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Povertà e lavoro, tutti gli equivoci sul reddito di cittadinanza (e come riformarlo)

È giusto che ci sia un sostegno alla povertà e all’avviamento al lavoro. Ma le due misure vanno tenute rigorosamente separate, pena quell’effetto “divano di cittadinanza”. La riflessione di Luigi Tivelli

La truffa per almeno 15 milioni di euro per i 9.000 romeni fantasma sul reddito di cittadinanza scoperta a Milano è solo l’ultima di vari casi di truffe sul Reddito diffuse nei mesi scorsi a macchia di leopardo nella penisola. A fronte di fenomeni di questa gravità per un verso si sa che lo stanziamento per il reddito di cittadinanza sarà per il 2022 di 1 miliardo in più, raggiungendo la soglia così di 9 miliardi, per altro verso si sa che ci saranno dei paletti per l’assegnazione del reddito e dei controlli più severi.

Il paletto sin qui esplicitato è quello secondo cui dopo il rifiuto di una proposta di lavoro con i requisiti richiesti per la seconda volta il titolare decade dal reddito, oltre all’impegno a più stringenti controlli per l’assegnazione del mantenimento del reddito. Non mi sembra a questo punto che tutto questo basti. È noto che per i 5 Stelle il reddito di cittadinanza è una delle bandiere principali, e forse di questo si è tenuto conto per gli equilibri di governo ai fini della manovra. Ciò non toglie però che rimanga l’equivoco di fondo su cui si basa il reddito di cittadinanza, dal quale sono derivate in parte significativa anche le stesse diffuse truffe.

È noto che coloro che hanno sottoscritto il patto del lavoro sono meno di 1/3 dei titolari del reddito, così come è noto che gli effettivamente avviati al lavoro sono un numero quasi irrisorio. Questo perché, per l’appunto, il vero nodo del reddito di cittadinanza, così come è stato impostato sta nella sua stessa matrice. Si tratta infatti nel contempo di una misura di sostegno alla povertà e di una misura di sostegno al reddito per soggetti chiamati a lavorare.

Per l’inefficienza dei centri pubblici per l’impiego, per il fallimento dei navigator che dovevano essere guidati dall’Anpal, per il fallimento della gestione Anpal da parte dell’americano Mimmo Parisi, per l’appunto l’obbiettivo dell’avvio al lavoro non si è verificato. A questo punto, sulla base dell’analisi delle performance sin qui date dal reddito di cittadinanza, la proposta più saggia sarebbe quella di scomporre le due finalità. È giusto che ci sia una misura di sostegno alla povertà, così come avviene in tutti i grandi Paesi europei (così come tra l’altro viene ufficializzata nella versione del reddito come pensione di cittadinanza). Così com’è giusto che ci sia una misura per l’avviamento al lavoro, magari per lavori non troppo impegnativi e a tempo in parte ridotto. Ma le due misure vanno tenute rigorosamente separate, pena quell’effetto “divano di cittadinanza” che si è realizzato per molti giovani e non beneficiari del reddito. O l’utilizzo del beneficio accompagnato da forme di lavoro nero: un fenomeno non poco diffuso.

Se vogliamo ricorrere a riferimenti storici significativi, va ricordato che Ernesto Rossi dalla prigione fascista aveva scritto un libro dal titolo Abolire la miseria, poi ripubblicato a metà degli anni 70 da Paolo Sylos Labini. In questo libro c’era un progetto chiaro, quello di un “esercito del lavoro”, soprattutto per i giovani. I soggetti impegnati in questo esercito per il lavoro dovevano secondo Ernesto Rossi essere impegnati soprattutto in opere di pubblica utilità, nella prevenzione di calamità naturali, nel sostegno con l’azione preventiva alle fratture del paesaggio, soprattutto nel Mezzoggiorno e in altri tipi di lavoro.

Ebbene, anche nei nostri tempi, soprattutto ma non solo nel Mezzoggiorno, c’è bisogno più che mai di coinvolgere i giovani in lavori di questo tipo, in parte in una versione aggiornata, e quindi ci sarebbe la necessità di una misura diretta di sostegno e coinvolgimento in questo tipo di lavori, di per sé ben più efficace del reddito di cittadinanza così come impostato sin qui.

Per altro verso, come già osservato, c’è bisogno di una misura di sostegno per la povertà, che emerga da una riflessione operativa sul reddito di inclusione e su quegli aspetti sul reddito di cittadinanza che sono andati fin qui al sostegno della povertà. Occorre quindi sciogliere l’equivoco per cui il reddito di cittadinanza così come concepito sin qui raggiunge molti soggetti quanto a misura di sostegno alla povertà e ne raggiunge pochissimi quanto a incentivo e sostegno al lavoro, proprio perché fonde in sé due aspetti che non dovrebbero essere fusi nella stessa misura. A questo punto occorre quindi il coraggio di puntare ad impostare, previo un dialogo anche con i 5 Stelle, una scomposizione del reddito di cittadinanza così com’è, per giungere come avviene negli altri Paesi europei a due misure, così come sin qui evidenziato, con finalità ben diverse.

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