C’è chi costruisce la propria carriera iscrivendosi nella categoria delle “riserve” della Repubblica. Elisabetta Belloni ha scelto un altro ruolo. Gioca da titolare. E, con la laboriosità delle formiche, conquista primati che non declina al singolare. Ecco perché abbiamo scelto la Direttrice generale del Dis come “Formica dell’anno”
Un numero primo, ma senza solitudine. Il destino di Elisabetta Belloni è quello di arrivare per prima aprendo una stagione nuova con benefici non solitari.
Quando il presidente del Consiglio Mario Draghi l’ha chiamata a dirigere il comparto dell’intelligence, la sintonia umana ha giocato un ruolo secondario. Non che mancasse: con il primo ministro condivide un passato fra i banchi del liceo romano Massimiliano Massimo, scuola gesuita che negli ultimi decenni ha svolto il ruolo centrale di palestra dell’élite del Paese.
L’arrivo a Piazza Dante ha segnato piuttosto il coronamento di una carriera alla Farnesina all’insegna di due stelle polari: continuità e discrezione. Non è un dettaglio. Il cliché italiano di un potere che appare tale solo se esibito trova infatti una netta smentita nella figura di Belloni. In lei l’idea potere si manifesta attraverso le categorie della discrezione e della laboriosità, rigorosamente declinate insieme.
Una cifra distintiva che ha nobili tradizioni nella migliore classe dirigente del Paese. Nel suo caso, la naturale predisposizione alla riservatezza non è il contrario di pragmatismo, anzi. Lo ha dimostrato nei primi otto mesi alla guida del Dis, prima donna a dirigere l’intelligence italiana, in continuità con una tendenza già avviata in America, da Gina Haspel ad Avril Haines.
Un lavoro silenzioso, lontano dai riflettori, non una sola intervista, per mettere alle spalle tensioni e polemiche. Ma un lavoro duro, con decisioni non banali e con l’avvio di una ambiziosa riforma della governance sotto lo sguardo vigile dell’Autorità delegata Franco Gabrielli, regista della nuova stagione per il comparto.
Tanti i dossier sulla scrivania: dal riordino delle competenze nella cybersecurity, con la nuova Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) diretta da Roberto Baldoni, fino alle grandi sfide all’estero, come la crisi in Libia e la sua faticosa transizione democratica, o ancora le minaccie del terrorismo di matrice religiosa e dell’eversione interna con le infiltrazioni estremiste nel fronte no-vax denunciate dal Copasir.
Sono sfide che la diplomatica ha già incontrato nella sua lunga carriera, divisa tra due antiche capitali imperiali, Vienna prima, Roma poi. Nel 2004 la nomina a Capo dell’Unità di Crisi, dove firma operazioni di successo, dal recupero dei connazionali coinvolti nello Tsunami nel Sud Est Asiatico ai rapimenti in Iraq e Afghanistan. Prima donna a dirigere la Cooperazione allo Sviluppo, la prima a diventare capo di gabinetto di un ministro, Paolo Gentiloni.
Poi la nomina a Segretario generale della Farnesina, nel 2016: cinque anni al timone della più articolata macchina dello Stato, trecento sedi all’estero. Una rivoluzione gentile che ha visto l’ascesa di ambasciatrici di riconosciute capacità: come nel caso di Mariangela Zappia, ora a capo della missione italiana a Washington DC. Cinque anni in cui tesse una rete trasversale di relazioni internazionali, dall’Africa al Medio Oriente fino agli Stati Uniti, con cui, non ne fa mistero, c’è un legame speciale.
Oggi la diplomazia italiana torna a coordinare il comparto. Inserendosi in un trend globale che trova conferma dall’altra parte dell’oceano, con la nomina al vertice della Cia di un ambasciatore rodato come William Burns, e che in Italia ha un precedente eloquente in Giampiero Massolo, primo diplomatico a capo del Dis.
Di questi primati l’ambasciatrice romana alla guida degli 007 non si vanta. Non ne ha bisogno. C’è chi costruisce la propria carriera iscrivendosi nella categoria delle “riserve” della Repubblica. Elisabetta Belloni ha scelto un altro ruolo. Lei gioca da titolare. E, con la laboriosità delle formiche, conquista primati che non declina al singolare. Scusate se è poco.