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Mps in sposa a Unicredit? Sarà un matrimonio poligamo. Il piano B del Tesoro per Siena

A Via XX Settembre prende corpo un’operazione di sistema che punta al coinvolgimento di più banche, anche se l’obiettivo rimane cedere la maggioranza del capitale in mano allo Stato all’istituto guidato da Andrea Orcel. Nel frattempo si lavora a ricapitalizzazione e pulizia dei bilanci

Due anni, forse anche meno. Tanto servirà al Tesoro per uscire dal Monte dei Paschi, di cui è azionista al 64%. A tre settimane dalla traumatica rottura delle trattative tra Via XX Settembre e Unicredit, al dicastero che fu di Quintino Sella si studia un piano per garantire il passaggio di proprietà della banca più antica del mondo, entro 18 mesi al massimo.

Tutto, come ha appreso Formiche.net da ambienti vicini alla trattativa, ruota intorno alla parte sana di Mps, quella cioè sgravata dai contenziosi legali (6 miliardi circa), dalle sofferenze (da scaricare nella società pubblica Amco) e con le filiali del Meridione messe in pancia al Mediocredito Centrale. La partita dunque si gioca sul ramo in salute di Rocca Salimbeni. Qui, viene raccontato, il piano sarebbe il seguente: riproporre a Unicredit il pacchetto di maggioranza di Siena ma coinvolgere per il restante capitale (al netto del flottante in mano al mercato, e delle altre quote minoritarie, incluse quelle dei fondi), altre banche.

Uno schema che richiama nei fatti la proposta formulata nei giorni scorsi dall’ex membro del board di vigilanza della Bce, Ignazio Angeloni, che prevede il coinvolgimento di altri soggetti che possano rilevare quote di capitale oggi in mano al Tesoro, magari incentivati dalla proroga dei benefici fiscali fino a giugno 2022. L’intento del Mef sarebbe però riproporre la maggioranza all’istituto guidato da Andrea Orcel, il solo oggi ad avere la stazza necessaria per sostenere lo sforzo di prendersi Mps e di spalmare il restante capitale su altri soci, verosimilmente banche.

Una visione condivisa peraltro dallo stesso premier Mario Draghi, ben disposto a radunare attorno a un tavolo tutti i banchieri più importanti del Paese, per cercare di coinvolgere l’intero sistema bancario nella privatizzazione del Monte dei Paschi, lasciando il grosso a Unicredit. Una soluzione di sistema insomma, di raccordo con il Mef e, soprattutto, Bankitalia.

L’operazione fin qui descritta, ancora alla fase embrionale, vedrà però la luce solo nei prossimi mesi. Ad oggi è aritmeticamente impossibile che il Mef, come chiesto da Unicredit, possa mettere sul piatto 6 miliardi di ricapitalizzazione. Il ministro Daniele Franco e il direttore generale Alessandro Rivera fisseranno l’asticella a 3 miliardi, raccolti in larga parte dal mercato, sempre che l’Ue accordi la proroga di 18-24 mesi la cui richiesta dovrebbe essere formalizzata a breve e penseranno a gestire gli esuberi, ricorrendo a forme di prepensionamento e su cui i sindacati del credito, per ora, sono tranquilli.

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