che lo Stato è costretto giocoforza a rimanere padrone di Mps, facendosi carico della ricapitalizzazione e della pulizia del bilancio in attesa di un nuovo compratore, è tempo di capire che cosa è davvero andato storto ai piani alti di Via XX Settembre. Orcel, successore al vertice di Unicredit di quel Jean-Pierre Mustier che proprio alla fusione con Mps si oppose ha fornito la sua versione dei fatti, giustificando l’abbandono delle trattative con il governo italiano.
Nell’attesa che il prossimo 9 dicembre l’istituto di piazza Gae Aulenti alzi il velo sul piano industriale, Orcel ha messo subito in chiaro che “sebbene il risultato finale sia diverso da quanto auspicato, pensiamo si possa dire che abbiamo fatto del nostro meglio per raggiungere un accordo che fosse in linea con i principi concordati all’inizio delle trattative”.
Il manager romano ma con una lunga esperienza in molte banche d’affari americane, ha confermato la versione secondo cui sarebbe stato proprio l’importo dell’aumento di capitale a far saltare il banco. Unicredit avrebbe chiesto circa 6 miliardi, il Tesoro avrebbe potuto arrivare a 3. “Su Mps al netto di normali scostamenti dovuti a singole poste, l’ammontare necessario di capitale era più significativo di quanto il Mef si aspettasse. Abbiamo cercato e proposto diverse alternative ma tutte si sono rivelate insufficienti a premettere alle parti di proseguire la trattativa. Era una operazione che avrebbe potuto essere realizzata, ma non a ogni costo”.
Ancora, sulla possibile acquisizione di Mps a inizio trattative erano stati concordati con il ministero dell’Economia 5 principi da rispettare. Il primo, “la neutralità dell’operazione sul capitale del gruppo. Secondo, un significativo accrescimento dell’utile e/o il mantenimento dei livelli attuali, anche prima di possibili sinergie. Terzo, l’esclusione di contenziosi straordinari e di tutti i relativi rischi legali o potenziali. Quarto l’esclusione dei crediti deteriorati, identificati anche a seguito della due diligence e quinto e ultimo principio un accordo sulla gestione del personale”.
Orcel ha poi respinto le voci che volevano Unicredit sulle barricate sulle altre questioni, al netto della ricapitalizzazione. E nessun commento sull’interesse di altre banche per Siena. Una cosa è certa. Il presidente di Unicredit, Pier Carlo Padoan, da molti osservatori indicato come il garante dell’operazione, si è subito astenuto da ogni intromissione nella vicenda. “Non c’è stato alcun conflitto di interesse da parte del presidente e questo fin dalla prima ora”.