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Consigli per il G8. Come uscire dalla crisi

 

Quest’anno i rappresentanti del G8 si incontreranno in un momento storico decisamente critico soprattutto in termini economici e sociali, con l’obbligo di affrontare la più grave crisi economica e sociale che si sia mai verificata negli ultimi 80 anni. Parafrasando Keynes, il destino del mondo è nelle mani dei membri del G8. C’è la possibilità che prendano decisioni che ci permetteranno di uscire da questa situazione creando un futuro di crescita sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e con una distribuzione equa delle ricchezze prodotte sia all’interno dei Paesi sia tra i vari Paesi stessi. In caso contrario porteranno il peso di un’enorme responsabilità di fronte alla storia, ovvero quello di non aver svolto il compito a loro affidato dai cittadini in circostanze sì estreme ma che hanno comunque dato loro più spazio di manovra di quanto ne avrebbero avuto in circostanze più “normali”.
 
Ecco perché un gruppo di “esperti”, senza alcun ruolo specifico se non quello di cittadini del mondo, hanno deciso di incontrarsi per riflettere sulle eventuali misure da adottare, sperando che dalle loro riflessioni possano emergere raccomandazioni utili ai potenti di questo mondo. Questo gruppo, auto nominatosi “GN”, è stato costituito sotto la leadership di Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi grazie ad una collaborazione con la Luiss e la Columbia University.
 
In passato il gruppo si è già incontrato due volte, una a New York presso la sede della Columbia University il 4 ed il 5 febbraio 2009, ed una volta a Roma il 6 ed il 7 maggio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

INTRODUZIONE: COME SI CREA UNA CRISI GLOBALE

 
La crisi iniziata nel 2007 all’interno di un piccolo settore del mercato creditizio statunitense (i mutui subprime) si è trasformata in una vera e propria recessione. La crisi ha quattro caratteristiche fondamentali: la prima è che ha una natura globale in quanto è iniziata proprio nel punto focale del sistema. La seconda è che, più che nelle crisi passate, questa crisi è dominata da un forte senso d’ingiustizia. La terza particolarità è data dal fatto che le sue radici si fondano in motivazioni strutturali e in un sistema di regole troppo liberali del settore finanziario. Il quarto elemento è che questa crisi ha un carattere dottrinale. Il credere nelle proprietà auto-regolatorie dei mercati ha portato ad una totale mancanza di regole e ad una totale sfiducia nell’intervento del governo.
 
La crisi finanziaria causata da un numero di errori di valutazione nei confronti dei mutui subprime si è evoluta fino a diventare una crisi sistemica a causa della catena delle innovazioni finanziarie, sostenuta da politiche monetarie lascive e da una struttura di regolamentazione troppo leggera che ha moltiplicato gli effetti dello shock iniziale. Il contagio del settore reale di solito avviene attraverso la riduzione dei limiti creditizi per famiglie ed aziende. Nel tentativo di recuperare delle quote ragionevoli, le banche hanno tesaurizzato i liquidi o elargito prestiti a tassi elevati. Le aziende, d’altra parte, hanno continuato ad utilizzare il flusso di contanti per recuperare una proporzione di debito rispetto al capitale posponendo l’investimento, mentre le famiglie hanno di conseguenza subito un effetto negativo sul loro benessere. Il risultato è stato una riduzione generalizzata della domanda aggregata che porta la maggioranza degli economisti a prevedere il prolungamento della recessione nel 2010.
 
La crisi ha radici strutturali. La diminuzione della domanda aggregata ha preceduto la crisi finanziaria ed è stata causata da cambiamenti strutturali nella distribuzione degli introiti. A partire dal 1980, nella maggior parte dei Paesi sviluppati, lo stipendio medio risultava stagnante e sono iniziate ad emergere ineguaglianze di trattamento a favore dei redditi più alti. Questa tendenza ha comportato una serie di conseguenze tra cui un processo di globalizzazione asimmetrico (con una maggior liberalizzazione dei capitali rispetto a quella dei mercati del lavoro), assenza della governabilità aziendale ed una rottura delle convenzioni sociali egalitarie emerse dopo la seconda guerra mondiale. Poiché, in genere, la propensione al consumo da parte dei contribuenti con redditi inferiori è maggiore, la tendenza all’auto ridistribuzione dei redditi in un periodo a lungo termine sembra abbia provocato, in termini macroeconomici, la depressione della domanda aggregata.
 
Negli Stati Uniti la compressione dei redditi inferiori è stata compensata dalla riduzione dei risparmi familiari e da un crescente indebitamento, che ha permesso al modello di spesa di rimanere apparentemente stabile. Allo stesso tempo, le limitate reti di salvataggio hanno obbligato i governi a perseguire politiche macroeconomiche per combattere la disoccupazione e che hanno implicato un aumento del debito degli stessi governi. Pertanto la crescita è stata mantenuta a spese del crescente indebitamento pubblico e privato.
 
La maggior parte dei Paesi europei hanno percorso una strada diversa. La ridistribuzione dei redditi più alti è risultata in un aumento dei risparmi nazionali ed in una crescita depressa. Negli ultimi 15 anni le misure istituzionali, tra cui i limiti di deficit imposti dai criteri di Maastricht e dal Patto per la Stabilità e la Crescita è risultata in una reattività bassa delle politiche fiscali e della politica monetaria restrittiva. Con un settore finanziario meno predisposto all’innovazione, ciò ha limitato la possibilità di prendere prestiti da parte del consumatore. Lo spostamento all’interno del meccanismo della distribuzione ha portato ad una lieve crescita.
 
Questi due cammini si sono vicendevolmente rafforzati in quanto i risparmi dell’area Ue hanno contribuito a finanziare il prestito statunitense insieme agli avanzi di altre regioni che per motivi diversi, essenzialmente per una forma di assicurazione contro l’instabilità macroeconomica e la conseguente perdita di sovranità a causa dell’intervento degli Istituti finanziari, hanno ottenuto grandi risparmi (soprattutto i Paesi dell’Asia orientale e del Medio Oriente quali produttori di petrolio). Pertanto la combinazione di disequilibri strutturali, anche noti come sbilanci globali, ha portato ad un fragile equilibrio che ha risolto solo temporaneamente il problema della domanda aggregata su scala globale a spese di un’eventuale crescita futura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

RACCOMANDAZIONI

 
I-                   Raccomandazioni per la gestione delle cause strutturali della crisi
 
Per capovolgere la tendenza della distribuzione e quindi contribuire a sostenere la domanda aggregata nel periodo medio lungo si propone di:
 
1-                 Aumentare la progressività del sistema di imposte in particolar modo per i redditi alti o molto alti. Ciò dovrebbe avvenire con un’azione coordinata per evitare movimenti eccessivi di lavoratori altamente qualificati.
2-                 Lottare contro i paradisi fiscali e, in generale, aumentare le risorse per la lotta all’evasione fiscale.
3-                 Introdurre una forma di cooperazione tra Paesi per evitare un’eventuale competizione tra tasse, deflazione degli stipendi e dumping sociale, ovvero versioni moderne delle politiche mercantilistiche (beggar-thy-neighbour policies) degli Anni ‘30.
4-                 Ridare un ruolo importante agli stabilizzatori automatici e, più in generale, assicurare un ruolo più determinato del governo.
5-                 Implementare un piano di ridefinizione del sistema del welfare mirato alla ridistribuzione ed alla formazione delle risorse umane. Ciò implicherebbe:
a.       la conformità della sanità e dell’educazione.
b.      l’inversione di tendenza da schemi definiti per i benefici a schemi definiti per le pensioni che in passato hanno limitato il ruolo di ridistribuzione della previdenza sociale.
 
II-                Incentivi fiscali
 
1-     Poiché la crisi attuale ha un carattere globale, i Paesi coinvolti dovrebbero definire una risposta coordinata. L’economia mondiale ha bisogno di uno stimolo a livello globale, mentre non dovrebbe ammettere decisioni individualistiche da parte dei singoli Paesi, per ottenere una distribuzione equa del peso dello stimolo tra i vari Paesi ed uno sforzo specifico per sostenere gli Stati che non hanno le risorse per portare avanti una politica fiscale contro-ciclica. Per quanto noto non è ancora stato definito un sistema di distribuzione, gli sforzi fatti dall’Ue in particolar modo sembrano infatti ancora al di sotto delle aspettative di azione rispetto all’entità del suo Pil e all’alto livello dei tassi di risparmio. Per consolidare un atteggiamento prudente è necessario avere più stimoli.
2-     I Paesi in via di sviluppo e le economie in transizione sono state colpite duramente dalla crisi. In base a gran parte delle previsioni, l’Europa centrale e dell’est è la regione che al momento è più in difficoltà, sebbene anche l’America latina, l’Africa sub-sahariana ed alcuni Paesi dell’Asia dell’est subiranno un rallentamento nella crescita economica simile, se non maggiore, di quella subita dai Paesi industrializzati. Le azioni più aggressive proposte dal G20 durante l’incontro di aprile a Londra si sono concentrate sulla liquidità addizionale fornita attraverso nuove strutture del Fmi, in particolar modo tramite il credito flessibile. È inoltre necessaria una forma di compensazione tramite ad esempio il rafforzamento dell’assistenza ufficiale allo sviluppo (Official development assistance) e da nuovi fondi per lo sviluppo per aumentare gli investimenti. Gli investimenti infrastrutturali, la spesa sociale per le aree esposte alla malnutrizione, l’educazione base e la sanità dovrebbero essere la focalizzazione delle politiche fiscali dei Paesi in via di sviluppo. I programmi mirati ai poveri, come il Cct (Conditional cash transfer), sono più efficaci nei Paesi con redditi medi mentre nei Paesi più poveri sono preferibili programmi di carattere universale.
3-     Il crollo del commercio internazionale è una delle conseguenze più drammatiche della crisi attuale. Ciò riflette da un lato una riduzione dell’11% del volume del commercio e dall’altra una forte riduzione dei prezzi delle merci. Ecco perché eventuali atteggiamenti protezionistici da parte dei Paesi industrializzati potrebbero rivelarsi pericolosi, ed ecco perché la cooperazione internazionale dovrebbe avere come primo obiettivo le economie dipendenti dai beni a basso reddito.
4-     La disponibilità di fondi esterni ai Paesi in via di sviluppo sarà sempre più critica ed il potenziamento degli Istituti finanziari non sembra un’opzione sensata. Gran parte dei prestiti elargiti dagli Istituti finanziari in risposta alla crisi finanziaria sono rimasti legati ai vecchi criteri di condizionabilità. È necessario creare un sistema esente dalla condizionabilità, interno o esterno agli Istituti finanziari. Il modo più rapido e più efficiente di finanziare questo nuovo sistema potrebbe essere realizzato attraverso una nuova allocazione di diritti speciali di prelievo (Sdr). Un vantaggio evidente di un’allocazione immediata di Sdr deriva dal fatto che gli istituti dedicati sono già esistenti. Gran parte di questi nuovi finanziamenti dovrebbero essere riservati agli investimenti nell’economia verde o in spese legate al capitale umano (sanità, educazione). Il finanziamento proveniente da questo nuovo sistema dovrebbe essere l’elemento che garantisce la compatibilità tra piani di incentivi a breve termine e strategie di sviluppo a lungo termine dei Paesi interessati.
5-     La paura di un aumento insostenibile del debito pubblico e la preoccupazione del possibile tasso di inflazione derivante sono attualmente estremamente esagerate. In effetti gli incentivi dovrebbero portare ad un aumento consistente dei beni del governo come forma di compensazione per il deficit ed eventuali altri debiti, al fine di ridurre al minimo il peso sui contribuenti e promuovere la crescita potenziale. Le spese sulle infrastrutture ad esempio, quando compatibili con ritardi ragionevoli (progetti pronti a partire), dovrebbero essere preferite alle modalità di spesa utilizzate oggi. Gli investimenti nei progetti di ristrutturazione al fine di ridurre l’energia consumata dalle famiglie e dalla pubblica amministrazione possono essere implementate in tempi rapidi. I beni dovrebbero essere considerati, in senso generale, come indicatori di “sviluppo” non solo del Pil. Gli investimenti in nuove tecnologie per l’ambiente e l’energia potrebbero divenire appetibili così come le spese mirate alla riduzione dell’ineguaglianza o all’aumento del capitale umano (riforme per l’educazione e la sanità).
6-     Dalle raccomandazioni ne conviene che maggiore è l’aiuto fornito ai Paesi emergenti e in via di sviluppo, più efficiente sarà l’incentivo globale in quanto i Paesi ricevitori dei fondi trasformeranno in spesa i soldi ottenuti sotto forma di finanziamento.
 
III Politica monetaria
 
1-                 La preoccupazione riguardante l’inflazione dovuta ad un eccesso di liquidità immessa nel sistema attraverso politiche monetarie sembra essere più immaginaria che reale. Al momento la minaccia più reale è la deflazione e non l’inflazione. La deflazione degli stipendi sembra essere iniziata anche nei Paesi industrializzati, e nel caso in cui dovesse continuare porterà ad una maggiore depressione della domanda aggregata. L’inflazione dei prezzi dei beni è stata un fattore destabilizzante sin dall’inizio della crisi.
2-                 Una delle lezioni emerse dall’attuale crisi è che è necessario ridefinire i concetti di macroeconomia globale e stabilità. La stabilità macroeconomica e finanziaria è un principio molto più ampio rispetto alla stabilità dei prezzi, e spesso i due concetti sono in conflitto. Il controllo dell’inflazione con il pericolo di un aumento dell’instabilità reale e finanziaria si è rivelata una scelta poco lungimirante, che ha portato alla crisi attuale.
La stabilità macroeconomica è un concetto multidimensionale che non comprende solo la stabilità dei prezzi, ma va oltre. Come tale ha bisogno di una molteplicità di strumenti ed un coordinamento significativo con altre misure. Modificare i prezzi dei beni, le misure regolamentari, le espansioni o le restrizioni quantitative possono essere strumenti da utilizzare insieme o al posto dei tassi di interesse per perseguire obiettivi molteplici.
 
III-             Piani di salvataggio
 
1-                 Gran parte dei governi sta definendo piani di salvataggio per le aziende in particolar modo nel settore bancario. Nel farlo i governi devono tenere in considerazione l’impatto fiscale, l’equità ed in particolar modo l’effetto dei piani di salvataggio sui prestiti. Si è infatti notato che la ricapitalizzazione potrebbe non portare a nuovi prestiti.
2-                 I piani di salvataggio sono diventati uno dei pilastri principali delle politiche d’intervento nel tentativo di evitare un nuovo crollo del sistema finanziario. Nella risposta alla crisi finanziaria è necessario distinguere tra (a) il mantenimento dei flussi di credito nell’economia reale; (b) il mantenimento degli Istituti finanziari; (c) ed il ridirezionamneto degli azionisti, dei funzionari di banca e di altri richiedenti alle risorse bancarie. La prima preoccupazione dei piani di salvataggio dovrebbe essere il punto (a), che deve essere implementato a costi minimi per i contribuenti. Altrimenti la ridistribuzione derivata dai piani di salvataggio tra i possessori di bond a lungo termine e gli azionisti da un parte ed i contribuenti dall’altra potrebbe essere dannosa per gli ultimi.
3-                 Sfortunatamente questa preoccupazione non è stata considerata durante questa crisi finanziaria ed il piano di salvataggio è sembrato il più delle volte mirato a salvare le banche e minimizzare i costi degli azionisti. L’esempio più recente è l’ultimo piano promosso dall’amministrazione Obama per gestire le banche in difficoltà in base al quale il governo si farà carico della maggior parte dei rischi associati all’acquisto di beni tossici, lasciando che gli investitori privati godano della sproporzione dei ricavi potenziali.
4-                 Nella maggior parte dei casi la nazionalizzazione degli Istituti finanziari in fallimento, insieme alla conversione dell’equità dei debiti, rappresenta l’opzione migliore dei vari piani di salvataggio. In diversi Paesi i governi sono diventati proprietari di vari istituti esercitando su di loro un controllo relativo. Prendere il controllo di questi istituti potrebbe rivelarsi estremamente positivo, oltre al fatto di mantenerne la proprietà. Innanzitutto, la gestione pubblica potrebbe iniziare di nuovo a concedere prestiti facendo gli interessi di tutti e non solo gli interessi degli azionisti e dei creditori. In secondo luogo, i costi dei contribuenti dovrebbero essere ridotti al minimo, e nel migliore dei casi dovrebbero essere trasformati in ricavi in quanto le strategie di acquisizione più orientate ad una fidalizzazione a lungo termine tendono a trarre beneficio dall’attuale svalutazione di diversi beni. Il settore pubblico è maggiormente in grado di assorbire i rischi a breve termine e può guadagnare nel medio e lungo termine dai beni non strettamente liquidi riducendo allo stesso tempo i costi del settore reale sistemico che si sarebbero altrimenti verificati. Inoltre, la proprietà privata ha impedito qualsiasi forma di protezione delle banche e fornisce incentivi poco ragionevoli rispetto alla risoluzione dei contratti dei mutui.
 

IV-             Regolamento

 
1-                 Il sistema finanziario dovrebbe focalizzarsi sull’identificazione e regolamentazione degli Istituti finanziari che prevedono rischi sistemici tra cui quelli che sono attualmente al di fuori di una regolamentazione prudente come i fondi d’investimento. Questi istituti si trovano in maggioranza nei Paesi sviluppati piuttosto che in quelli in via di sviluppo. Una nuova agenzia o task force interagenziale è necessaria per regolare costantemente i rischi sistemici. Ovviamente la regolamentazione deve essere riconosciuta come un processo dinamico.
2-                 I requisiti di regolamentazione dovrebbero essere rafforzati al fine di ridurre i rischi di crisi finanziarie, prendendo in considerazione eventuali fattori di rischio correlati. Dovrebbe limitare il peso eccessivo posto sugli Istituti finanziari ad esempio usando requisiti di capitale basati su obiettivi prefissati, requisiti di influenza e del capitale contro-ciclico.
3-                 Il sistema finanziario ombra deve essere supervisionato per assicurare una coerenza nella regolamentazione degli strumenti attualmente operanti nel sistema finanziario ombra. Inoltre, è necessario aumentare la trasparenza nei mercati di derivazione Otc. Vi sono diverse opzioni da considerare tra cui stanze di compensazione regolamentate, scambio di derivati e requisiti per le relazioni pubbliche.
4-                 Una responsabilità importante della struttura di regolamentazione è quella di creare incentivi adatti proponendo ad esempio forme di pagamento esecutivo che limitino eventuali rischi eccessivi. Una delle azioni proposte consiste nell’incoraggiare i regolamentatori finanziari ad identificare ed eliminare eventuali pacchetti di pagamento asimmetrico all’interno degli istituti finanziari come ad esempio opzioni di ampi pacchetti per la buonuscita.
5-                 Il sistema del tasso dei crediti dovrebbe essere riformato al fine di limitare eventuali conflitti d’interesse. Le agenzie per i tassi di credito dovrebbero conformarsi ad una serie di norme ed ottenere l’autorizzazione da enti pubblici.
6-                 La maggior parte delle proposte di regolamentazione non considerano i rischi comportati dal cambio di valuta, che è in realtà uno dei maggiori fattori di rischio di fronte ai quali si trovano i Paesi in via di sviluppo. Questi rischi potrebbero essere gestiti in modo migliore attraverso una maggior regolamentazione dei capitali. Le riforme di regolamentazione dovrebbero pertanto prendere in considerazione quest’aspetto, in particolar modo tentando di evitare flussi troppo fluttuanti e vietando prestiti ad agenti che non hanno introiti in valuta straniera.
7-                 Esiste il rischio di riforme apparenti e il rischio rappresentato dalle banche che “continuano a credere di avere una struttura troppo solida per rischiare di fallire”.
 

V-                Gestione globale

 
Un nuovo sistema dovrebbe focalizzarsi su quattro aspetti principali:
 
1-                 La creazione di un meccanismo credibile ed efficace per il coordinamento della politica internazionale. È necessaria non solo la partecipazione dei principali Paesi in via di sviluppo, ma anche delle istituzioni di rappresentanza della gestione globale. Ciò implicherebbe una revisione della struttura di gestione e delle funzioni del Fmi e della Banca mondiale. Si dovrebbe poi istituire la cosiddetta Commissione per la Sicurezza dei prodotti finanziari.
2-                 Riforma del sistema internazionale di riserva per andare verso un sistema di valute multiple sostenuto su base multilaterale.
3-                 Riforme degli attuali sistemi di regolamentazione finanziaria e di supervisione per prevenire l’emersione di eccessi: non è sufficiente dare nuovi nomi agli istituti già esistenti che non si sono dimostrati efficienti nel prevenire la crisi.
4-                 Riforme dei meccanismi di fornitura di liquidità sostenuti, tra le varie cose, da un consorzio multilaterale e regionale delle riserve di cambio di valuta nazionale per evitare il condizionamento degli oneri della politica sui meccanismi attuali.
 
VI-             Cambiamento Climatico
 
1-                 Nel contesto dell’attuale crisi economica è fondamentale sottolineare non solo che le politiche sul cambiamento climatico non saranno messe in pericolo, bensì che svolgeranno, al contrario, un ruolo importante nel superamento del crollo della crescita economica. Le azioni sul cambiamento climatico possono infatti avere un impatto sia a breve che a lungo termine.
2-                 Studi recenti hanno confermato il grave pericolo comportato dal livello attuale delle emissioni di gas serra. Per essere in linea con i suggerimenti del Pannello intergovernativo sul cambiamento climatico e ridurre il riscaldamento al di sotto di due gradi Celsius, le emissioni globali devono raggiungere un picco e iniziare a scendere molto prima del 2020 con una riduzione dell’80% entro il 2050. In particolar modo i Paesi industrializzati dovrebbero ridurre le emissioni dal 25 al 40% entro il 2020.
3-                 È fondamentale che il cambiamento climatico sia uno dei principali argomenti di discussione durante l’incontro dei Capi di Stato del GN così come negli incontri del G8 sulla finanza e sugli affari esteri. È importante creare un forte consenso sulle problematiche del cambiamento climatico e creare  un background favorevole alla Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Cop15) che si terrà a Copenaghen alla fine del 2009, all’interno della quale dovranno essere concordati i principi di costruzione per i Paesi a livello internazionale. Tra questi si affronterà la quantificazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni per i Paesi industrializzati e l’identificazione di un percorso per la riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo che possa essere sostenibile senza limitare gli sforzi per promuovere la loro crescita.
4-                 L’inadeguatezza degli standard per la riduzione delle emissioni suggerita dal protocollo di Kyoto richiede ancor di più una discussione per trovare delle vie alternative. Non è chiaro se sia preferibile ridefinire i criteri esistenti o iniziare da capo con un nuovo accordo. Data la natura globale delle problematiche legate al cambiamento climatico, c’è bisogno di un maggiore coordinamento e le Nazioni Unite sembrano essere il contesto naturale per una discussione comune. Al fine di discutere la riduzione delle emissioni, è necessario allargare la partecipazione ai Paesi in via di sviluppo ed in particolar modo ai Paesi più vulnerabili. I loro rappresentanti dovrebbero essere inseriti nel forum delle economie principali all’interno del quale vengono discussi argomenti relativi al cambiamento climatico ed alla sicurezza energetica.
5-                 Un altro aspetto importante è l’accordo sugli schemi da adottare per la riduzione delle emissioni. Infatti, le soluzioni definite in base al mercato implicano un livello di prezzi che porterebbe a cospicui trasferimenti di denaro dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo. Inoltre c’è il rischio di episodi di distorsione dovuti alla speculazione e di eventuali problematiche legate all’incertezza dei prezzi che danneggerebbero l’attività commerciale. L’imposizione di una tassa sul carbonio si focalizza sulla correzione di un’esternalità, in quanto ha senso tassare elementi negativi e non elementi positivi. Un sistema di incentivi con tetti massimi e minimi potrebbe funzionare come sistema ibrido con caratteristiche simili a quelle di un vero e proprio mercato e a quelle di una tassa.
6-                 Benefici legati agli incentivi: un incentivo verde potrebbe non solo creare attivi e passivi, ma potrebbe anche stimolare gli investimenti.


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