Egitto e Israele (ma anche Libia e Marocco dove il player italiano Eni è centrale) stanno diventando strategici nella cosiddetta gas-diplomacy: una forza che è data sia dal volume delle esportazioni sia dalle dinamiche post Zohr
Non c’è solo la Libia a fare del versante nord africano il nuovo Eldorado del gas, con un vantaggio anche per l’Ue. Ma accanto ad essa ecco prendere piede nuove realtà come Egitto e Israele, che stanno progressivamente assumendo un ruolo diverso e più denso all’interno del dossier energetico. Stando ad un paper del Middle East Economic Survey (MEES) nell’ottobre 2021 le esportazioni di Gnl dell’Egitto hanno raggiunto il dato mensile più alto degli ultimi 12 anni fino a 830.000 ton mentre in agosto erano a 220.000. Si tratta di una dinamica che dalle scoperte di Zohr in poi sta cambiando pelle ad alleanze e influenze geopolitiche.
ZOHR
Zohr e Leviathan rappresentano il fulcro delle strategie di Tel Aviv e del Cairo, con nel mezzo il contributo primario di Eni. Il cane a sei zampe non solo è il più grande produttore di gas in Egitto, ma è pesantemente attiva nell’upstream nordafricano, investendo in nuove esplorazioni in Libia, Marocco, Tunisia e Algeria. Zohr, che è di fatto la più grande scoperta nel Mediterraneo, appresenta una frontiera diversa, dato che vi partecipa come operatore al 50% assieme alla russa Rosneft (30 %), a BP (10%) e a Mubadala Petroleum di Abu Dhabi (10%). In quel fazzoletto di sabbia egiziana, inoltre, Eni sta realizzando un nuovo impianto di trattamento del gas da collegare al Western Desert Gas Complex di Alessandria. Insomma il Mediterraneo orientale e il Delta del Nilo sono serbatoi di nuove risorse e, quindi, di intense attenzioni geopolitiche da parte di altri soggetti.
Il tutto mentre l’Egitto non solo raggiungerà facilmente l’obiettivo di soddisfare il proprio fabbisogno interno di gas, ma produrrà allo stesso tempo un surplus di gas per l’esportazione, sia per il tramite di Damietta GNL vicino a Port Said sia per il tramite di Idku vicino ad Alessandria.
LEVIATHAN
Altro versante interessante è quello relativo a Leviathan, dove la domanda di gas è aumentata di un imprevisto 6% nella prima metà del 2021. Il colosso Chevron, che ha una partecipazione operativa del 39,66%, ha modificato il proprio cronoprogramma viste le premesse incoraggianti e ha deciso di perforare un quinto pozzo per aumentare la produzione. Il motivo è dato dall’esigenza di mantenere la produzione al passo con l’aumento della domanda, che risulta positivamente trainata dalle esportazioni verso l’hub egiziano di Gnl. Per cui Zohr e Leviathan non solo sono legate da un filo logico e infrastrutturale, ma hanno dalla loro parte anche l’esigenza per uno specifico blocco di soggetti di essere operativi e coalizzati in chiave di strategie economiche ben definite.
SCENARI
A questo quadro va sommata la parentesi legata a Eastmed, il gasdotto su cui stanno discutendo Israele, Cipro, Grecia e Italia (con il favore degli Stati Uniti). Sarebbe in grado, una volta ultimato, di veicolare ben 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno da Israele e Cipro all’Italia, passando per la Grecia in un momento caratterizzato da un lato dalla penuria di riserve Ue, e dall’altro dal ricordo dei veti ideologici che hanno ritardato la nascita del gasdotto Tap.
Per cui tornando al Nordafrica, è in questa chiave che vanno lette le fitte relazioni tra Egitto e Israele, i cui vertici si sono incontrati pochi giorni fa al Cairo: il ministro degli Esteri Yair Lapid e il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sissi. L’Egitto sta affrontando le sue relazioni con Tel Aviv in maniera del tutto diversa rispetto alla guida targata Netanyahu: oggi la sicurezza in quella macro regione è la vera polizza assicurativa per monetizzare al massimo le alleanze sul dossier energetico, in un settore dove per anni la Turchia è stata impegnata in un’aspra rivalità con l’Egitto iniziata quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha sostenuto i Fratelli musulmani. Oggi Egitto e Israele stringono alleanze con Grecia e Cipro in ottica gas e con Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti in ottica Usa. Invece la Turchia guarda al Qatar per corroborare la cosiddetta fazione filo-islamica. Al centro di tutto, il gas e le sue pipeline chilometriche.
@FDepalo