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Tornano le armi a Tripoli a pochi giorni da un voto sempre più incerto

A Tripoli tre gruppi di miliziani circondano i palazzi della presidenza e del governo e dimostrano le ragioni per cui il voto del 24 dicembre con ogni probabilità salterà

La scintilla che ha fatto muovere tre diversi gruppi di miliziani attorno agli uffici delle istituzioni di Tripoli è stata la nomina di un nuovo generale alla guida del comando centrale, ma la realtà è che le tensioni in Libia sono altissime e tutto porta a pensare che il tanto agognato voto non si celebrerà. Tutte le divisioni e gli interessi contrapposti che hanno caratterizzato il Paese nell’ultimo decennio stanno tornando a galla in modo aggressivo in queste settimane che portano al 24 dicembre, data che l’Onu aveva fissato per le votazioni presidenziali e parlamentari.

Nella notte, la milizia Nawasi (guidata da Mustafa Ibrahim Gaddur) e la Ghneiwa (comandata da Abdel Ghani al-Kikli), insieme con le forze del deputato-miliziano misuratino Salah Badi, hanno circondato gli uffici del primo ministro e del presidente del Consiglio presidenziale. Non ci sono stati scontri a fuoco, alla guardia presidenziale è stato ordinato di restare immobile.

I miliziani contestavano la nomina di Abdelkader Mansour Khalifa a comandante militare di Tripoli in sostituzione del generale Abdelbaset Marwan: un rimpiazzo voluto dal primo ministro, Abdelhamid Dabaiba, e decisa dal Consiglio presidenziale in qualità di comando supremo delle Forze armate. Khalifa è un generale che ha partecipato a tutti i principali passaggi libici degli ultimi dieci anni: la rivoluzione del 17 Febbraio contro Gheddafi, la campagna Bunyan Al Marsous contro l’occupazione dello Stato islamico, l’operazione Vulcano di Rabbia contro la milizia della Cirenaica che voleva rovesciare il governo tripolino e conquistare il Paese.

Teoricamente è una figura allineata con le posizioni di quelle tre milizie della Tripolitania, ma la realtà è che anche all’interno delle due macro-regioni (e centri di potere) ci sono profonde divisioni. Possibile che Gaddur, Kikli e Badi abbiano temuto che la nomina di Khalifa potesse essere un passaggio del consolidamento di Dabaiba — che è attualmente in fase di sospensione dall’incarico perché candidato.

Quando si voterà, il premier in carica potrebbe infatti essere uno dei favoriti alla corsa per il presidente (nonostante ci siano perplessità sulla partecipazione stessa al voto) e nominare figure militari a lui fedeli può essere un modo per evitare potenziali rovesciamenti o colpi di Stato dopo le elezioni. Basi ha diffuso anche un video in cui attaccava l’inviata speciale dell’Onu, Stephanie Williams, e il percorso elettorale da lei promosso. Williams in questi giorni è impegnata in colloqui con tutte le parti libiche, tra Misurata, Sirte, Tobruk e Bengasi.

La mossa dei tre leader miliziani è stata simbolica, i palazzi erano vuoti e il presidente nominato dall’Onu non era in sede. Secondo fonti locali al Menfi e i membri del Consiglio presidenziale sono stati portati in un luogo sicuro dopo che erano circolate notizie circa la volontà dei miliziani di assaltare le loro case.

Ma è significativa sia riguardo alle tensioni attuali, sia per quel che racconta del futuro. Se la nomina di Khalifa era una forma per rafforzarsi, a Dabaiba è stato dimostrato che queste figure contano in forma relativa in quanto il potere reale è in mano alle milizie, che si muovono in parte dentro e in buona parte fuori dai corridoi istituzionali – e che, molto armate come sono, possono decidere in qualsiasi momento di poter prendere le armi e destabilizzare la situazione.

Situazione che con ogni probabilità rientrerà senza scontri: trattative sono iniziate da subito per trovare accomodamenti, ma ciò che ne esce è una situazione tutt’altro che liscia a così pochi giorni da un voto che è stato considerato come forma conclusiva di una stabilizzazione; stabilizzazione che invece a quanto pare (non che sia una novità) era solo apparente.

Le milizie di Tripoli per prime hanno molto da perdere dal percorso democratico, perché questo significherebbe una forma di normalizzazione del Paese, che non può prevedere la presenza di unità armate irregolari, che difendono i propri interessi (entità simili a mafie, che controllano territori e affari locali, che hanno uomini tra i gangli del potere e che restano in vita sia per le connessioni col sostrato sociale libico sia per la costante minaccia delle armi).

È la presenza di questi stessi gruppi che rende quasi impossibile il voto, perché è quasi impossibile che dalle urne esca un risultato che accontenti tutti i miliziani, leader e sotto-leader, i quali piuttosto potrebbero protestare in modo aggressivo contro le urne, come hanno dimostrato di poter fare con la nomina di Khalifa e in dozzine di altre occasioni.

Lo scenario più realistico è un annuncio – forse nelle prossime ore, forse entro la fine della settimana – di un rinvio delle elezioni a data da destinarsi. Secondo le informazioni disponibili questo annuncio (che verrà fatto dalla Commissione elettorale, ente terzo che dovrebbe evitare l’innescarsi di disordini anche su questo) dovrebbe riguardare uno spostamento di pochi giorni.

In precedenza, mercoledì 15 dicembre, 72 deputati del parlamento libico avevano chiesto, in una dichiarazione congiunta, di tenere una sessione d’urgenza per salvare il processo elettorale in corso da sospetti di brogli, interferenze straniere, elusione della legge e tentativi di influenzare le decisioni giudiziarie, sottolineando la necessità di presenza del capo dell’Alta Commissione elettorale e dei rappresentanti delle istituzioni di vigilanza, di sicurezza e giudiziarie sul processo elettorale.



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