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Su Mps parte il timer del Tesoro. Sei mesi per riaprire il cantiere

Via XX Settembre punta a riaprire nel primo semestre del prossimo anno la finestra nella quale gettare le basi per il salvataggio di Siena e favorire il disimpegno dello Stato. Si punta a un pool di banche volenterose e in buona salute ma per rendere più appetibile il boccone il Mef giocherà la carta Dta. E Unicredit sarà ancora il perno

Sei mesi, da gennaio a giugno del prossimo anno, per riaprire il cantiere Mps, dopo l’affare sfumato con Unicredit. Al Tesoro, azionista di Rocca Salimbeni con il 64%, non si sono persi d’animo dopo la traumatica rottura delle trattative con la banca guidata da Andrea Orcel, che proprio oggi ha presentato alla comunità finanziaria il piano industriale. Al punto, racconta una fonte vicina al dossier, da immaginare di aprire una nuova finestra, nella prima metà del prossimo anno. Obiettivo, gettare le basi per quell’operazione di sistema grazie alla quale coinvolgere istituti quali Banco-Bpm, Bper, Unicredit e perché no, Intesa San Paolo, per rilevare la parte sana, una volta scorporata dalle attività in sofferenza.

Come noto, dopo il naufragio della trattativa con l’istituto di piazza Gae Aulenti, il governo italiano ha avviato in negoziati con la Commissione europea per ottenere una proroga di 18 mesi durante la quale risanare il Monte dei Paschi, ovvero ripulire i bilanci dalle sofferenze, scaricandole nella società del Mef Amco, alleggerire i conti da 6 miliardi di contenziosi legali e mettere le filiali del Meridione in pancia al Mediocredito centrale. Fatto tutto questo, il Tesoro dovrà necessariamente disimpegnarsi e lasciare Siena, a oltre cinque anni (2017) dalla nazionalizzazione.

Ora, secondo quanto trapela, nei prossimi mesi si assisterà una sorta di chiamata a raccolta dei principali istituti bancari affinché possano valutare l’interesse per Siena. Il boccone più grosso, nei piani del Mef, dovrebbe comunque andare a Unicredit, il baricentro attorno alla quale dovrebbe ruotare l’intera operazione. E questo nonostante Orcel, nel presentare il piano industriale, si sia tenuto piuttosto vago sui futuri movimenti di Unicredit: “Non escludo e non pianifico M&A, si possono valutare se rispondono alla strategia della banca”.

Quello che però davvero conta per Via XX Settembre è aprire il cantiere Mps entro il mese di giugno 2022. Perché? Per quella data infatti, è prevista la scadenza naturale degli incentivi per le fusioni bancarie, tramite la trasformazione delle Dta (le imposte differite) in crediti di imposta, il cui ammontare è stato fissato a mezzo miliardo nella manovra ancora esame del parlamento. La strategia del Tesoro, viene raccontato, punterebbe a far leva proprio su questo: il governo è pronto a far saltare il tetto al ribasso di 500 milioni (che settimane fa ha provocato pesanti cadute in Borsa degli istituti che più di tutti avrebbero potuto beneficiare degli incentivi, tra cui Banco e Bper) a condizione che si risponda affermativamente alla chiamata del Mef. Insomma, via il tetto alle Dta in cambio di un sì al salvataggio di Siena, da far pervenire sul tavolo del governo entro e non oltre giugno.

Nell’attesa di capire se l’esca funzionerà, quando le nubi su Mps si dipaneranno, allora potrebbero maturare anche i ragionamenti sulle altre possibili aggregazioni. E lì la preda più prestigiosa resta ancora il Banco Bpm che da ormai troppo tempo è al centro dei rumors. Piazza Meda ha da poco presentato il suo piano stand alone con l’ad Giuseppe Castagna che ha detto di non vedere all’orizzonte istituti interessati a operazioni di M&A, benché si è detto attento a valutare ogni possibilità che si dovesse presentare all’orizzonte.

Il Banco oggi può contare su una compagine azionaria che, dopo l’uscita di Capital Research e Girondi, vede Davide Leone&Partners come punto di riferimento con una quota poco sotto il 5%. Il fondo sta così dimostrando di credere nel valore della banca e sulle potenzialità dell’Italia e sul tema delle aggregazioni proprio Leone in passato avrebbe richiamato ai concambi equi, anche alla luce dell’esperienza della fusione con Verona il cui concambio si rivelò dannoso per Milano.

Una qualsiasi operazione straordinaria verrebbe dunque vista con la massima attenzione da parte dell’azionista che ripone fiducia nel presidente Massimo Tononi. Diversa la questione dei rapporti con il top management di piazza Meda. In passato Leone ha votato due volte contro la remunerazione del management e la motivazione risiedeva nel disallineamento tra compensi e performance della banca. Mentre, nello scorso aprile in assemblea, Leone ha votato a favore del taglio dei compensi proposto dal nuovo comitato remunerazioni.

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