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Pregi e difetti del presidenzialismo secondo Violante

Giorgia Meloni lancia la petizione per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. “È un tema caro alla destra. Ma il presidenzialismo implica una revisione dei poteri di Camera, Senato, delegati regionali e magistratura. Non si può fare dall’oggi al domani”. Mattarella? “Non decide la Scala la sua elezione”

Come un fenomeno carsico, a ridosso delle scadenze elettorali, torna in auge l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Questa volta è la leader di Fratelli d’Italia a lanciare la petizione. Documento che incontra anche il favore di Silvio Berlusconi, il quale ha pubblicamente promesso che firmerà l’appello. Al di là degli esiti che avrà l’operazione voluta da Giorgia Meloni, il passaggio verso un presidenzialismo non è affatto banale. In un recente articolo su Libero Giuseppe Valditara ha scritto che “chi crede nella democrazia e nella virtù della trasparenza, dovrebbe chiedere alle forze politiche che si candideranno alle prossime elezioni, un impegno a favore della battaglia presidenzialista. Ma il presidenzialismo “non è solo l’elezione diretta del Capo dello Stato, bensì una profonda revisione dell’intera architettura della forma di governo”. A dirlo è Luciano Violante, ex presidente della Camera, navigato giurista ed esponente del Partito democratico.

Violante, auspicare in una forma presidenzialistica è una chimera?

No, ma si tratta di un passaggio tutt’altro che semplice. Da tempo siamo alla ricerca di un punto di stabilità del sistema politico e, in questo senso, un sistema presidenzialista, sarebbe un forte elemento di garanzia. Specie se si immaginasse un modello ispirato al quello statunitense. Sarebbe comunque una rivoluzione sostanziale del nostro sistema, perché occorre tenere a mente che non esiste solo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Occorrerebbe infatti rinegoziare i ruoli, le competenze e i poteri di Camera, Senato, rappresentanti e delegati delle Regioni e della magistratura. Dunque è giusto che si ponga il tema, ma non è certo una questione facilmente ne brevemente risolvibile.

Quali sono invece, a suo modo di vedere, le urgenze che la politica dovrebbe avere sotto il profilo ordinamentale?

Affrontare il tema della sfiducia costruttiva e soprattutto caldeggiare la riunione del Parlamento in seduta comune, specie nei momenti nei quali si affrontano tematiche di fondamentale importanza come la fiducia al Governo e la Legge di Bilancio. Questi sono due aspetti dei quali occorre tenere conto, in particolare alla luce del fatto che nella prossima legislatura il numero di parlamentari sarà sensibilmente ridotto. E dunque l’utilità marginale dei singoli deputati sarà molto maggiore.

Quali sono le potenziali insidie di un sistema presidenziale?

Sono fondamentalmente due. La paralisi, determinata dalla possibilità che l’orientamento e il ‘colore’ di una delle due camere siano differenti. E il concreto rischio di derive autoritarie. Mi pare che in questo senso l’esempio di Donald Trump sia più che calzante. Il suo atteggiamento durante l’esercizio del mandato ha posto diverse problematiche sui temi cari alle democrazie moderne. L’assalto al Parlamento è stata una delle pagine più tristi della storia recente.

Perché secondo lei il presidenzialismo è un tema tanto caro alla destra che, periodicamente, lo ripropone nell’agenda politica?

Perché c’è la tendenza a credere che il sistema presidenziale permetta di rispondere agli ordini dell’uomo solo al comando. Un aspetto che fa parte della cultura della destra. Tuttavia, come detto, non è propriamente così.

La Scala scrosciante d’applausi chiede a gran voce il ‘bis’ a Mattarella, il quale elegantemente ma fermamente declina. Lei che idea ha sul doppio mandato?

Partiamo dal presupposto che non è il pubblico della Scala che designa il Capo dello Stato, sebbene qualcuno vorrebbe farlo credere. Tuttavia, il presidente Mattarella è stato chiaro: non vuole proseguire il suo impegno al Quirinale. Ed è giusto rispettare la sua volontà.

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