Un’ottima risposta al velenoso articolo di Le Figaro su Napoli è il libro di Francesca Amirante, “Napoli Adagio”. l’Ipogeo delle anime del Purgatorio non poteva che trovarsi a Napoli, unica città capace di essere al contempo la più generosa e la più spietata, la più nobile e la più trascurata, la più religiosa e la più pagana. Il commento di Igor Pellicciari, ordinario di Relazioni Internazionali all’Università di Urbino
L’Ipogeo del Purgatorio ad Arco a Napoli è un luogo di culto mistico, senza pari.
Non esiste esperienza simile capace di proiettare sensorialmente chi è ancora in vita nell’Aldilà, ricreando l’illusione del trapasso – momentaneo e reversibile – nella dimensione calma e parallela del Purgatorio.
E’ uno spazio sobrio ma non austero, a-cromatico, a-temporale, sospeso nell’attimo come il tuffatore che si abbandona sul fondale del mare, sostenuto dall’acqua.
Se “la vita è uno stato mentale” (cit. dal film cult con Peter Sellers, Being There, 1979), scendendo i gradini che portano all’Ipogeo viene da pensare che anche la morte lo sia.
Ovunque si trovasse, un posto del genere, diventerebbe un’attrazione assoluta e, anche in mancanza di altri punti di interesse nelle vicinanze, da solo garantirebbe un flusso continuo di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Ovunque, ma non a Napoli, dove addirittura molti dei residenti ne ignorano la presenza, tanta è qui la concentrazione di luoghi al contempo incredibili e unici nel loro genere.
Sono bene riassunti in un bellissimo libro fresco di stampa di Francesca Amirante, storica dell’arte, “Napoli Adagio, alla scoperta della città dei contrasti”(Enrico Damiani Editore), a marcare già dal titolo una cultura del vivere interessata più al controllo del tempo che dello spazio.
Come ricordava Luciano de Crescenzo nella sua memorabile teoria della vasca e della doccia (“La doccia è milanese, perché ci si lava meglio, consuma meno acqua e fa perdere meno tempo. Il bagno, invece, è napoletano. E’ un incontro con i pensieri, un appuntamento con la fantasia”).
Il libro è la risposta migliore sia al controverso articolo critico che Le Figaro ha riservato a Napoli, sia alle prevedibili reazioni polemiche nostrane che ha provocato, dando vita a una di quelle contrapposizioni frontali sempre più spesso eterodirette dall’infotainment dei media.
Infatti lo scontro fa audience ma provoca pure danni, a seconda dell’argomento trattato.
Una cosa è la discussione tra Selvaggia Lucarelli e Morgan nella parodia di una gara di ballo, altra quella tra un virologo e un no-vax in una trasmissione di informazione sui vaccini.
E’ vero che il quotidiano francese parla di Napoli in termini molto duri, ma alcune espressioni (su tutte l’infelice “terzo mondo d’Europa”) si sono caricate di un’addizionale valore offensivo proprio per via del trucco di estrapolarle dal contesto per rafforzarne il messaggio univoco negativo.
Lo stesso si è fatto con le ovvie numerose reazioni levatesi a difesa di Napoli, zippate dai media in poche parole a misura di occhiello, diventate slogan autoreferenziali.
Quello che nasceva come servizio giornalistico d’oltre Alpe sulle ultime consultazioni comunali e sui problemi del governo locale del capoluogo campano (sbandierati dagli stessi candidati nel corso della campagna elettorale), si è trasformato in una diatriba tra il campanilistico ed il puerile, con toni da bar sulla squadra di calcio del cuore.
A ravvivare la polemica hanno di sicuro contribuito vecchie rivalità nazionali tra Francia e Italia e questioni geo-politiche più attuali, come il chiaro tentativo di condizionare i flussi nell’era del turismo Covid o la questione della sospensione unilaterale di Schengen per facilitare il respingimento dei migranti a Ventimiglia.
E’ curioso ma non stupisce più di tanto che le reazioni a Le Figaro siano state più trasversali e nette di quelle che si levano contro la lunga lista di critiche pesanti, anche se a volte mascherate dietro toni ironici, mosse periodicamente nei confronti di Napoli da quotidiani e giornalisti del nord Italia (l’ultimo è il twitter dell’11 novembre di Vittorio Feltri sulla illegalità partenopea).
Come a dire che più del giudizio negativo in sé ha infastidito che provenisse dai francesi, dal cui fare paternalista gli italiani cercano di smarcarsi dai tempi dell’unità nazionale, e la cui capitale, Parigi, è oggi pure afflitta da una decadenza urbana con ampie periferie fuori controllo, le Banlieue, oramai simbolo caratterizzante della città al pari degli Champs Elysées.
Sono polemiche franco-italiane che non portano a nient’altro se non ad avvelenare i pozzi e a lasciare il retrogusto amaro della discussione senza vincitori né vinti.
Il punto è che, come ci ricorda il libro di Amirante, a caratterizzare Napoli non è solo l’adagio – ma anche i contrasti, che riesce a fare convivere con la semplicità disarmante di un talento innato, senza l’ossessione della sintesi da trovare a tutti i costi.
Il suo fascino sta in questa inclusione delle differenze che fa sentire anche il visitatore di passaggio parte integrante dell’equilibrio instabile urbano, presenza nuova in un metaforico presepe enorme che accoglie tutti, dalle figure tradizionali agli ultimi arrivati.
In fin dei conti, l’Ipogeo del Purgatorio ad Arco non poteva che trovarsi a Napoli, unica città capace di essere al contempo la più generosa e la più spietata, la più nobile e la più volgare, la più elegante e la più trascurata, la più religiosa e la più pagana.
Un Purgatorio Urbano, da sempre – e per sempre – capace di fare convivere il contrasto più grande. Tra Inferno e Paradiso.
(Foto tratta da https://www.instagram.com/purgatorioadarco/)