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Se l’Europa sbanda sul politically correct. Il mosaico di Fusi

Hanno fatto discutere le “Linee guida per la comunicazione inclusiva” elaborate dalla Commissione Ue per mano della commissaria all’eguaglianza, la laburista maltese Helena Dalli. Il linguaggio è uno degli strumenti più importanti della politica. Ma è quest’ultima che detiene lo spessore e i contenuti dell’azione: altrimenti il linguaggio diventa vacua espressione. Il mosaico di Carlo Fusi

Includere sbiadendo le identità, annullare le differenze per annichilire valori condivisi? Ha suscitato clamore la vicenda delle “Linee guida per la comunicazione inclusiva” elaborate dalla Commissione Ue per mano della commissaria all’eguaglianza, la laburista maltese Helena Dalli. Nel documento, scritto secondo la Dalli con l’intenzione “di illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione” erano infatti presenti raccomandazioni tanto paradossali da diventare grottesche, come l’invito a non augurare Buon Natale “perché non tutti sono cristiani” e ad evitare nomi della stessa derivazione storico-religiosa. Perfino “signore e signori” all’inizio di un discorso andava espunto: meglio “cari colleghi”.

Il documento è stato ritirato visto il putiferio di polemiche sollevate, ma il tema rimane.

Com’è noto, già nel 2005, con due specifici referendum, Francia e Olanda bocciarono il testo della Convenzione, una sorta di vera e propria Carta costituzionale continentale, che seppur tra tante lacune stabiliva un tessuto connettivo di ideali e obiettivi comuni degli Stati membri. Una delle ragioni del no fu il rifiuto di Parigi di adottare come base valoriate “le radici giudaico-cristiane” dell’Europa. Fu un atto che sgretolò il vincolo unitario della Ue, favorendo la nascita dei movimenti populisti e sovranisti.

Paragonare le linee guida della Dalli al testo della Convenzione è fuorviante. Ma voler salvaguardare l’inclusività annullando il patrimonio comune di cultura e tradizioni lo è ancora di più: segna il testa-coda straniante che impedisce all’edificio comunitario di cementarsi con un profilo specifico e attrattivo per gli altri continenti.

Nell’epoca del multilateralismo, sancito in modo specifico anche nell’ultimo G20 di Roma, l’Europa può guadagnarsi un ruolo e coltivare ambizioni geo-politiche non tanto e non solo se riesce a far valere l’importanza del suo peso economico quanto se torna ad essere, custodendo e valorizzando, i principi identitari che le hanno fatto da guida per secoli. Tra questi la dignità dell’uomo, i diritti di tutti, la solidarietà e la democrazia. Ma questi valori se non sono coniugati in una visione comune e se non vengono unanimemente riconosciuti e praticati evitando sbandate in nome di un politically correct che minaccia di snaturare il patrimonio ideale che la identifica agli occhi del resto del mondo, finiscono per essere disattesi e negati provocando un corto circuito ideologico che azzera secoli di impegno e lotte per la democrazia.

Diciamola più chiara. Se l’Europa non afferma i suoi elementi fondanti nella specificità culturale ed ideale che la contraddistingue, finisce per essere un assembramento di egoismi e interessi di parte. Smette di ambire a rivestire il ruolo di faro di civiltà in un contesto che cambia e necessariamente muta ma non può né deve rinunciare ad affermare principi universali che tutelino la vita e il rispetto della persona umana.

Il linguaggio è uno degli strumenti più importanti della politica. Ma è quest’ultima che detiene lo spessore e i contenuti dell’azione: altrimenti il linguaggio diventa vacua espressione. Significa che l’inclusività concerne anche le scelte sull’immigrazione: e non ci sono parole per descrivere lo scempio e la vergogna per quanto sta accadendo ai confini tra Polonia e Bielorussia.

Idem per il Mediterraneo trasformato da anni in un cimitero mentre se poi un gommone naufraga nella Manica diventa un affare di Stato tra Francia e Gran Bretagna: due Paesi culla delle tradizioni democratiche le quali dinanzi ad una tragedia suonano bla-bla sconcertanti. Un esempio di linguaggio deragliato dalla politica e che dunque divide invece di unire.

Non ci sono termini lessicali per spiegare la mancanza di una politica fiscale comune della Ue: quelli pronunciati squadernano visioni unilaterali ed egocentriche per salvaguardare posizioni di vantaggio a discapito dell’interesse comune europeo.

Sono esempi, però significativi. L’inclusività non si guadagna distruggendo ciò che deve unire. Al contrario più l’Europa enfatizza le sue comuni radici storiche, culturali, valoriali più può pretendere di svolgere un ruolo primario rispetto agli altri player mondiali.

Alla Cina, che nasconde le cause del Covid annegandole nel suo regime retto sull’ibrido comunista-capitalista. Agli Usa, che eleggono un tycoon e poi si ritrovano con l’assalto a Capitol Hill. La Ue come patria di uguaglianza, rispetto e democrazia. Buon Natale, vecchia Europa.


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