La sfida per i capifamiglia non è “passare” semplicemente l’azienda, bensì generare nuova capacità imprenditoriale di cui l’azienda si nutre, e sopratutto, trasmettere valori e la consapevolezza che anche oggi le aziende familiari vanno di moda e piacciono ai manager per la loro visione di lungo termine
L’Alumni Event Global Family Business Management, organizzato dalla Luiss Business School ha certificato ancora una volta che le imprese familiari, nonostante il Covid, hanno continuato a supportare l’economia nazionale per lo stretto rapporto con il territorio anche se stanno affrontando con accelerazione il passaggio alla generazione successiva, senza dimenticare la propria specificità che non ha comunque impedito di diventare anche globali come nel caso di Pirelli: “Ci siamo da sempre contraddistinti per il nostro rapporto con la gente che ci ha portati a proteggere persone, territori e ambiente in cui operiamo”, ha detto Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo e ad del gruppo.
Questo bilancio positivo era stato già anticipato nel corso del “Family Business Festival”, che si era tenuto nel mese di ottobre, il 21 e 22, scorsi. Per le aziende familiari italiane, nonostante la pandemia nel corso del 2021 la ripresa è stata potente, ben gestita dagli imprenditori, grazie anche ai rapporti con i lavoratori. La quarta edizione di Family Business Festival, organizzata dal Corriere della Sera, “L’Economia”. Università Bocconi e Aidaf, in collaborazione con Simest, Kpmg, Belluzzo Internationale Partners, Vitale e Rto ha rilevato che la pandemia ha consigliato molte famiglie ad aumentare le operazioni straordinarie, portando molte famiglie a disporre di molta liquidità che dovrà essere reinvestita nelle aziende. Questa fase emergenziale ha peraltro prodotto l’apertura dei consigli di amministrazione a managment non familiari.
L’esame dei risultati nel primo semestre di quest’anno delle 325 aziende quotate in Piazza Affari conferma che la ripresa è in atto ed è molto sostenuta. È emerso altresì che tutte hanno adottato la stessa strategia finanziaria: aumento della liquidità e riduzione del debito ed ancora, che molte faticano a trovare nuovi lavoratori da inserire nelle filiere produttive in ripresa.
“Queste imprese sono un punto di forza del nostro Paese” ha dichiarato Corbetta, docente di Strategia aziendale e titolare della cattedra Aidat-Ey di strategia delle aziende familiari in Bocconi. “Certamente ci sono famiglie imprenditoriali che arrivano ad una svolta nella loro storia e magari decidono di vendere, ed è storia anche di questi giorni. Ma nello stesso tempo continuiamo a scoprire aziende familiari che crescono e che presentano una storia di successo. E vediamo famiglie imprenditoriali storiche che sono ripartite con nuove attività”.
In conclusione anche dopo l’emergenza Covid-19 l’impresa familiare risulta fortissima e non solo per i valori che incarna, ma anche e sopratutto perché ha un azionariato più stabile e da più garanzie sul lungo termine; perché non è legata ai valori di borsa e perché è fortemente legata al territorio d’appartenenza. Sono le imprese familiari a dare continuità e stabilità ad una politica economica, infatti il controllo familiare si traduce in vantaggio competitivo per l’ottica di lungo termine.
Le aziende familiari inoltre tendono ad essere meglio patrimonializzate. Il loro indebitamento è in media inferiore rispetto alle concorrenti, così come inferiore è la quota di utili destinata ai dividendi perché si preferisce lasciarli in azienda. Oltretutto si fanno in genere maggiori investimenti. Questa maggiore attenzione alla solidità di bilancio produce una crescita maggiore di fatturato, di margini e flussi di cassa.
Il capitalismo familiare non è più considerato come un’eccezione rispetto ad altri modelli. Le aziende a controllo familiare non sono affatto in via di estinzione anche in Europa. Anzi. E rappresentano, come si è visto, un volano di crescita e durante la crisi hanno fatto registrare performance migliori e perdite più contenute rispetto alle altre imprese.
Per riassumere alcuni fattori in particolare rendono competitive questo tipo di imprese: 1) Capitale “paziente”: la famiglia proprietaria è capace di subordinare i propri personali interessi di breve termine all’obiettivo dello sviluppo di lungo periodo; 2) governance professionale e disciplinata: i familiari sanno ben distinguere tra i ruoli di socio, amministratore e manager e aprono i consigli di amministrazione al contributo di amministratori non familiari; 3) Leadership aziendale scelta secondo criteri meritocratici: superata la fase del fondatore, la scelta del nuovo leader avviene sulla base di un processo di selezione che eviti accuratamente il rischio del nepotismo; 4) Cultura del “valore condiviso”: in cui l’imprenditore e la sua famiglia hanno saputo condividere i propri valori e anche i frutti del proprio lavoro con i dipendenti e la comunità.
La famiglia, come si vede, difende a tutti i costi l’azienda in cui si identifica, sia perché rappresenta per essa un valore non soltanto finanziario, sia perché ne conosce meglio degli esterni le capacità di recupero. Nell’impresa familiare conta molto anche il desiderio di preservare la reputazione e di assicurare il controllo alle generazioni successive questo induce a una maggiore dedizione, una maggiore responsabilità e tiene bassa la conflittualità tra proprietà e lavoratori. Volontà di questo tipo difficilmente si trovano nelle società a capitale diffuso, in cui i manager hanno convenienza a decidere in base alle quotazioni di borsa ed agli interessi degli azionisti, cioè in base al profitto immediato, facendoli prevalere su ogni considerazione di lungo termine.
Uno dei dei problemi decisivi per il destino delle aziende familiari, però, come è emerso anche dall’Alumni Event Global Family Business Management, è quello della successione. Meglio puntare sulla continuità familiare col rischio che i familiari non siano all’altezza del compito, oppure è meglio affidarsi a professionisti esterni, se non addirittura vendere e passare la mano?
Il problema del capitalismo familiare spesso sono proprio gli eredi perché riluttanti ad assumere la guida delle aziende. Non c’è da sorprendersi, perché si tratta di scegliere tra vivere comodamente di rendita, sperperando il patrimonio accumulato dai padri e vivere lavorando sodo, con grandi responsabilità e la probabilità di fare peggio di chi li ha preceduti. Si sceglie perciò la seconda opzione solo quando si è ricevuta un’educazione imprenditoriale, altrimenti è facile e comodo scegliere la prima, sopratutto quando l’impatto fiscale non aiuta. Il legislatore perciò dovrebbe prevedere adeguate misure per agevolare questo tipo di successioni.
Le analisi di performance dunque suggeriscono di non ritardare oltre il passaggio generazionale, in quanto le aziende condotte da leader ultrasettantenni hanno conseguito risultati mediamente inferiori sia in termini di redditività che di crescita.
La sfida perciò per i capifamiglia non è “passare” semplicemente l’azienda, bensì generare nuova capacità imprenditoriale di cui l’azienda si nutre, e sopratutto, trasmettere valori e la consapevolezza che anche oggi le aziende familiari vanno di moda e piacciono ai manager per la loro visione di lungo termine, ai politici perché creano posti di lavoro relativamente più sicuri ed all’opinione pubblica perché mantengono un legame con le comunità locali.