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Welfare aziendale, ecco cosa ci sarà sotto l’albero

Al rush finale la proposta inserita in manovra per rendere strutturale l’innalzamento del tetto al valore dei benefit per i lavoratori da tenere fuori dalla portata del fisco. Le opinioni di Roberta Toffanin ed Emmanuele Massagli

La manovra da 30 miliardi con la firma di Mario Draghi è ancora all’esame del parlamento e con essa le novità sul fronte del welfare aziendale. Tra gli oltre 200 articoli della ex finanziaria, ecco le misure che puntano al miglioramento della vita dei dipendenti dentro e fuori il luogo di lavoro, con impatti benefici per la produttività.

Si punta, per esempio, a defiscalizzare per gli imprenditori il valore dei benefit concessi dall’azienda al lavoratore, qualora non superino i 516 euro. L’obiettivo, grazie a un emendamento a firma dei senatori Emilio Floris e Roberta Toffanin, è rendere strutturale la misura già contenuta nel decreto Sostegni della scorsa primavera, che ha confermato fino a tutto il 2021 il raddoppio a 516 euro della soglia entro la quale beni e servizi riconosciuti ai lavoratori (i fringe benefit) non concorrono a formare reddito dell’impresa (e dunque imponibile e suscettibile di tassazione), dai 258 euro originari. Ora si punta a superare tale termine temporale o, almeno, come prevede un emendamento a prima firma sen. Nunzia Catalfo a prorogare di un anno il raddoppio della soglia.

La misura, che impatta sull’articolo 51 del Testo unico dei redditi (Tuir) risulta nel pacchetto delle proposte segnalate dai vari gruppi parlamentari, le sole su cui si concentrerà l’esame. Sono state segnalate sia una proposta di proroga sia una proposta di stabilizzazione. Una buona notizia se si considera che i fringe benefit in questo anno e mezzo di pandemia hanno dimostrato tutto il loro valore e impatto sociale sia come forma di integrazione al reddito delle famiglie, sia come modello di welfare aziendale semplificato. La disponibilità di oltre 500 euro ha permesso di emettere buoni spesa e acquisto di un valore più ampio con evidenti benefici per le tasche dei lavoratori, per il rilancio dei consumi interni e senza impattare sui costi del lavoro delle aziende, in un evidente periodo di difficoltà.

Roberta Toffanin, senatrice e vicepresidente della Commissione Finanze, spiega a Formiche.net come “il welfare aziendale deve diventare sempre più protagonista di un nuovo modello di lavoro. La pandemia, purtroppo ancora in atto, non ha fatto altro che accelerare un processo virtuoso su cui molte aziende italiane stanno puntando ormai da diversi anni. Ma è tempo di fare un passo ulteriore. Per questo nella Legge di bilancio ho sottoscritto un emendamento insieme al collega Emilio Floris per sostenere – e magari ampliare – i fringe benefit, una forma semplificata di welfare aziendale molto apprezzata sia dagli imprenditori che dai dipendenti”.

Secondo Toffanin, “diventa ad esempio improrogabile aumentare in maniera strutturale la soglia d’esenzione di questi beni accessori a 516,14 euro, già ottenuta come misura emergenziale per il 2021. Il ruolo dei fringe benefit è fondamentale per motivare i lavoratori, incentivare l’economia, sostenere le famiglie soprattutto nei momenti di difficoltà come quelli che stiamo vivendo, in cui gli aumenti dei prezzi, a partire dai rincari delle bollette, colpiscono pesantemente i bilanci familiari. Ma la funzione dei fringe benefit va oltre l’aspetto economico e acquista un significativo ruolo sociale, incidendo favorevolmente anche sui rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. È l’eredità che Forza Italia raccoglie da un grande giuslavorista, Marco Biagi, che aveva tracciato un modello di lavoro con al centro la persona. Un modello oggi di grande attualità, che può e si deve esprimere anche attraverso un sistema di welfare aziendale strutturale”.

Anche Emmanuele Massagli, presidente dell’Associazione italiana welfare aziendale, dice la sua. “L’ampliamento della soglia dell’art. 51 comma è opportuna per almeno quattro ragioni. La prima è che il valore dei beni e servizi ceduti dal datore di lavoro al dipendente non ricompresi nel reddito da lavoro è già stato raddoppiato a 516,43 in luogo dei precedenti 258,23 con il decreto Agost” (per gli ultimi cinque mesi del 2020) e successivamente con il decreto Sostegni, che ha prorogato la misura a tutto il 2021 in ragione dei vantaggi sperimentati tanto dai lavoratori quanto dalle imprese e dallo Stato. Dopo quasi due anni di sperimentazione, che senso avrebbe abrogare la norma o confermarla ancora per un solo anno? Più opportuno strutturarla (anche considerato il modesto importo), poiché attorno a questa soglia sono costruiti molti piani di welfare di durata pluriennale, che dovrebbero essere necessariamente riformulati allorquando non fosse confermata la soglia di 516,43 euro”.

Non è tutto. “La seconda concerne i principali fruitori di questa disposizione. Il fulcro del welfare aziendale si trova nello stesso articolo 51 del Tuir, nel comma precedente, il 2, che regola alcuni dei beni e servizi più noti: assistenza sanitaria, buono pasto, abbonamento ai mezzi pubblici, borse di studio etc… Il welfare aziendale è istituto ormai affermato nella grande impresa e in forte diffusione nella media. Solo negli ultimi anni anche le aziende più piccole hanno iniziato a conoscere i vantaggi di questo strumento, proprio grazie alla estrema comprensibilità e fruibilità del comma 3. Non a caso i contratti collettivi che dal 2017 in poi hanno iniziato a prevedere l’obbligo di welfare (il principale è quello dei metalmeccanici) hanno sempre fissato soglie in linea con i 258 euro, suggerendo così alle realtà più piccole una modalità per adempiere all’obbligo”.

Massagli traccia una linea. “In sintesi: i flexible benefit sono diventati il welfare aziendale della micro e piccola impresa, un canale di ingresso a un mondo certamente più variegato e complesso, ma proprio per questo spesso non considerato da chi ha strutture amministrative piccole e non aggiornate. Tornare al passato vorrebbe dire penalizzare innanzitutto i dipendenti delle imprese più piccole. La terza è una ragione apparentemente più tecnica, ma significativa: per quanto il Tuir preveda la possibilità di aggiornamento di tutte le soglie economiche contenute nello stesso Testo Unico in coerenza con l’incremento del costo della vita, la quota di 258,23 euro è ferma dalla fine degli anni Ottanta (500.000 lire)!

Ed è di tutta evidenza che il mancato adeguamento per oltre trent’anni ha depotenziato finalità e potenzialità di quella misura, che necessità senza dubbio di essere attualizzata. Da ultimo, la ragione più pratica e semplice di tutte: questa misura è piaciuta molto ai lavoratori, che hanno visto incrementata la loro capacità di spesa; è stata assai apprezzata dalle imprese, che sono riuscite e prendersi cura di alcuni bisogni sociali dei propri dipendenti e ne sono state premiate con maggiore fidelizzazione e produttività; da ultimo, è convenuta alla Stato, che con il gettito generato (Iva soprattutto), e con la emersione di molte transazioni sovente regolate in nero ha ampliamente coperto i costi del raddoppio a 516 euro. Per quale ragione non confermare una misura win-win-win come questa?”



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